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Rubriche Editoriali

rubrica editoriale

  • TEOLOGIA POLITICA E DIRITTO

  • Geminello Preterossi
  • Teologia politica e diritto
  • (Editori Laterza Bari 2012, pp. 295, € 25,00).
  • rec. di
  • Teodoro Klitsche de la Grange
  • L’espressione “teologia politica” è polisensa. Di solito denota l’influenza della religione nell’ordinamento delle comunità umane; in altri casi la corrispondenza tra rappresentazione dell’ordine metafisico-teologico e quello politico; in altri quello della somiglianza tra concetti della teologia con quelli del diritto pubblico. Il tutto in un’epoca in cui la secolarizzazione appare compiuta, il cielo si è eclissato ed ha lasciato la terra, onde parlare di teologia politica sembra un’attività di archeologia culturale.
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  • L’autore ritiene invece che: “La tesi fondamentale di questo libro è che la teologia politica sia inestinguibile. Anche al tempo della sua negazione, qual è quello presente. L’obiettivo che ci proponiamo è di scavare dentro questa insuperabilità. Sia facendone la genealogia, in modo da illuminare il nucleo teologico-politico della modernità e la costante riemersione di domande di senso in ambito secolare. Sia evidenziando le forme rovesciate che la teologia politica assume nel contesto ideologico neoliberale, cioè come teologia economica e teologia giuridica”. Al posto della teologia politica appaiono quindi quelle economica e giuridica “Ma interpretare quella crisi come tramonto o scomparsa sarebbe ingenuo. Piuttosto, con la teologia economica e quella giuridica si assiste alla riproposizione in forme rovesciate, spesso ostili al primato del “politico”, dei problemi di legittimazione e delle esigenze ordinative che sono alla base del nucleo teologico-politico moderno e del suo lascito paradossale”.
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  • Per teologia economica (il termine è anch’esso polisenso) Preterossi intende in primo luogo “una proposta ermeneutica sul neoliberalismo che non si limiti a sottolinearne gli aspetti ideologici e le conseguenze sociali, ma individui in esso un paradigma di razionalità e di governo basato su altre logiche (e altri “assoluti”) rispetto alla costellazione di senso propria della trascendenza politica sovrana”: il tutto senza alcuna trascendenza (almeno apparentemente). Mentre con la formula “teologia giuridica” si intende sottolineare la tendenza alla moralizzazione della normativa giuridica”. Come la teologica economica è rivolta contro la sovranità degli Stati, ma, non è riuscita ad eliminare quello che Miglio chiamava “regolarità della politica” e, in un diverso discorso, Freund “i presupposti del politico”, e ancor meno le situazioni eccezionali. Che anzi si sono ripresentate in modi (la pandemia) e in teatri (la guerra in Europa) dove sembravano estinte. Segno che i quattro cavalieri dell’apocalisse non sono stati pensionati dalla “fine della storia”. L’inconveniente fondamentale del neo-liberalismo è di andare “in direzione di un modello di società che escluda qualsiasi dimensione di trascendimento simbolico del piano di immanenza… non solo non riesce più a fare ordine, ma per arginare illusoriamente tale ingovernabilità si finisce per revocare… tutti gli elementi costitutivi del “politico”, senza tuttavia la possibilità di istituzionalizzarli, renderli produttivi, travolgendo così anche la funzione della mediazione giuridica e sociale”. Guerra e stati d’eccezione (da anni nell’occidente globalista viviamo per lo più tra l’uno e l’altra) mostrano come “tutti i tentativi di aggirare o rimuovere la teologia politica ne subiscono la nemesi, pagando il prezzo della mancata assunzione delle sfide alle quali essa corrispondeva. Così che, in un quadro disarmante di inefficienza ordinativa, si finisce per replicarla surrettiziamente in forme compensative e politicamente inefficaci”. In effetti caratteristica della modernità “grazie a una serie di passaggi che siamo abituati a denominare “secolarizzazione”, (e che) la politica e la mediazione giuridica si sostituiscono alla religione come forza coesiva mondana. Ma non si tratta di una liberazione del religioso, cioè delle aspettative che in esso erano riposte. Quella sostituzione carica la politica della funzione simbolica istitutiva che era stata propria della religione”, e produttiva di coesione sociale perché esercita la funzione di mediare e decidere i conflitti. Per cui il riemergere del “politico” (e del teologico-politico) ai tempi dell’anti politica, ne prova l’insostituibilità.
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  • La stessa “teologia economica” neoliberale “ è una teologia politica “anti-politica” perché fa dell’immanenza un assoluto, Cioè una forma di trascendenza sacrale che nega se stessa. Infatti il neoliberalismo non è, se si guarda alla sua logica profonda, solo una teoria “economica”, ma una filosofia della spoliticizzazione dell’agire umano”. Analogamente la sua opposizione dialettica, ossia il “populismo”, non rinuncia al “fondo” teologico. Scrive l’autore che “”Ne deriva che o c’è dio o c’è il popolo: nelle società secolarizzate, è inevitabile che la fonte sia quest’ultimo. Il popolo prende il posto di dio come soggetto costituente. Il populismo, evocando il popolo, si ricollegata a questo passaggio decisivo della tradizione democratica moderna, che è un passaggio teologico-politico in senso schmittiano, quindi come sostituzione di una “trascendenza politica” moderna, emergente sul piano dell’immanenza a una trascendenza sacrale, in sé “trascendente””.
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  • Preterossi conclude sostenendo (cosa ormai evidente) che la “teologia economica” alla lunga, non ha funzionato: al deficit di eccedenza politica non ha sostituito alcun surplus ordinante “Ciò ha causato una profonda crisi di legittimazione”, né ha suscitato legami comunitari. La “teologia giuridica” neppure: la tesi dell’autore è che “la saldatura di un diritto sempre meno preoccupato dell’effettività e della certezza con la morale neoliberale sia non solo il segno di una generale crisi del “giuridico”, ma allo stesso tempo il tentativo, disperato e fallimentare, di individuare una sfera legale eticamente immunizzata, che compensi la perdita di auctoritas delle istituzioni e l’inaridimento della sfera pubblica”. La teologia politica è così inestinguibile “in quanto esprime la struttura di fondo della metafisica politica moderna… L’unico modo per tenerla sotto controllo è riconoscerla, non contrapporvisi direttamente, o negarla. Se, come credo, la modernità può essere concepita come una forma di “auto-trascendenza dell’immanenza”, ciò significa che la teologia politica è un movimento interno alla modernità secolare”. Non è necessario che il fondamento sia di natura religiosa “Può essere anche di natura etico-politica, ideale (nella modernità matura è stato prevalentemente tale). Ma il punto è che il “contenuto etico” non può risolversi in compensazione soggettivistica, moralistica del vuoto d’identità collettiva”. Così “La teologia politica si ripropone oggi nella forma del simulacro. Non produce risposte politiche, ma surrogati di verticalità e di sicurezza”.
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  • Resta il dubbio se vi siano forme di soggettività politica collocabili “oltre” la teologia politica, che l’autore ritiene auspicabili... “di visioni politiche ambiziose, che non temano di confrontarsi con le “cose ultime”, abbiamo bisogno. La politica come amministrazione va bene, forse, per tempi tranquilli. Non quando lo spirito torna a calzare gli stivali delle sette leghe”
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  • Un saggio assai interessante ed esauriente, nel solco pensiero di Hobbes, Hegel e Schmitt.  Una notazione del recensore ad un libro così articolato e del quale ho cercato di rendere l’essenziale.  È noto che a partire da de Bonald, continuando per Donoso Cortes e arrivando a Maurice Hauriou la correlazione tra concezioni teologiche e forme politiche (non solo statali) è stato variamente affermato. Così per de Bonald il deismo era la concezione teologica sottesa al costituzionalismo liberale (il re che regna ma non governa), il teismo cattolico allo Stato assoluto; per Donoso Cortes il nocciolo del liberalismo era sempre deista, quello del socialismo ateo. Per Maurice Hauriou lo stato borghese era uno dei possibili esiti della dottrina teologica del diritto divino provvidenziale, mentre lo Stato assoluto lo era del diritto divino soprannaturale; il decano di Tolosa riteneva anche come questo fosse un intervento (intervention) della metafisica sul diritto. Il quale ricopre come un guscio (couche) il fondo (fond) teologico, ma non può sfuggire a questa costante (o regolarità). La quale si manifesta chiaramente quando il diritto viene a mancare, come nel caso dei governi di fatto, fondati sulla “giustificazione teologica” e non sulla legalità delle procedure. Il fond teologico è così creatore di forme giuridiche. Resta da vedere quali forme possa creare il “pilota automatico” (versione tecnocratica della “mano invisibile”) tecno-globalista. Probabilmente nessuna (se coerente); ove apocrifo (e ipocrita) la consegna del destino delle comunità a poteri indiretti ed opachi. Colla prospettiva di avere un governo né visibile né responsabile.

