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rivista online hp 2021 2

Rubriche Editoriali

rubrica editoriale

  • PINOCCHIO  VA  ALLA  GUERRA 
  • di  
  • Teodoro Klitsche de la Grange

 

  • Dopo l’invasione russa dell’Ucraina abbiamo letto notizie ed opinioni talvolta inverosimili in partenza, ma per lo più smentite dai fatti successivi; e il tutto accompagnato dall’omissione di circostanze contrarie, regolarmente taciute o minimizzate.   Quale esempio delle prime: Putin è matto, molto malato, ecc. ecc.   Ma Putin non ha fatto nulla di diverso da quanto operato da secoli dai governanti russi: cercare uno “sbocco” a sud verso i mari caldi, con decine di guerre soprattutto contro gli ottomani. Per cui se farlo significa essere matti, vuol dire che la Russia è diretta, almeno da tre secoli, da dementi; ma ciò non le ha impedito di ...
  • divenire una grande potenza. Ovvero che Putin sarebbe stato detronizzato dai “suoi”. Può darsi, ma finora, a quasi un anno dall’inizio delle ostilità, sembra saldo al potere. O anche che le sanzioni alla Russia l’avrebbero messa in ginocchio: ad oggi pare solo che ha perso qualche 2-3% del PIL (ossia un terzo di quello perso dall’Italia col governo Monti) e sarebbe in via di recupero. Quel che è taciuto è che il rublo si sia rivalutato nei confronti del dollaro e ancor più dell’euro: segno che i “mercati” – la pizia della stampa mainstream – ritengono la moneta (e l’economia) russa tutt’altro che inaffidabili, né in via di collasso.
  • ...
  • O che i russi avrebbero presto finito le munizioni: da un anno continuano a sparare, il che testimonia che ce l’hanno. E potremmo continuare per pagine. Anche dall’altra parte se ne raccontano, ma la tempesta mediatica da occidente è di gran lunga superiore sia per varietà (e contraddittorietà) degli argomenti, sia soprattutto per quantità dei ripetitori. Nelle prime fasi del conflitto mi è capitato di scrivere che la “nebbia della guerra” di Clausewitz, applicata nel caso alla comunicazione, era imponente; oggi è ancora tale. L’ultimo caso è quello dei carri armati: è stata da poco diffusa la notizia che stavano per arrivare agli ucraini (nei prossimi tre mesi) circa 100 carri armati occidentali, destinati a far polpette di quelli russi. Nessuno spiegava né nei tre mesi suddetti, cosa avrebbero fatto i russi per evitarlo (magari accelerare le operazioni militari per vanificare tanto aiuto agli ucraini) ma soprattutto che la asserita qualità dei corazzati occidentali non avrebbe compensato la superiorità quantitativa di quelli di Putin. Un po’ come, per tenersi da quelle parti, successe nel ’43 a Kursk, dove qualche centinaio di eccellenti Tiger e Panther tedeschi fu sconfitto, malgrado le perdite inflitte ai sovietici alle assai più numerose formazioni di T-34 e KV russi. E ciò malgrado i nazisti fossero comandati dal miglior generale della II guerra mondiale: Erich von Manstein. Il quale infatti, e a dispetto dell’inferiorità numerica (da 1 a 3 a 1 a 5), riuscì a tenere l’Ucraina per circa un anno. Ma era von Manstein e non Zelensky a comandarle.
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  • Agli albori dello Stato moderno, un noto giurista, Alberico Gentili, si poneva il problema se fosse lecito, in guerra, “ingannare” il nemico con menzogne di vario genere. E ne tratta per molte pagine del suo capolavoro il “De jure belli, libri 3”. Il problema sussisteva perché, per un giurista, è normale qualificare un comportamento come lecito o illecito.   E nel mentre riteneva illecito – in taluni casi – l’uso della menzogna per ingannare i nemici, tuttavia concludeva “Se infatti si ammette che a fin di bene anche gli amici possono essere ingannati con la menzogna, si può ammettere che i nemici possano essere indotti in errori per la loro rovina. Naturalmente, come agli amici è fatto per il loro bene, così ai nemici è reso il fatto loro e giustamente è recato loro danno”.    Ma in tutta la sua esposizione non si pone mai il problema del capo che mente (sistematicamente) al seguito; cioè il problema riconducibile alla propaganda di guerra – che tanta parte ha nei conflitti, soprattutto moderni.    Certo è che tutte – o quasi – le menzogne propagate non sembrano poter avere alcun effetto nell’ingannare Putin, o, al più, un’efficacia minima.
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  • Quindi il loro unico – o assolutamente prevalente - risultato, è di suscitare un qualche consenso nell’opinione pubblica a sopportare il costo delle sanzioni e degli aiuti all’Ucraina. Ossia sono false o errate rappresentazioni ad usum delphini. Le quali hanno l’inconveniente, in politica e ancor più nel di essa mezzo, la guerra, di indirizzare (e far regolare) le proprie azioni su presupposti e fini immaginari e immaginati, con ciò rischiando, a parafrasare Machiavelli “d’imparare più presto la ruina che la preservazione sua”.  Nella specie quella della comunità nazionale, che i governanti hanno il dovere di proteggere e dei cui risultati devono rispondere.

