• Del Ninno

  • Le metamorfosi e l’anima
  • La poesia di Giuseppe Del Ninno
  • di
  • Giovanni Sessa
  • Il nostro tempo, età feriale in cui la dismisura prevale in ogni ambito, pare aver obliato la poesia, il suo valore. La sussunzione della quint’essenza della vita nei metra del verso non si confà a un mondo in perpetua accelerazione. Oggi è la dimensione mercuriale a pervadere le nostre vite, la velocità stordente dell’adesso, del semplice statim latino, ha deprivato il tempo e la metamorfosi della natura della profondità che le costituiscono. Statim è dire cosa altra dall’ hic et nunc romano e dal kairos greco, attimo immenso nel quale il tempo edipico e cronologico abbraccia aion, l’eterno.   In pochi, per questo, oggi si cimentano con la scrittura poetica, in pochi si dedicano a quello che, nel mondo classico, era il fare per eccellenza, poiein, il poetare che conduceva il creatore di versi, quanto l’attento lettere e/o uditore, si pensi alla tradizione aedica, di fronte all’Origine, vale a dire a un’esistenza non chiusa e limitata in se stessa, ma essenziata.  Eppure, nonostante la mesta povertà spirituale nella quale viviamo, qualcuno tenta questo difficile confronto e pratica, noncurante, l’arte poetica.    Tra questi non possiamo non segnalare Giuseppe Del Ninno, che ha, da poco, congedato la sua ultima fatica in versi.     Ci riferiamo a, Nei dintorni dell’anima, raccolta di componimenti comparsa nel catalogo dell’editrice Tabula Fati (per ordini: 335/6499393, edizionitabulafati@yahho.it, pp. 79, euro 8,00).
  • L’Anima non sta semplicemente al centro del narrato poetico dell’autore, ma è, essa stessa, consustanziale allo sguardo con il quale egli guarda al mondo. Leggiamo nella prefazione: «Attraverso la ricerca e la rifinitura della parola, nella meticolosa costruzione di una sintassi musicale del verso, le immagini vengono estratte dalla loro vita quotidiana e dallo specifico di un quadretto familiare, per balenare, anche un solo attimo, nell’orizzonte dell’universale» (p. 6). Ciò significa che la qualità “tecnica”, nell’uso sagace del dire versificato, è funzionale al superamento del logocentrismo, prevalso da lungo tempo nella cultura europea, e, soprattutto, è in grado di esporre, poeta e fruitore, alla dimensione “immaginale” che fa del mondo una costante metamorfosi dell’Uno, come avrebbe chiosato il filosofo dell’Anima Ludwig Klages.
  • Non è casuale che la prefazione sia seguita da una Nota elogiativa nei confronti di Del Ninno, firmata da Giuseppe Conte, cantore del mito e delle “Terre del Mito”.   La raccolta, infatti, trova ispirazione e canta i “luoghi dell’anima” del poeta: Ischia, Campo Tures, Roma, Parigi, le persone amate, in particolare i familiari, nonché alcune festività e ricorrenze, come il Natale e i compleanni, capaci, se convenientemente celebrate, di annodare le fila che legano l’ieri all’oggi, i passati ai presenti e ai venturi. Ci pare, pertanto, di poter affermare che la tematica essenziale emergente nella poetica di Del Ninno sia la temporalità, esperita, si badi, non come mero dissolvimento di ciò che è, ma quale scoperta di: «quella energia misteriosa che sta al fondo della nostra persona […] questo tempo mutevole per sua natura non riesce a toccarla» (p. 6).   Si tratta dell’egemonikon stoico, del Sé interiore, inscalfibile come il cristallo di rocca di cui disse un ormai trascurato cantore della Tradizione e dell’Impero, Adalbert Stifter.
  • Lo sguardo sulla vita del poietes autentico è con-templazione, per la qual cosa il suo vedere mira il sacro, l’eterno nel transeunte. La natura panica, mediterranea dell’amata Ischia, risveglia nell’occhio di Del Ninno, fattosi assoluto, svincolato cioè dal meramente contingente, i ricordi dei miti greco-romani, fornendogli consapevolezza che: «Come risacca del Cosmo,/ luci e ombre/ s’alternano sul palcoscenico/ calcato dagli dei» (p. 13).   La vita è segnata dal bagliore solare, così come dai toni grigi dell’incipiente cattiva stagione: «Ci trova un poco tristi il primo inciampo/ dell’estate in affanno repentino,/ nei passi che sempre portano/ all’autunno» (p. 20).    Ma nel tempo sospeso del meriggio a S. Angelo d’Ischia è la certezza della forza inespugnabile della vita, del Tradere a mostrarsi: «Sono appena un fruscio le voci del mio totem familiare/ su questa spiaggia, indistinte/ quelle dei vivi oggi vecchi, quelle dei morti, giovani allora/» (p. 16).    Questo attimo immenso, aperto all’abbraccio delle generazioni, al loro perpetuarsi nel tempo che vanamente tenta di sciogliere il loro legame, assomiglia al desiderio della barca, sulla quale è assiso il poeta, di farsi caracollare dalle onde: «ma nel nostro giorno scivola sull’acqua/ la barca,/desiderosa […]di restare a dondolarsi placida,/ tra il verde sipario della terra/ e le quinte d’azzurro/» (p. 17).
  • Potenza simpatetica è Eros, Amore, il “senza morte”, che lega uomini, generazioni e enti di natura tra loro.  E’ demone che dona assolutezza al nostro intendere il mondo e che ci rende accoglienti rispetto ai nuovi arrivati, come nel caso della nascita di una nipote, Caterina, che fa dire all’autore: «Benvenuta, ultimo fiore/ di primavera,/ benvenuta e grazie/ per il cammino che farai con noi» (p. 64).  Ciò non implica, è bene precisarlo, che le poesie di Del Ninno, siano liriche pregne di mieloso ottimismo.  Il poeta ha contezza del trasformarsi di tutte le cose, avverte la potenza della deriva entropica cui ogni vita è esposta e, a volte, è colto anche da scoramento: «Dove sono i pomeriggi/ che illudono d’eterno,/ […] proprio ora che s’approssima/ l’ignoto/ a passi rapidi e brevi?» (p. 39).  Ma si tratta di momenti fuggevoli, in quanto: «Omero e gli dei e le ninfe,/ […] ancora ci urlano chi siamo» (p. 38), ci rammentano di incarnare il precedente autorevole che l’appartenenza a una data gens esige.   Del resto: «questa è la nostra vita, /matassa che si srotola e si intreccia/ di presenze e di assenze/» (p. 33).   E’ l’Amore che consente di riempire, di vita o di nuova vita, le “assenze”, come accade all’autore, abbagliato su un ponte della Senna dalla figura della donna amata: «Eccoti infine, mi fai cenno/ proprio dal parapetto di quel ponte/ dove, se fosse vivo Doisenau/avrebbe fissato in uno scatto/ gli innamorati lungo il fiume/» (p. 29).
  • La poesia di Del Ninno allude ad un Altrove che in realtà è sempre qui, nelle cose della vita, negli incontri che facciamo.  Una poesia esemplarmente incarnata da uno scatto di Doisenau, amato anche da chi scrive, realizzato in un bistrò, Mademoiselle Anità.   La ragazza mostra, nello sguardo intenso, un’accettazione persuasa dell’esistenza e delle sue contraddizioni, proprio come i versi che abbiamo presentato.