  • SEMPRE PIÚ FITTA...
  • di
  • Teodoro Klitsche de la Grange
  • Qualche lettore ricorderà che nei primi tempi della guerra in Ucraina notavo che la clausewitziana “nebbia della guerra” era particolarmente densa e fuorviante perché alimentata a piene mani da una comunicazione tutt’altro che imparziale, informata ed esperta: con risultati spesso sconcertanti, a cominciare dal piano logico.
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  • In occasione della controffensiva ucraina si è raggiunto un apice della (cattiva) informazione. Vediamo perché:
  1. a) in primo luogo della controffensiva sappiamo tutto leggendo il giornale o guardando la televisione: luogo (Dombass); entità delle forze ucraine (8 brigate in addestramento); tempo (imminente – ma rimandato già più volte nella sua imminenza perdurante); esiti politici (la caduta di Putin) e così via, vagamente precisando.
  • Ora la nebbia clausewitziana è frutto sia della natura della guerra che delle misure dei comandanti, tutte volte a non far capire al nemico i propri piani e obiettivi. Perché, a conoscerli, è facile prendere le contromisure. Non occorre aver fatto la scuola di guerra: basta ricordare l’Aida, quando Amonasro cerca di carpire, tramite la figlia, i piani di Radames. Nella storia militare vi sono poi dei casi clamorosi di “depistaggio” fornendo false (ma credibili) informazioni. Uno dei quali - così noto che ci è stato realizzato un film – consistente nel confondere i tedeschi sul luogo dove sarebbe avvenuto lo sbarco degli alleati nel 1944. I servizi inglesi lo prepararono così accuratamente da trarre in inganno – anche a sbarco avvenuto in Normandia – Hitler, convinto che ce ne sarebbe stato un secondo a Calais.
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  • La conseguenza logica non è solo che se uno dei contendenti ti dice che attaccherà a Charkiv invece che a Kiev, sicuramente non attaccherà Charkiv, probabilmente neppure Kiev, ma da un’altra parte, dove meno è atteso; ma anche che le informazioni più credibili sono quelle che non sono diffuse. I (falsi) piani dello sbarco in Francia furono messi dagli 007 inglesi sul cadavere di un ufficiale britannico fatto ritrovare agli spagnoli (e quindi dai tedeschi), e non pubblicati sul Times; se li avesse letti sul giornale, Hitler avrebbe creduto ad un espediente dell’Intelligence Service.
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  • C’è da chiedersi per quale ragione la comunicazione mainstream è così lontana da una rappresentazione credibile (e coerente) della situazione. Perché se le notizie fuorvianti sono fornite - come in gran parte sono – dagli uffici dei belligeranti (e dei loro alleati) sarebbe il caso di citarne la fonte (almeno) e, in certi casi di scrivere due righe di commento. Cosa che qualche rara volta avviene, ma quasi sempre no. Escluso che tali mezzi possano trarre in inganno il nemico, per la loro disarmante ingenuità, occorre individuare altri obiettivi.
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  • Un analista attento come Pietro Baroni definisce la “guerra psicologica” come “L’insieme delle operazioni, delle azioni, delle iniziative tendenti a conseguire l’obiettivo di assumere e mantenere il controllo di grandi strati di masse e di pilotarne le opinioni, i giudizi e le conseguenti manifestazioni, agendo sulla ricettività istintiva, sull’emotività e sul processo formativo delle valutazioni”. Nel caso gli obiettivi non sono Putin o Zelensky, ma l’opinione pubblica, occidentale soprattutto. Dalla quale occorre far approvare le misure a favore dell’Ucraina, in modo da attenuare l’onere dei sacrifici e dei rischi che comportano. A tal fine è necessario rappresentare la situazione bellica in modo conforme agli scopi da raggiungere.
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  • E il divario tra ciò che è e ciò che si rappresenta è l’inganno e la simulazione occorrente.