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  • Panunzio

  • Cristianesimo giovanneo
  • Un libro essenziale di Silvano Panunzio
  • rec. di
  • Giovanni Sessa
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  • A parere di chi scrive, Silvano Panunzio va ascritto al novero dello sparuto drappello di pensatori che, nel corso del secolo XX, hanno tenuto accesa la fiaccola della Tradizione. Lo affermo, pur muovendo da posizioni assai diverse da quelle panunziane. Il suoi libri sono, comunque li si interpreti, miniere ricche di doni preziosi per lo spirito   Il lettore può trovare conferma di tale affermazione, nella nuova edizione di uno dei libri di maggior pregio di quest’autore, Cristianesimo giovanneo. Luci di ierosofia, nelle librerie per i tipi di Arkeios (per ordini: 06/3235433, ordinipv@edizionimediterranee.net, pp. 200, euro 24,90).   Il volume è arricchito dall’introduzione di Aldo La Fata.
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  • La prima edizione di Cristianesimo giovanneo fu realizzata nel 1989. Si tratta di una raccolta di saggi, per lo più usciti su due riviste di grande spessore teorico, L’Ultima, fondata a Firenze da Giovanni Papini e Feridinando Tirinnanzi, e Metapolitica, diretta dallo stesso autore. Il Nostro, figlio del filosofo Sergio Panunzio, rifondò nel 1946 il periodico sindacale e corporativo, Pagine libere. Dopo la scomparsa del pensatore, avvenuta nel 2010, sono state rieditate molte delle sue opere ed è uscita anche una biografia intellettuale, che ricostruisce le tappe principali del suo iter terreno e spirituale.   Il volume che presentiamo, ha un ruolo di primo piano per la comprensione della proposta realizzativa del pensatore.   Al suo centro sta la figura di Giovanni, nome che, stando all’etimologia ebraica, significa “Dio ha dato la grazia”.  Giovanni, in queste pagine, non è presentato, sic et simpliciter, quale figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo, ovvero quale discepolo prediletto di Gesù.   No, tale nome indica una corrente spirituale presente e viva nel cristianesimo.
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  • Panunzio ritiene che si sia sviluppata, sotto il profilo teologico, a muovere dalla patristica greca e che abbia avuto quali insigni rappresentati personaggi che, non casualmente, portavano il nome, Giovanni: Scoto Eriugena, Pico della Mirandola, San Francesco (Giovanni, al momento del battesimo), san Bonaventura (Giovanni Fidanza), Giovanni XXIII.   La Fata, correttamente, chiosa: «una comunità di anime elette che hanno operato all’interno del cristianesimo con lo scopo di custodirne e alimentarne la vera essenza spirituale» (p. 11).   Non sia tratto in inganno il lettore, Panunzio non rinvia alla visione gnostica, secondo la quale sarebbe esistita una Chiesa giovannea, spirituale e segreta, contrapposta alla Chiesa storicamente presente nel mondo.   Al contrario: «Essere giovannei […] per Panunzio significa affermare il primato e la centralità dello Spirito» (p. 112), senza abiurare la fede nella quale si è nati, senza deflettere dalla Tradizione.  La fede cristiana per Panunzio non è, però, in sé sufficiente: rinvia a una dimensione che la eccede, a un grado di conoscenza più elevato, attinente all’“intelletto d’amore”.
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  • Questo riferimento permette di comprendere la prossimità, ma anche la distanza del Nostro nei confronti di René Guénon.  Non è casuale che il nome dell’esoterista francese compaia in esergo, assieme a quelli di Eugenio Zolli, Agostino Zanoni e Ubaldo Mondio, riconosciute guide spirituali di Panunzio.  A differenza di Guénon, il pensatore italiano non ha fatto dell’“intellezione pura” l’unico strumento atto a ricongiungerci al principio.  Egli, infatti, in queste pagine, ma non solo, concede un ruolo centrale e ineguagliato alla figura di Gesù, ritenendolo: «l’unico essere vivente ad aver realizzato per davvero l’ipseità assoluta, l’identità suprema» (p. 12).  Ciò permise al Cristo, dopo aver portato a termine la propria missione, di non venir semplicemente riassorbito nell’Uno: per questo, in quanto Persona, Egli risorse a nuova vita ed é sempre presente nell’Eucarestia.   Tale il mistero di fede.   Panunzio considerò la santità atta a condurre chi la realizzi, a un gradino superiore a quello cui può pervenire l’iniziato (da qui la svalutazione del ruolo della Massoneria, alla quale Guénon attribuiva una funzione significativa).
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  • Ciò non basta a qualificare i tratti che connotano il pensiero di Panunzio.   Altro elemento essenziale è il particolare ecumenismo spirituale di cui le pagine di Cristainesimo giovanneo trasudano. A riguardo, non è casuale che nella sua Introduzione al volume, egli presenti minuziosamente le figure e le tappe realizzative degli “intermediari”, intellettuali e spirituali, che si sono adoperati per l’ incontro tra Oriente e Occidente.  In sequela di tale congerie spirituale, a ragion veduta, Panunzio pone se stesso.  La sua indefessa azione intellettuale fu consonante, per molti tratti, a quella di Daniélou, di De Lubac e di Balthasar, che agirono per: «resuscitare […] la gnosi cristianissima e niente affatto ereticale dei Padri greci» (p. 18).  Sulla medesima linea di pensiero e contemplazione, tra gli altri, a fianco di Panunzio, si inserì Attilio Mordini.   Costoro erano fermamente convinti che la Rivelazione del Logos non può riguardare solo alcuni uomini ma: «deve necessariamente appartenere a tutti» (p. 12). Il divino non può essere costretto in una forma data, definitiva, nella sua esclusività particolaristica.  Da qui, la profonda e positiva considerazione che Panunzio ebbe dell’ecumenismo giovanneo che, proprio Giovanni XXIII, avrebbe voluto realizzare con il Concilio (dal che si evince la distanza della posizione panunziana da quella del cattolicesimo tradizionalista).
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  • Il cattolicesimo del pensatore, come mostrano le pagine di Cristianesimo giovanneo, è centrato sull’universalità della Rivelazione cristiana. Il libro testimonia, da un lato, proprio tale tratto universalista (ha suscitato interesse persino in chi scrive, che cristiano non è), dall’altro, dalle sue pagine, si evince l’identità di vita e pensiero incarnata dall’uomo Panunzio, la cui esperienza non è stata meramente intellettuale.