  • Crimini monetari
  • Galloni

  • Crimini monetari ed economia circolare
  • Due studi di
  • Alexander Del Mar e di Antonino Galloni
  • rec. di
  • Giovanni Sessa
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  • Due pubblicazioni, apparse di recente in libreria, riportano l’attenzione su tematiche economiche di stringente attualità, il “denaro equo” e la necessità di superare il capitalismo in un’economia di tipo circolare.  Il primo tema è ampiamente discusso nel volume di Alexander Del Mar, Storia dei crimini monetari, edito da Mimesis per la cura di Luca Gallesi (per ordini: 02/21100089, mimesis@mimesisedizioni.it, pp.134, euro 12,00).  Il secondo è pietra angolare delle riflessioni che Antonino Galloni, economista allievo di Federico Caffè, sviluppa in, I nuovi Spartani. Superamento del capitalismo, moneta non a debito, economia circolare, pubblicato da Oaks (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 223, euro 18,00), con introduzione di Giacomo Maria Prati.   Partiamo dal primo volume.
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  • Come ricorda il curatore nell’ampia ed esaustiva introduzione, Alexander Del Mar, ingegnere minerario nato a New York nel 1836, si formò accademicamente in Gran Bretagna e successivamente a Madrid.  Seppe tessere una serie di relazioni con il mondo editoriale statunitense che, al suo ritorno in patria, gli permisero di fondare un prestigioso periodico di studi economici, The New York Social Science Review.  Ricoprì importanti incarichi governativi: rappresentò il proprio paese al Congresso internazionale di Torino del 1866 e, successivamente, al Congresso internazionale di Statistica tenutosi a San Pietroburgo.  Fu un economista “eretico” e pertanto, le sue tesi furono accettate tardivamente dall’accademia “economicamente corretta”, in particolare per quanto attiene alle politiche monetarie.  La sua produzione libraria, davvero sterminata, ha nutrito comunque il mondo ideale di esponenti di primo piano della cultura, tra essi, il poeta, altrettanto “eretico” in ambito economico-politico, Ezra Pound.
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  • Del Mar non condivise l’idea, tipicamente liberista, del denaro: «il cui valore, determinato dalla quantità di metallo prezioso di cui era costituito, doveva […] essere messo in relazione con il meccanismo di domanda-offerta», ricorda Gallesi (p. 8).  Tesi errata, perché non tiene in debito conto che il denaro ha, certo, valore in sé, ma determina il valore delle altre merci.  Inoltre, dopo l’introduzione della moneta cartacea, per non dire di quella elettronica: «non si sarebbe più potuto attribuire al denaro un valore intrinseco» (p. 9).  Del Mar è fermamente convinto che solo all’autorità politica spetti il compito di stabilire il valore della moneta e di garantirne la circolazione.  Tale posizione emerge, con tutta evidenza, nel libro di cui discutiamo.  Le argomentazioni dello studioso prendono avvio dalla presentazione della figura di Barbara Villiers, amante di Carlo II, re chiamato a restaurare la monarchia inglese dopo la repubblica di Cromwell.  Alla donna, il sovrano concesse di usufruire delle rendite del signoraggio: da lei i nuovi potenti, orafi e banchieri, ottennero il privilegio dell’emissione di denaro che, fino ad allora, era stata prerogativa della corona.
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  • L’economista presenta la lunga e terribile storia dei “crimini monetari” dovuti alla privatizzazione della facoltà di coniare moneta.  Pound riteneva che momento dirimente lungo tale strada fosse da individuarsi nella fondazione della Banca d’Inghilterra (1694), Del Mar, lo si è visto, lo rintraccia negli anni a cavallo tra Cromwell e la restaurazione monarchica.  Con Storia dei crimini monetari, Del Mar contribuì a fornire una base teorica al movimento politico populista statunitense.  Del resto, alle origini della rivolta anti inglese dei cittadini delle colonie americane al termine del Settecento, vi fu la protesta contro l’imposizione alla Pennsylvania di non stampare la propria carta moneta.  La lotta politica per una “moneta equa” ebbe un momento di impasse con il “Crimine del 1873”, vale a dire con l’introduzione della: «legge che sospende (sospese) ufficialmente la coniazione del dollaro d’argento» (p. 14).  In seguito, durante la crisi che investì gli USA nel 1893, si capì quale fosse ormai la situazione in quel paese: «Da un lato stanno gli interessi […] del denaro, della ricchezza concentrata e del capitale arrogante e spietato […] dall’altro le moltitudini», parole del candidato alla Presidenza Bryan.  Tale contesto da allora non è cambiato, al contrario è divenuto il paradigma sul quale è stato costruito il mondo occidentale!  Il libro di Del Mar fornisce strumenti per comprendere il presente e pensare a un futuro alternativo, in cui l’elemento Lavoro dovrà finalmente prevalere sul dominio indiscusso dell’Oro.
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  • Prospettiva non dissimile anima le pagine de, I nuovi Spartani di Galloni, studioso che, dell’economia “eretica”, è oggi uno dei massimi interpreti.  L’autore traccia, nella prima parte del volume, una mappatura delle cause che, a partire dagli anni Venti del secolo scorso, hanno messo in atto una progressiva trasformazione del capitalismo. Si sofferma, in particolare, su quanto accaduto in ambito economico-produttivo, a muovere dagli anni Quaranta ai Settanta.  Rintraccia nei processi metamorfici che hanno portato all’affermazione del capitalismo cognitivo, un dato inequivocabile: «i contorni di una prospettiva non più eludibile che riguarda il superamento del capitalismo» (p. 15).  Si intrattiene, in questa prospettiva, sul ruolo svolto dagli ecologismi “sistemici” nel reset mondiale in atto, per passare ad occuparsi, nella seconda parte del libro, di temi quali l’inflazione, il debito pubblico e privato e lo squilibrio economico indotto da tali fattori. Infine, nella terza parte del saggio, si interroga attorno a un possibile modello economico alternativo, essenzialmente centrato sulla circolarità.
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  • Come riconosce Prati nell’introduzione: «La prima “sostenibilità”, ci insegna il nostro autore, è data da un’economia che non sia solo fondata sul valore del guadagno facile […] e sull’idea di una finanza/denaro fine a sé stesso, artificiale, alienato, alienante» (p. 13).  Ciò spiega il riferimento a Sparta.  Nella città greca la moneta era costituita da semplici pezzi di ferro: «perché il denaro non divenisse troppo importante […] perché si riducesse il rischio di una sua accumulazione patologica» (p. 11).  La moneta doveva avere esclusiva circolarità sociale, comunitaria, irrorare la città come il sangue il corpo e, per questo, la coniazione era prerogativa dello Stato, politica.  Sparta fu uno Stato-Comunità centrato sull’educazione, in cui anche le donne avevano un ruolo significativo.  Gli Spartani sapevano che l’economia è espressione di una Cultura, di una visione del mondo e, proprio per questo, avevano contezza che: «L’economia non può fondarsi sull’economia» (p. 13).   Pagine di grande attualità, da meditare.

Le "Istallazioni creative", heliopolis design, di Sandro Giovannini

  • 1 Istall. Creat. Pesaro 1 insieme
    "ISTALLAZIONI  CREATIVE".   Nel n°43 di “Letteratura-Tradizione”, del 2009, nella forma “a libro”, ultimo numero delle tre serie della rivista, uscì nella sezione finale a colori (pag. 219-221) un mio resoconto di tutto il percorso che mi aveva portato dalla metà degli anni ’60, attraverso tutti gli esperimenti d’incrocio tra immagine e parola, a giungere alla fine degli anni ’90 a studiare e realizzare per la heliopolis design, dei complessi manufatti parietali per interni ed esterni, equilibrati tra proposta artistica ed indicazione arredativa. Non quindi delle sculture, che, nel mio caso, rispondono, anche ora, ad un più stretto e del tutto personale criterio creativo, ma una forma  imprevedibilmente capace di suggestioni diverse, e rivolta primariamente all’interno od all’esterno della dimensioni architettonica, con una valenza ricercata e perseguita per far star meglio persone e cose, consapevolmente e diversamente da ciò che la cosiddetta opera d’arte ambisce più o meno sempre, a ragione od a torto, come statuto e rango. Qualcosa quindi di volutamente “inferiore” ma al fruttuoso incrocio - sempre più doverosamente esplorabile - tra maestria e maestranza. Non una cosa nuova, se vogliamo essere sinceri, perché nuova non può essere e non vuole neanche sembrare quando ogni ideuccia variativa, diciamo ogni “modello di utilità” (per esser chiarissimi) già se ne arroga la qualità, quanto ancora del tutto spiazzante proprio perché assembla più spazi significanti nello stravolgimento dei protocolli dell’artistismo e del deviazionismo creativo. Incredibilmente quelle 3 pagine diedero motivo (allora) ad un famoso critico artistico - non so come miracolosamente colpito da un semplice e forse velleitario accrocchio di 4 foto, neanche riuscitissime - ad invitarmi più che generosamente ad esporre a Palazzo Venezia, tale modulo espressivo. Dopo difficile valutazione, decisi, credo responsabilmente, di non farlo, perché avrei dovuto deviare all’improvviso da tutta la mia vita di ricerca ed espressione, che aveva ancora una precisa connotazione comunitaria, a qualcosa di inevitabilmente diverso, marcato da una singolarità stravolgente. Dovendo concentrarmi per anni, necessariamente, senza poi nessuna garanzia di sequela vera, su una cosa sola, mentre ho sempre privilegiato farne molte e diverse, contemporaneamente. Da qualche tempo, però, si è rideterminata verso questa nostra idea di allora - evidentemente a suo tempo anzitempo - un interesse che potremmo definire maturo e più comprensivo della valenza ricca e non solo assemblante, forse intelligente e non solo furba, comunque coinvolgente e non solo a parole nell’ormai abusato ricorso allo slogan olistico ed interattivo... Chi frequenta infatti, ora, i più importanti siti ove si determinano concetti abitativi e fatturati rilevanti si rende conto - persino contro ogni sua legittima od ingenua aspettativa - della discrasia lampante tra lo scontato minimalismo arredativo per interni imposto disfunzionalmente e proposte architetturali a volte persino affascinanti e/o geniali. Con riflessioni conseguentemente e dolorosamente scontate sugli esiti diffusamente infausti di ideologie e didattiche ormai dominanti.
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  •  1 Istall. Creat. Milano 1 vista complessiva vicina