 

  • Cop. FRATE FUOCO alta

  • L’occulto e i suoi fenomeni
  • FRATE  FUOCO
  • a cura di Nuccio D'Anna
  • Una critica al neo-spiritualismo
  • rec. di
  • Giovanni Sessa
  • La società post-moderna, liquida, rappresenta, a dire di molti interpreti, il momento terminale della dissoluzione della civiltà europea. A tale risultato hanno condotto, non solo, il razionalismo illuminista, con i suoi correlati economicisti e utilitaristi, ma la pervicace azione di distruzione della “muraglia interiore” degli individui, messa in atto da correnti e sette del neospiritualismo contemporaneo. A tali conclusioni conducono le tesi di insigni tradizionalisti, quali Evola e Guénon, che, ampiamente e in opere specifiche, si sono occupati di tali fenomeni, rilevando il tratto di “apertura verso il basso”, catagogica, proprio del neospiritualismo.  È da poco nelle librerie la nuova edizione di un libro che presenta, con organicità argomentativa, l’analisi di simili problematiche.  Porta la firma di un autore poco noto, Frate Fuoco, pseudonimo di un Padre Cappuccino, le cui opere ebbero un certo successo nella prima metà del secolo scorso. Il volume si intitola, L’occulto e i suoi fenomeni, ed è nelle librerie per Iduna editrice (per ordini: associazione.iduna@gmail.com, pp. 465, euro 28,00).
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  • Il testo introdotto da Nuccio D’Anna, studioso di storia delle religioni e simbolismo, è corredato da uno specifico dizionario tecnico che aiuta il lettore ad avere proficuo accesso al lessico dell’occultismo.  Ricorda D’Anna che, a muovere dal ‘700: «in tutta l’area del continente europeo si sviluppa quel fenomeno che Paul Hazard ha definito “crisi della coscienza”. […] Si tratta […] del capovolgimento totale di tutte le credenze religiose e le convinzioni filosofiche che fino a quel momento erano state considerate fondamentali» (p. III). Inizialmente, tale processo di sovversione, si manifestò nel razionalismo, teso a rappresentare in modalità puramente empirico-materiale la realtà del mondo. In tale contesto ideale, ben presto gli uomini sperimentarono una profonda inquietudo esistenziale che li indusse a prestare attenzione esclusiva alla dimensione istintiva della vita. Sorsero, quali succedanei della religione e della trascendenza, varie forme di psichismo. Intervenne, come rileva Frate Fuoco, una confusione esegetica, incapace di distinguere tra fatti naturali, preternaturali e sovrannaturali: «Si è trattato di un disordine ben strutturato che ha invertito ogni gerarchia interiore» (p. V).
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  • Non potendo tacitare l’anelito alla trascendenza, chiosa il cristianissimo autore, lo si indirizzò verso forme di pensiero fuorvianti e lo si catalizzò in istituzioni, mirate a: «sostituire l’azione anagogica della Chiesa» (p. V).   Pensieri e istituzioni che indussero, a suo dire, l’uomo moderno ad abbracciare definitivamente il nulla.  Movimenti quali lo spiritismo, nota D’Anna, come mostrano documenti di Società segrete legate alla Rivoluzione, furono artatamente creati per impedire il ritorno al trascendente.  Tra i primi fenomeni, legati al diffondersi del neo spiritualismo e criticati dall’autore, figurano il magnetismo, l’ipnotismo e il sonnambulismo: ponendo l’attenzione su “fluidi” ed “energie”, illusero un numero consistente di creduloni sulla possibilità di superare, con estrema facilità, la comune condizione umana.  Il fenomeno che coinvolse un pubblico davvero ampio è stato il medianesimo.  Al di là dei numerosi ciarlatani, quest’ambito è esperito da Frate Fuoco quale testimonianza dell’esistenza di soggetti umani “passivi”, che spengono ogni traccia di personalità in sé, ma che nulla sanno delle forze che, in tal modo, li investono e delle quali divengono succubi.   Il medium è agito, in lui parlano le “forze dal basso”, è un posseduto.   A volte si è creata, sostiene l’autore, una vera e propria simbiosi, tra medianesimo e demonismo.
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  • Le società, semi segrete, che raggrupparono i seguaci di tali credenze, erano centrate sulla presenza di un capo carismatico, vero e proprio despota nei confronti degli adepti.  Il pullulare e diffondesi di tali gruppi ha creato una “catena psichica” regressiva che sta a monte della stessa dissoluzione della personalità, oggi evidente.   L’omologazione dei culti, le pratiche deviate, in tali gruppi, di “magia nera”, l’utilizzo di talismani e amuleti per difendersi, eventualmente, da “malefizi”, sono testimonianza della credulità di ritorno propria del neospiritualismo e del ruolo devastante che esso ha giocato e gioca nella dissoluzione dell’Io.   Frate Fuoco prende in considerazione la stessa visione del mondo della Teosofia, ne ricostruisce la storia.   Ritiene che la concezione teosofica di Dio sia essenzialmente panteistica in quanto: «Il Dio dei teosofi è niente in sé, ma diventa tutto in ogni cosa nella quale acquista l’essere, il genere, la differenza, la individualità, la personalità ed ogni altro attributo» (p. 323).   Rifiuta, inoltre, nel nome dei principi cristiani, la dottrina del karma e quella della reincarnazione che condurrebbero alla negazione del libero arbitrio.     Definisce, infine, la Teosofia un ritorno al paganesimo!
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  • Il che ci pare non corrispondere alla realtà.   Infatti, se come rileva D’Anna, nel neospiritualismo, e quindi anche nella Teosofia: «non c’è nulla di autenticamente tradizionale», come avrebbe potuto tale movimento moderno riproporre la visione classica del mondo, nella quale la Tradizione si è incarnata?   Il termine paganesimo è del tutto improprio, in un volume che comunque conduce il lettore a una lettura critica del neospiritualismo.