  • “Istallazioni creative”
  • (Heliopolis, 1985-2023)
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  • L’idea si é concretata in medie e grandi realizzazioni parietali, per interni ed esterni, che hanno convogliato molte delle nostre precedenti esperienze con e su materiali più diversi tramite tecniche specifiche per cuoio, pergamena, stoffa, carta pregiata, legno, radica, oro, argento, rame, piombo, plexiglass, marmo, resina, terracotta, microcemento, encausto, mosaico, serigrafia, digitale, scrittura manuale, incisioni e/o traforazioni laser, tramite metodologie ispirate all’antico e trattate modernamente.
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  • Ora, mélange e sovrapposizione di tecniche miste e citazionismo, ricavando il maggior vantaggio da una visione urfuturista, (consapevolmente, da noi solo evocata), ove tutti i lasciti del secolo mai esaurito entro l’eterna guerra civile europea, vissuti tramite una lettura conciliativa e giustapposta di ragioni spirituali e sentimenti materiali, ricerca ancora, seppur disperatamente, una sua armonica potenzialità espressiva. Queste “istallazioni” non richiedono astrusi strumenti decodificativi e non ammiccano inutilmente a potenzialità indimostrate od indimostrabili. Sono alla portata di molti, ovviamente ai relativi livelli, proprio perché già comprendono in sé elementi storicizzati seppur complessi, classici, moderni, comunque resi contemporanei. E sperabilmente espressivi. Il complesso non può e non deve prospettarsi nuovo, ma considerando lucidamente, oggi, le logiche della “catastrofe simbolica” di tanta teoria a riguardo del mercato automatico attuale e delle relative superfetazioni artistiche del mito del “marchio/marchiatura”, dispiegato ormai senza tregua, risulta ancora del tutto spiazzante, soprattutto per ricomposizione difficile tra mastro e maestro, in controtendenza assoluta con il superego narcisista del mito fasullo del “creativo”.
  • La problematicità, quindi, non è tanto o solo nell’essere fuori dal prevedibile schema dell’opera troppo individualizzata nelle sue varie declinazioni, quanto nell’idea/incrocio di varie logiche espressive, che è anche risultato di un percorso che vocazionalmente ha incluso molte esperienze da noi fatte nei decenni tramite il comunitarismo creativo, ovvero una sorta di lunga stagione poetica, critica e metapolitica operata comunque con un senso più ampio di quello dell’artista singolo, non per difetto d’individualità o per vezzo modaiolo, ma per rifiuto dell’artistismo e del maledettismo, persino oltre la solita nozione di “gruppo” artistico, in quanto tentata su vari livelli (poetico, letterario, artistico, metapolitico, saggistico, editoriale, organizzativo...). Esperienza maturata poi anche in validi percorsi individuali. La tecnica applicata quindi del montaggio e dello smontaggio - interpretata qui esteticamente più che meccanicamente, può raggiungere una sua risultante pratica. Tramite diversi moduli artistici, l’intercambiabilità, concetto/chiave, infatti, non permette solo cambi e sovrapposizioni (=di scenario espressivo) ma anche eventuali sostituzioni nel tempo. Cosa che, in più, lega il destinatario con un rapporto di maggiore durabilità. Con diversi stili applicabili per una risultante figurativa, evocativa, storica, letteraria, sempre facilmente riconoscibile. Anche con specifici “lacerti artistici inclusi”. Nello specifico delle “istallazioni creative”, il risultato, poi, non va letto come “prendere o lasciare”, isolato dalle sia pur minime potenzialità condivisibili della committenza, ma come valore realmente interagente con la fruizione e la committenza stesse. Non solo a parole, non solo con la parola, ma nel manufatto. Con il coinvolgimento diretto di una “presenza” precisa - sia pur necessariamente trasfigurata - della committenza e della fruizione contestuale, tramite due apparati specifici, diversamente mandati ad effetto, e sempre presenti. Un’immagine della committenza, familiare e/o evocativa/interna, su intesa con i produttori (a vario titolo) ed una specularità, operabile di volta in volta, che rende immediatamente percepibile la fruizione, riflettendo (oltreché, ovviamente, inglobando).
  • 6 Istall. Creat. Milano 3

  • Nelle “istallazioni creative”, a differenza decisiva rispetto a tutte le altre produzioni paraeditoriali Heliopolis, però, dobbiamo sottolineare che, tali manufatti replicabili in base allo stile scelto di volta in volta a seconda della ragione contestuale, ambiscono avere un livello eminentemente arredativo e scenografico, pur con una indubbia pregnanza artistica dovuta agli inserti con maggiore o minore caratura creativa, di volta in volta inseriti. Questa potrebbe apparire una capitis deminutio, ma è una piccola voragine su mondi lontanissimi.
  • La complessiva “scrittura esterna” (1) della ragione e del sentimento del nostro tempo, ha quindi una valenza di sommatoria epocale e di tentato recupero terminale, che non può essere disconosciuta facilmente, se non a prezzo di un rifiuto aprioristico al confronto dialogico tra norma e scarto, confronto ormai ampiamente storicizzato. (2) Gettati nel tempo e condizionati dal clinamen. Ma con una realizzazione identica a sé. (3) Al proprio stile. (4) L’evocazione riconosciuta che diviene espressa ricerca dell’identità simbolica (5) tramite una rappresentazione scenografica di volta in volta messa in atto, tra essere e sapere, (6) ove la comprensione dei produttori, dei committenti e dei fruitori, tre assoluti comprimari pur con ruoli ben differenziati, diviene il punto centrale di mediazione, punto focale, in quanto normale, (7) in quanto comprensibile, in quanto vis(v)ibile... Quindi non “trovare un nome”, non “dare una definizione”, formule d’accatto, buone per ogni vera o finta furbizia o costruita ignoranza, (8) ma aiutare a saper vedere, saper comprendere... comprendendo noi per primi tutto ciò che ci è suggerito dal passato, la tradizione del colore (espanso) e della sua effettività identitaria e trainante, così antico-occidentale come estremo-orientale, riscontrabile ora, possibilmente senza esclusioni o false primazie, nel presente e nel futuro delle neuroscienze.
  • ...
  • Infine accompagnando per mano il committente in un percorso che gli verrà fornito - con un supporto “critico specifico” scritto e/o multimediale - affinché non sia lasciato eventualmente in un debito di conoscenza verso ospiti amici e conoscenti vari che dovessero vedere il manufatto, magari compiacendosene, senza però aver (di fronte) alcun strumento di riferimento preciso. Infatti abbiamo già inteso, in passato e con sorpresa, a solo esempio dalla gioiellistica, il silenzio ottuso sulla parola... che andasse appena oltre qualche nota di garanzia o di servizio. Anche come prova di un percorso creativo non di “interiorizzazione di ritorno”, di “ritenzione secondaria o terziaria”, più o meno obbligata, ma di messa al centro delle esigenze più profonde (in una sorta di sobria maieutica) e magari per nulla o poco affiorate del committente medesimo. L’imposizione autoriale, comunque ineliminabile, almeno si sublimerebbe in tal modo lungo una prova possibilmente non autoritaria ma autorevole, non lineare ma ritornante - potremmo azzardare - ciclica.
  • ...
  • Quindi istallazioni oltre la supponente od eterodiretta indisponibilità, ma che favoriscano interrogazioni, approfondimenti, suggestioni di ricerca.
     1 Istall. Creat. Venezia 1 particolare parete destra