Le "Istallazioni creative", heliopolis design, di Sandro Giovannini

  • 1 Istall. Creat. Pesaro 1 insieme
    "ISTALLAZIONI  CREATIVE".   Nel n°43 di “Letteratura-Tradizione”, del 2009, nella forma “a libro”, ultimo numero delle tre serie della rivista, uscì nella sezione finale a colori (pag. 219-221) un mio resoconto di tutto il percorso che mi aveva portato dalla metà degli anni ’60, attraverso tutti gli esperimenti d’incrocio tra immagine e parola, a giungere alla fine degli anni ’90 a studiare e realizzare per la heliopolis design, dei complessi manufatti parietali per interni ed esterni, equilibrati tra proposta artistica ed indicazione arredativa. Non quindi delle sculture, che, nel mio caso, rispondono, anche ora, ad un più stretto e del tutto personale criterio creativo, ma una forma  imprevedibilmente capace di suggestioni diverse, e rivolta primariamente all’interno od all’esterno della dimensioni architettonica, con una valenza ricercata e perseguita per far star meglio persone e cose, consapevolmente e diversamente da ciò che la cosiddetta opera d’arte ambisce più o meno sempre, a ragione od a torto, come statuto e rango. Qualcosa quindi di volutamente “inferiore” ma al fruttuoso incrocio - sempre più doverosamente esplorabile - tra maestria e maestranza. Non una cosa nuova, se vogliamo essere sinceri, perché nuova non può essere e non vuole neanche sembrare quando ogni ideuccia variativa, diciamo ogni “modello di utilità” (per esser chiarissimi) già se ne arroga la qualità, quanto ancora del tutto spiazzante proprio perché assembla più spazi significanti nello stravolgimento dei protocolli dell’artistismo e del deviazionismo creativo. Incredibilmente quelle 3 pagine diedero motivo (allora) ad un famoso critico artistico - non so come miracolosamente colpito da un semplice e forse velleitario accrocchio di 4 foto, neanche riuscitissime - ad invitarmi più che generosamente ad esporre a Palazzo Venezia, tale modulo espressivo. Dopo difficile valutazione, decisi, credo responsabilmente, di non farlo, perché avrei dovuto deviare all’improvviso da tutta la mia vita di ricerca ed espressione, che aveva ancora una precisa connotazione comunitaria, a qualcosa di inevitabilmente diverso, marcato da una singolarità stravolgente. Dovendo concentrarmi per anni, necessariamente, senza poi nessuna garanzia di sequela vera, su una cosa sola, mentre ho sempre privilegiato farne molte e diverse, contemporaneamente. Da qualche tempo, però, si è rideterminata verso questa nostra idea di allora - evidentemente a suo tempo anzitempo - un interesse che potremmo definire maturo e più comprensivo della valenza ricca e non solo assemblante, forse intelligente e non solo furba, comunque coinvolgente e non solo a parole nell’ormai abusato ricorso allo slogan olistico ed interattivo... Chi frequenta infatti, ora, i più importanti siti ove si determinano concetti abitativi e fatturati rilevanti si rende conto - persino contro ogni sua legittima od ingenua aspettativa - della discrasia lampante tra lo scontato minimalismo arredativo per interni imposto disfunzionalmente e proposte architetturali a volte persino affascinanti e/o geniali. Con riflessioni conseguentemente e dolorosamente scontate sugli esiti diffusamente infausti di ideologie e didattiche ormai dominanti.
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  •  1 Istall. Creat. Milano 1 vista complessiva vicina