  • Note.:
  • 1) Manifesto della scrittura esterna. Il Manifesto della scrittura esterna fu pensato dagli amici e collaboratori che gravitavano già dalla fine degli anni ottanta intorno all’Heliopolis Edizioni (1985-...) ed allo scriptorium heliopolis, emanazione della prima e realizzato da artisti ed antichisti di fama (da cui anche il possibile titolo di “nuova epigrafia”). Intendeva proporre l’affiancamento alla normale “scrittura interna” tramite una scrittura proiettata verso l’esterno, verso gli spazi del pubblico, non in un modo solo funzionale, ma fortemente identitario, partecipativo verso la comunità, utile per il commerciale e la comunicazione, in tutte le sue forme, oltre ogni livello precedentemente raggiunto (se non, meravigliosamente, nell’antico). Trovava in più in molte epoche e stili diversi una corrispondenza non solo formale o di compiaciuto e rettorico stilema, ma di profonda necessità e quindi d’intima sostanza. Il manifesto non rimase solo un’enunciazione teorica. Fu base logica e programmatica di un fare che si estrinsecò (e si manifesta tuttora) in molte realizzazioni, alcune ben riuscite anche commercialmente (esempio il caso eclatante delle magliette letterarie dell’Heliopolis, 1988-1995, prime in tutta Italia) dell’editoriale e del paraeditoriale, dell’alta moda, della gioiellistica, dell’arredamento, della musealistica, del supporto ad istituti di antichistica, del promozionale, marcando uno stile non confondibile.
  • 2) In: Sandro Giovannini, ‘Stile tra norma e scarto’, da L’Armonioso fine, 2005, SEB, pag. 56-57, ove vengono affrontati e discussi alcuni passaggi logici di riferimento, tratti da scritti critici al riguardo, di Richards, Barberi Squarotti, Brioschi, Di Girolamo, ed altri...
  • 3) “...Lo stile non esiste antecedentemente, non si rinviene per strada, è al di là di ogni categoria spaziale e temporale, è nel regno del prepensiero, ma anche nella democrazia del fatto, esiste in sé ed in sé si mostra, quale prova che va salvaguardata dal pensiero filosofico/categoriale, logico ed anche irrazionale...”. in: S. G., ‘Operari sequitur esse’, da L’armonioso...,cit., pag.12. Questa citazione, che sembrerebbe poter aver senso solo in un milieu filosofico, aiuta invece a giustificare l’effettiva realizzabilità del:“...sempre facilmente riconoscibile”, di cui sopra.
  • 4) “...In questo senso ha valore l’indicazione, spogliata giustamente d’enfasi, del sincretismo, non come momento magmatico ma di sottolineatura, ecumenicità, stile...”, in: Agostino Forte, dal “Commento”, 30.08.1994, al testo del manifesto della scrittura esterna e dello scriptorium heliopolis. Il sincretismo quindi, non in una valenza new age che confonde tutto, quanto nel senso delle lezioni di uno Zolla ed altri studiosi comparativisti del sacro dell’etnografia e della religione, per utopie di sintesi necessarie più che per prese d’atto d’ibridismi subiti. Questo “stile” - solo nel caso specifico delle “istallazioni creative” - resta riconoscibile anche per il metodo proposto come ricercatamente interattivo con la più diversa committenza, soprattutto per i due strumenti sempre - difformemente - presenti nel manufatto.
  • 5) L’evocazione dell’identità simbolica è un processo che l’Heliopolis ha messo in conto, negli anni, anche con il progetto telematico ELOGICON (2015-) In tale direzione si deve comunque trovare un punto d’incontro tra la capacità di riconoscimento che pertiene all’Heliopolis design e la vera e propria identità simbolica del committente. Consapevole od inconsapevole. Tra mille esempi possibili, la ricerca filosofica del “valore spirito” di Valery o dello svelamento della voragine del “formicaio digitale”, entro la “società’ automatica” di uno Stiegler, ovvero la ricerca sulla “miseria simbolica”. Per trovare tra le forze contrapposte (come nell’arco romano), il punto di svolta (far cadere=rivoluzionare) o chiave di volta (stabilizzare=conservare) come precisa risposta del (e nel) manufatto. Progetto non facile e mai scontato, di cui la maieutica è metodo. Un costruire lungo un’idea collaborativa effettiva e non di facciata. Non per slogan o solo a parola, ridotti alla differenza (spesso troppo evidente) tra dichiarato e realizzato, pressati dal funzionalismo delle pratiche.
  • 6) P. D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio Ubaldini, 1976.
  • 7) “...Così il richiamo costante alla normalità, che rischia di divenire un’invocazione suggestionante alla normalizzazione, non può non trascurare (a pena d’inversione totale), avendo origine dai terreni del positivismo logico e del materialismo dialettico, la teoria della normalità geniale (la normalità guidata identitariamente dai propri geni e cromosomi) ovvero dell’usualità producente, ovvero della sobrietà creativa, che sono tutte misure che appartengono invece (o dovrebbero appartenere...) per statuto alla migliore cultura tradizionale, nata comunque dentro e contro la modernità, se pur nutritasi di altri lieviti (non solo storici, non solo scientifici, non solo emozionali) e che del processo della modernità è, volta a volta, controcanto, parodia, negazione, inveramento, cioè tutto ed il contrario di tutto, ma non solo per una forma d’inessenzialismo soteriologico, di dualismo gnostico, di relativismo metalogico, ma soprattutto per la propria necessitata alterità, per il proprio insopprimibile fondamento reattivo, per la propria autentica vocazione d’attenzione al moderno, persino quando in chiave antimoderna. Per l’autoeducazione al rapporto essenza/personalità, volto/maschera. Ad esempio, vorremmo sapere chi più di Benn, secondo ogni nihilismo possibile ed impossibile, nella letteratura moderna, ha colto la ‘doppia vita’, costante volto di maschere mutevoli, o chi più di Pound ha dettato un latino dello spirito, o chi più di Gurdjieff, ha rilevato l’automatismo dell’apparente sola personalità, o chi più di Jünger ha sferrato un potente assalto all’unidimensionalità anche per stile espressivo/registrativo, o chi più di Evola ha combattuto contro il demone del rapporto tempo-atemporalità, epoca-ciclo o chi più di Mishima ha esemplificato, ancora, la ‘doppia vita’ della spada e delle lettere. Questi lasciti, al di là delle stesse personalità autoriali, e delle specifiche contestualità di riferimento, di volta in volta ben discutibili, e quindi valutate come icone d’orientamento e non solo come miti catafratti, sono complessivamente il nostro ‘vincetossico’ alla normalizzazione, allo snobismo come al populismo; in pratica sono sistemi di segni d’orientamento poco fallibili, che, a noi, infelici e carenti di una visione perfetta, segnalano i confini di un percorso, e che ci impediscono comunque di deragliare...”, in: S. G., ‘Semplificazione, atto rivoluzionario’, da L’Armonioso fine, cit., pag. 84-85.
  • 8) AA.VV., “Letteratura - Tardocronache dalla Suburra”, n.° 2; 1985, Heliopolis Edizioni, ove si affronta validamente il tema della “creatività diffusa”, o della “creatività surrogatoria”, pag. 40-45: Marcello Veneziani, Creatività tra libertà e trasgressione: “...La più autentica realizzazione della creatività non è data dall’affermazione della soggettività, ma al contrario la realizzazione creativa è l’affermazione di una superiore impersonalità, è l’espressione dell’oggettività”. Vedi anche, a riguardo di “trovare un nome” o “vera e finta ignoranza”, la presa d’atto di un coraggioso: ...abbiamo «...coniato un’intraprendente ondata di nuovi ossimori per sospendere le vecchie incompatibilità: life/style, reality/Tv, word/music, museum/store, food/court, health/care, waiting/lounge. Il nominare ha preso il posto della lotta di classe, amalgama sonoro di status high concept e storia. Attraverso acronimi, importazioni inusuali, soppressioni di lettere, invenzione di plurali inesistenti, lo scopo è liberarsi del significato in cambio di una nuova spaziosità… il Junkspace conosce tutte le tue emozioni, i tuoi desideri. E’ l’interno del ventre del Grande Fratello. Anticipa le sensazioni della gente…». Citazione da: Rem Koolhaas, Junkspace, Quodlibet, 2006, pag.84, in: Sandro Giovannini, “A proposito di Rem Koolhaas”, su   www.heliopolisedizioni.com
  • 2 Istall. Creat. Montefiore 1 B