  • “Istallazioni creative”
  • (Heliopolis, 1985-2023)
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  • L’idea si é concretata in medie e grandi realizzazioni parietali, per interni ed esterni, che hanno convogliato molte delle nostre precedenti esperienze con e su materiali più diversi tramite tecniche specifiche per cuoio, pergamena, stoffa, carta pregiata, legno, radica, oro, argento, rame, piombo, plexiglass, marmo, resina, terracotta, microcemento, encausto, mosaico, serigrafia, digitale, scrittura manuale, incisioni e/o traforazioni laser, tramite metodologie ispirate all’antico e trattate modernamente.
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  • Ora, mélange e sovrapposizione di tecniche miste e citazionismo, ricavando il maggior vantaggio da una visione urfuturista, (consapevolmente, da noi solo evocata), ove tutti i lasciti del secolo mai esaurito entro l’eterna guerra civile europea, vissuti tramite una lettura conciliativa e giustapposta di ragioni spirituali e sentimenti materiali, ricerca ancora, seppur disperatamente, una sua armonica potenzialità espressiva. Queste “istallazioni” non richiedono astrusi strumenti decodificativi e non ammiccano inutilmente a potenzialità indimostrate od indimostrabili. Sono alla portata di molti, ovviamente ai relativi livelli, proprio perché già comprendono in sé elementi storicizzati seppur complessi, classici, moderni, comunque resi contemporanei. E sperabilmente espressivi. Il complesso non può e non deve prospettarsi nuovo, ma considerando lucidamente, oggi, le logiche della “catastrofe simbolica” di tanta teoria a riguardo del mercato automatico attuale e delle relative superfetazioni artistiche del mito del “marchio/marchiatura”, dispiegato ormai senza tregua, risulta ancora del tutto spiazzante, soprattutto per ricomposizione difficile tra mastro e maestro, in controtendenza assoluta con il superego narcisista del mito fasullo del “creativo”.
  • La problematicità, quindi, non è tanto o solo nell’essere fuori dal prevedibile schema dell’opera troppo individualizzata nelle sue varie declinazioni, quanto nell’idea/incrocio di varie logiche espressive, che è anche risultato di un percorso che vocazionalmente ha incluso molte esperienze da noi fatte nei decenni tramite il comunitarismo creativo, ovvero una sorta di lunga stagione poetica, critica e metapolitica operata comunque con un senso più ampio di quello dell’artista singolo, non per difetto d’individualità o per vezzo modaiolo, ma per rifiuto dell’artistismo e del maledettismo, persino oltre la solita nozione di “gruppo” artistico, in quanto tentata su vari livelli (poetico, letterario, artistico, metapolitico, saggistico, editoriale, organizzativo...). Esperienza maturata poi anche in validi percorsi individuali. La tecnica applicata quindi del montaggio e dello smontaggio - interpretata qui esteticamente più che meccanicamente, può raggiungere una sua risultante pratica. Tramite diversi moduli artistici, l’intercambiabilità, concetto/chiave, infatti, non permette solo cambi e sovrapposizioni (=di scenario espressivo) ma anche eventuali sostituzioni nel tempo. Cosa che, in più, lega il destinatario con un rapporto di maggiore durabilità. Con diversi stili applicabili per una risultante figurativa, evocativa, storica, letteraria, sempre facilmente riconoscibile. Anche con specifici “lacerti artistici inclusi”. Nello specifico delle “istallazioni creative”, il risultato, poi, non va letto come “prendere o lasciare”, isolato dalle sia pur minime potenzialità condivisibili della committenza, ma come valore realmente interagente con la fruizione e la committenza stesse. Non solo a parole, non solo con la parola, ma nel manufatto. Con il coinvolgimento diretto di una “presenza” precisa - sia pur necessariamente trasfigurata - della committenza e della fruizione contestuale, tramite due apparati specifici, diversamente mandati ad effetto, e sempre presenti. Un’immagine della committenza, familiare e/o evocativa/interna, su intesa con i produttori (a vario titolo) ed una specularità, operabile di volta in volta, che rende immediatamente percepibile la fruizione, riflettendo (oltreché, ovviamente, inglobando).
  • 6 Istall. Creat. Milano 3

  • Nelle “istallazioni creative”, a differenza decisiva rispetto a tutte le altre produzioni paraeditoriali Heliopolis, però, dobbiamo sottolineare che, tali manufatti replicabili in base allo stile scelto di volta in volta a seconda della ragione contestuale, ambiscono avere un livello eminentemente arredativo e scenografico, pur con una indubbia pregnanza artistica dovuta agli inserti con maggiore o minore caratura creativa, di volta in volta inseriti. Questa potrebbe apparire una capitis deminutio, ma è una piccola voragine su mondi lontanissimi.
  • La complessiva “scrittura esterna” (1) della ragione e del sentimento del nostro tempo, ha quindi una valenza di sommatoria epocale e di tentato recupero terminale, che non può essere disconosciuta facilmente, se non a prezzo di un rifiuto aprioristico al confronto dialogico tra norma e scarto, confronto ormai ampiamente storicizzato. (2) Gettati nel tempo e condizionati dal clinamen. Ma con una realizzazione identica a sé. (3) Al proprio stile. (4) L’evocazione riconosciuta che diviene espressa ricerca dell’identità simbolica (5) tramite una rappresentazione scenografica di volta in volta messa in atto, tra essere e sapere, (6) ove la comprensione dei produttori, dei committenti e dei fruitori, tre assoluti comprimari pur con ruoli ben differenziati, diviene il punto centrale di mediazione, punto focale, in quanto normale, (7) in quanto comprensibile, in quanto vis(v)ibile... Quindi non “trovare un nome”, non “dare una definizione”, formule d’accatto, buone per ogni vera o finta furbizia o costruita ignoranza, (8) ma aiutare a saper vedere, saper comprendere... comprendendo noi per primi tutto ciò che ci è suggerito dal passato, la tradizione del colore (espanso) e della sua effettività identitaria e trainante, così antico-occidentale come estremo-orientale, riscontrabile ora, possibilmente senza esclusioni o false primazie, nel presente e nel futuro delle neuroscienze.
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  • Infine accompagnando per mano il committente in un percorso che gli verrà fornito - con un supporto “critico specifico” scritto e/o multimediale - affinché non sia lasciato eventualmente in un debito di conoscenza verso ospiti amici e conoscenti vari che dovessero vedere il manufatto, magari compiacendosene, senza però aver (di fronte) alcun strumento di riferimento preciso. Infatti abbiamo già inteso, in passato e con sorpresa, a solo esempio dalla gioiellistica, il silenzio ottuso sulla parola... che andasse appena oltre qualche nota di garanzia o di servizio. Anche come prova di un percorso creativo non di “interiorizzazione di ritorno”, di “ritenzione secondaria o terziaria”, più o meno obbligata, ma di messa al centro delle esigenze più profonde (in una sorta di sobria maieutica) e magari per nulla o poco affiorate del committente medesimo. L’imposizione autoriale, comunque ineliminabile, almeno si sublimerebbe in tal modo lungo una prova possibilmente non autoritaria ma autorevole, non lineare ma ritornante - potremmo azzardare - ciclica.
  • ...
  • Quindi istallazioni oltre la supponente od eterodiretta indisponibilità, ma che favoriscano interrogazioni, approfondimenti, suggestioni di ricerca.
     1 Istall. Creat. Venezia 1 particolare parete destra

  • Note.:
  • 1) Manifesto della scrittura esterna. Il Manifesto della scrittura esterna fu pensato dagli amici e collaboratori che gravitavano già dalla fine degli anni ottanta intorno all’Heliopolis Edizioni (1985-...) ed allo scriptorium heliopolis, emanazione della prima e realizzato da artisti ed antichisti di fama (da cui anche il possibile titolo di “nuova epigrafia”). Intendeva proporre l’affiancamento alla normale “scrittura interna” tramite una scrittura proiettata verso l’esterno, verso gli spazi del pubblico, non in un modo solo funzionale, ma fortemente identitario, partecipativo verso la comunità, utile per il commerciale e la comunicazione, in tutte le sue forme, oltre ogni livello precedentemente raggiunto (se non, meravigliosamente, nell’antico). Trovava in più in molte epoche e stili diversi una corrispondenza non solo formale o di compiaciuto e rettorico stilema, ma di profonda necessità e quindi d’intima sostanza. Il manifesto non rimase solo un’enunciazione teorica. Fu base logica e programmatica di un fare che si estrinsecò (e si manifesta tuttora) in molte realizzazioni, alcune ben riuscite anche commercialmente (esempio il caso eclatante delle magliette letterarie dell’Heliopolis, 1988-1995, prime in tutta Italia) dell’editoriale e del paraeditoriale, dell’alta moda, della gioiellistica, dell’arredamento, della musealistica, del supporto ad istituti di antichistica, del promozionale, marcando uno stile non confondibile.
  • 2) In: Sandro Giovannini, ‘Stile tra norma e scarto’, da L’Armonioso fine, 2005, SEB, pag. 56-57, ove vengono affrontati e discussi alcuni passaggi logici di riferimento, tratti da scritti critici al riguardo, di Richards, Barberi Squarotti, Brioschi, Di Girolamo, ed altri...
  • 3) “...Lo stile non esiste antecedentemente, non si rinviene per strada, è al di là di ogni categoria spaziale e temporale, è nel regno del prepensiero, ma anche nella democrazia del fatto, esiste in sé ed in sé si mostra, quale prova che va salvaguardata dal pensiero filosofico/categoriale, logico ed anche irrazionale...”. in: S. G., ‘Operari sequitur esse’, da L’armonioso...,cit., pag.12. Questa citazione, che sembrerebbe poter aver senso solo in un milieu filosofico, aiuta invece a giustificare l’effettiva realizzabilità del:“...sempre facilmente riconoscibile”, di cui sopra.
  • 4) “...In questo senso ha valore l’indicazione, spogliata giustamente d’enfasi, del sincretismo, non come momento magmatico ma di sottolineatura, ecumenicità, stile...”, in: Agostino Forte, dal “Commento”, 30.08.1994, al testo del manifesto della scrittura esterna e dello scriptorium heliopolis. Il sincretismo quindi, non in una valenza new age che confonde tutto, quanto nel senso delle lezioni di uno Zolla ed altri studiosi comparativisti del sacro dell’etnografia e della religione, per utopie di sintesi necessarie più che per prese d’atto d’ibridismi subiti. Questo “stile” - solo nel caso specifico delle “istallazioni creative” - resta riconoscibile anche per il metodo proposto come ricercatamente interattivo con la più diversa committenza, soprattutto per i due strumenti sempre - difformemente - presenti nel manufatto.
  • 5) L’evocazione dell’identità simbolica è un processo che l’Heliopolis ha messo in conto, negli anni, anche con il progetto telematico ELOGICON (2015-) In tale direzione si deve comunque trovare un punto d’incontro tra la capacità di riconoscimento che pertiene all’Heliopolis design e la vera e propria identità simbolica del committente. Consapevole od inconsapevole. Tra mille esempi possibili, la ricerca filosofica del “valore spirito” di Valery o dello svelamento della voragine del “formicaio digitale”, entro la “società’ automatica” di uno Stiegler, ovvero la ricerca sulla “miseria simbolica”. Per trovare tra le forze contrapposte (come nell’arco romano), il punto di svolta (far cadere=rivoluzionare) o chiave di volta (stabilizzare=conservare) come precisa risposta del (e nel) manufatto. Progetto non facile e mai scontato, di cui la maieutica è metodo. Un costruire lungo un’idea collaborativa effettiva e non di facciata. Non per slogan o solo a parola, ridotti alla differenza (spesso troppo evidente) tra dichiarato e realizzato, pressati dal funzionalismo delle pratiche.
  • 6) P. D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio Ubaldini, 1976.
  • 7) “...Così il richiamo costante alla normalità, che rischia di divenire un’invocazione suggestionante alla normalizzazione, non può non trascurare (a pena d’inversione totale), avendo origine dai terreni del positivismo logico e del materialismo dialettico, la teoria della normalità geniale (la normalità guidata identitariamente dai propri geni e cromosomi) ovvero dell’usualità producente, ovvero della sobrietà creativa, che sono tutte misure che appartengono invece (o dovrebbero appartenere...) per statuto alla migliore cultura tradizionale, nata comunque dentro e contro la modernità, se pur nutritasi di altri lieviti (non solo storici, non solo scientifici, non solo emozionali) e che del processo della modernità è, volta a volta, controcanto, parodia, negazione, inveramento, cioè tutto ed il contrario di tutto, ma non solo per una forma d’inessenzialismo soteriologico, di dualismo gnostico, di relativismo metalogico, ma soprattutto per la propria necessitata alterità, per il proprio insopprimibile fondamento reattivo, per la propria autentica vocazione d’attenzione al moderno, persino quando in chiave antimoderna. Per l’autoeducazione al rapporto essenza/personalità, volto/maschera. Ad esempio, vorremmo sapere chi più di Benn, secondo ogni nihilismo possibile ed impossibile, nella letteratura moderna, ha colto la ‘doppia vita’, costante volto di maschere mutevoli, o chi più di Pound ha dettato un latino dello spirito, o chi più di Gurdjieff, ha rilevato l’automatismo dell’apparente sola personalità, o chi più di Jünger ha sferrato un potente assalto all’unidimensionalità anche per stile espressivo/registrativo, o chi più di Evola ha combattuto contro il demone del rapporto tempo-atemporalità, epoca-ciclo o chi più di Mishima ha esemplificato, ancora, la ‘doppia vita’ della spada e delle lettere. Questi lasciti, al di là delle stesse personalità autoriali, e delle specifiche contestualità di riferimento, di volta in volta ben discutibili, e quindi valutate come icone d’orientamento e non solo come miti catafratti, sono complessivamente il nostro ‘vincetossico’ alla normalizzazione, allo snobismo come al populismo; in pratica sono sistemi di segni d’orientamento poco fallibili, che, a noi, infelici e carenti di una visione perfetta, segnalano i confini di un percorso, e che ci impediscono comunque di deragliare...”, in: S. G., ‘Semplificazione, atto rivoluzionario’, da L’Armonioso fine, cit., pag. 84-85.
  • 8) AA.VV., “Letteratura - Tardocronache dalla Suburra”, n.° 2; 1985, Heliopolis Edizioni, ove si affronta validamente il tema della “creatività diffusa”, o della “creatività surrogatoria”, pag. 40-45: Marcello Veneziani, Creatività tra libertà e trasgressione: “...La più autentica realizzazione della creatività non è data dall’affermazione della soggettività, ma al contrario la realizzazione creativa è l’affermazione di una superiore impersonalità, è l’espressione dell’oggettività”. Vedi anche, a riguardo di “trovare un nome” o “vera e finta ignoranza”, la presa d’atto di un coraggioso: ...abbiamo «...coniato un’intraprendente ondata di nuovi ossimori per sospendere le vecchie incompatibilità: life/style, reality/Tv, word/music, museum/store, food/court, health/care, waiting/lounge. Il nominare ha preso il posto della lotta di classe, amalgama sonoro di status high concept e storia. Attraverso acronimi, importazioni inusuali, soppressioni di lettere, invenzione di plurali inesistenti, lo scopo è liberarsi del significato in cambio di una nuova spaziosità… il Junkspace conosce tutte le tue emozioni, i tuoi desideri. E’ l’interno del ventre del Grande Fratello. Anticipa le sensazioni della gente…». Citazione da: Rem Koolhaas, Junkspace, Quodlibet, 2006, pag.84, in: Sandro Giovannini, “A proposito di Rem Koolhaas”, su   www.heliopolisedizioni.com
  • 2 Istall. Creat. Montefiore 1 B

  • I riferimenti logici riportati nelle note sono ora tutti leggibili nel sito ufficiale della Heliopolis Edizioni e della, ivi inclusa, “rivista online heliopolis”: www.heliopolisedizioni.com

Il Cavallo del Fato

 

 

Scultura:

"IL CAVALLO DEL FATO"


1 Cavallo del Fato fianco 1

"IL CAVALLO DEL FATO", Scultura di  Sandro Giovannini,   2017
(alt. 3 mt., lungh. 2,50, largh. 1, materiali vari)

 

  •  I 
  • Memoria

La scultura nasce come una sfida ideale al tempo attuale e riporta una passione ed una cura priva di orpelli, essenziale, significativa. Non è solo un rischioso tentativo di ripercorrere con un passo lento e progressivo un mito antico che è andato consumandosi nei secoli quanto una prova che un uomo costantemente può compiere per riprendere il discorso dell’origine, sempre possibile.  (1)

L’incudine ed il martello sono la stessa materia umana sottoposta alla legge entropica che prima dà e poi toglie e poi ridà ancora, senza alcuna pietà, nel primo senso e nel secondo. La pietas invece è tutta nella ricostruzione che un uomo compie, accanto al suo totem, reggendolo per le redini, alleato di spazi e conquiste da tempo immemorabile, come astro di riferimento tra alcuni altri, in una ferma costellazione teologica, sapendo che può perderlo e perdersi con esso. Il cavallo, “scuotitore della terra” (enosichthon), catafratto, dedicato, sacrificabile. Il racconto dice infatti del cavallo come inganno per conquistare Ilio, ma noi sappiamo bene, dagli scavi nel sito di Troia, non risultare affatto un insediamento acheo nella città. (2) Quindi l’inganno che fonda il mito potrebbe rivelarsi duplice; il cavallo simbolo del terremoto, innegabile travaglio di un sommovimento comunque avvenuto, sacro a Poseidone, ma gestito dalla potenza astuta ed atroce di Atena, prima come Palladion teucro,  poi come Vittoria romana, (3) valido a fondare forse una falsa sconfitta dalla quale promana una certa vittoria, anch’essa senza tempo. E’ l’antica storia dell’incudine e del martello, ove l’uomo, il fabbro, l’artefice, l’ingannatore, il distruttore, infine il fondatore e il pio, riesce, assieme al suo antenato, a caricarsi addosso la sua colpa, la sua paura ed il suo coraggio, tutti inevitabili al destino ed affrontabili nella vacuità.   (4)

 

 

  • II
  • Confronto

Confronto sui materiali. Il legno innanzitutto, scarto delle navi e dei tanti apprestamenti, ora scarto di produzione nell’immane mercato in cui siamo immersi tutti e dell’altro legno, invece, molto prezioso, a tasselli di mosaico radicali e profumati, lavorati uno per uno. E poi il piombo greve della condotta sotterranea e della lotta di fronte, usbergo di ogni scontro a viso aperto, richiamo al duplice materiale tossico dell’esistenza ma anche immune alla corrosione, dialettico come sconfitta e riscatto. La pesanteur come dimensione, inevitabile, di fondo. La commistione dei materiali e delle forme attira il già detto della “scrittura esterna”, (5)  con un’approssimazione al rispecchiamento dello spettatore nella torre merlata e nell’antico muro di truia, che avviene al punto più alto della rappresentazione umana e dell’utopia, con l’iscrizione della profezia di Enea, che instaura la nostra vera storia e che rimanda, nel suo rito lustrale e fondatore, al tanto giovane perdurante ed attestato lusus troiae, (6) labirintico parto della memoria ancestrale. (7) Ma su tutto dominano le dee, ambedue già consumate da secoli e sempre in complessa diatriba tra racconto letterario e mito, già copie di copie, la Minerva Tritonia del sacello di Enea a Lavinio e quella romana dell’Altare della Vittoria, sottostante, inquieta nei suoi ultimi anni di vittoria, quasi ad invertire (e ribadire) la partenza nemica e disastrosa. L’inganno, la divergenza e la rovina, incombono perennemente come le due dee, una sopra composta dall’autore in arte di terra sull’altra, trovata, in fusione di bronzo. Il rispecchiamento duplice quindi avviene anche nella materia più dura e significativa e non solo nell’immagine alta e transeunte che noi proiettiamo di noi stessi, sulle pareti cangianti del tempo. Il bronzo è l’altro che domina dal livello della sua epoca a ricordarci che non tutto, anche oggi, è necessariamente di plastica.

 

  •  
  • III
  • Atteggiamento

L’autore non cerca nulla che non sia nell’opera, quindi il lavoro più volte rifatto, non solo il progetto presuntuoso, l’affidamento costante, la protezione ormai benevola, quotidiana, persino il possibile gioco infantile per un ideale destinatario, ragioni semplici di un asseverarsi nei sempre perseguiti sogni della giovinezza, il tutto nella compagnia di una bestia, possiamo dire, non tanto immaginaria quanto storica. Che, nel suo alternato passaggio da sconfitta a vittoria, perenni, non inganna e non tradisce più. E’ un segno continuo, forse pesante ma caldo. L’animale viene ancora offerto in sacrificio allo sguardo di favorevoli e contrari, non sappiamo più quanto capaci realmente di vedere questo, fuori dagli ammiccamenti di mercato; determinato invece, nella proiezione fantastica, ad un sacrificio ben più ampio, ad una storia che non si arresta neanche con la caduta, apparentemente irreversibile, del racconto iniziale... Quindi più che il cavallo troiano qui vi è il cavallo del fato, ovvero un processo che mai trova requie e spiegazione piena se non in una auto rappresentazione che forse sa meno ordinatamente della storia, sperimentando più sapientemente il mito...

 

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ROTOLI corti (Volumina)
  •  ROTOLI CORTI
  • (Volumina)
  • DISPONIBILI:
  • 2 Rotolo astuccio aperto con scritta
  • nella foto si vede il contenitore "Rotolo-Astuccio" aperto ed il contenuto interno:  "Preghiera ad Helios Re" di Giuliano Augusto... 
  •  ...il cilindro di legno ha un ritorno a molla  della sezione del cilindro di chiusura per  comodità e velocità d'apertura e chiusura
  • ed un blocco  rimuovibile (volendo tener ferma la carta),  visibile nell'immagine in basso a sinistra.

DISPONIBILI:

  • - Il tricolore. Simbolo e logos,  di Sandro Giovannini.
  • -  L'Altare della Vittoria, di Quinto Aurelio Simmaco, a cura di Sandro Giovannini
  • - Origini e labirinti,  di Sandro Giovannini.
  • - Omaggio  Catullo, di Edoardo Sanguineti,
  • con nota di Franco Brioschi, a cura di S.G.,
    • - Quarto d'ora di poesia della Decima Mas, di Filippo Tommaso Marinetti,
    • con intr. di Benedetta, a cura di S.G..
    • ***
    • - Il giudizio di Pilato, da Marco, *
    • - Canto CXVI, di Ezra Pound,  *
    • - Preghiera ad Helios Re, di Giuliano Augusto *
    • * i precedenti tre rotoli - A RICHIESTA - possono essere anche inseriti nel Rotolo- Astuccio  (=contemitore  cilindrico in legno)
    • ***
      • (Comunque tutti i precedenti Rotoli-corti esclusi  quelli inseribili nel Rotolo Astuccio   (=contemitore  cilindrico in legno)
      • sono racchiusi in un CARTONCINO SEMIRIGIDO CILINDRICO di carta pregiata 
      • ..a seguire caratteristiche specifiche di tali rotoli corti)

 

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