  • I riferimenti logici riportati nelle note sono ora tutti leggibili nel sito ufficiale della Heliopolis Edizioni e della, ivi inclusa, “rivista online heliopolis”: www.heliopolisedizioni.com

Il Cavallo del Fato

 

 

Scultura:

"IL CAVALLO DEL FATO"


1 Cavallo del Fato fianco 1

"IL CAVALLO DEL FATO", Scultura di  Sandro Giovannini,   2017
(alt. 3 mt., lungh. 2,50, largh. 1, materiali vari)

 

  •  I 
  • Memoria

La scultura nasce come una sfida ideale al tempo attuale e riporta una passione ed una cura priva di orpelli, essenziale, significativa. Non è solo un rischioso tentativo di ripercorrere con un passo lento e progressivo un mito antico che è andato consumandosi nei secoli quanto una prova che un uomo costantemente può compiere per riprendere il discorso dell’origine, sempre possibile.  (1)

L’incudine ed il martello sono la stessa materia umana sottoposta alla legge entropica che prima dà e poi toglie e poi ridà ancora, senza alcuna pietà, nel primo senso e nel secondo. La pietas invece è tutta nella ricostruzione che un uomo compie, accanto al suo totem, reggendolo per le redini, alleato di spazi e conquiste da tempo immemorabile, come astro di riferimento tra alcuni altri, in una ferma costellazione teologica, sapendo che può perderlo e perdersi con esso. Il cavallo, “scuotitore della terra” (enosichthon), catafratto, dedicato, sacrificabile. Il racconto dice infatti del cavallo come inganno per conquistare Ilio, ma noi sappiamo bene, dagli scavi nel sito di Troia, non risultare affatto un insediamento acheo nella città. (2) Quindi l’inganno che fonda il mito potrebbe rivelarsi duplice; il cavallo simbolo del terremoto, innegabile travaglio di un sommovimento comunque avvenuto, sacro a Poseidone, ma gestito dalla potenza astuta ed atroce di Atena, prima come Palladion teucro,  poi come Vittoria romana, (3) valido a fondare forse una falsa sconfitta dalla quale promana una certa vittoria, anch’essa senza tempo. E’ l’antica storia dell’incudine e del martello, ove l’uomo, il fabbro, l’artefice, l’ingannatore, il distruttore, infine il fondatore e il pio, riesce, assieme al suo antenato, a caricarsi addosso la sua colpa, la sua paura ed il suo coraggio, tutti inevitabili al destino ed affrontabili nella vacuità.   (4)

 

 

  • II
  • Confronto

Confronto sui materiali. Il legno innanzitutto, scarto delle navi e dei tanti apprestamenti, ora scarto di produzione nell’immane mercato in cui siamo immersi tutti e dell’altro legno, invece, molto prezioso, a tasselli di mosaico radicali e profumati, lavorati uno per uno. E poi il piombo greve della condotta sotterranea e della lotta di fronte, usbergo di ogni scontro a viso aperto, richiamo al duplice materiale tossico dell’esistenza ma anche immune alla corrosione, dialettico come sconfitta e riscatto. La pesanteur come dimensione, inevitabile, di fondo. La commistione dei materiali e delle forme attira il già detto della “scrittura esterna”, (5)  con un’approssimazione al rispecchiamento dello spettatore nella torre merlata e nell’antico muro di truia, che avviene al punto più alto della rappresentazione umana e dell’utopia, con l’iscrizione della profezia di Enea, che instaura la nostra vera storia e che rimanda, nel suo rito lustrale e fondatore, al tanto giovane perdurante ed attestato lusus troiae, (6) labirintico parto della memoria ancestrale. (7) Ma su tutto dominano le dee, ambedue già consumate da secoli e sempre in complessa diatriba tra racconto letterario e mito, già copie di copie, la Minerva Tritonia del sacello di Enea a Lavinio e quella romana dell’Altare della Vittoria, sottostante, inquieta nei suoi ultimi anni di vittoria, quasi ad invertire (e ribadire) la partenza nemica e disastrosa. L’inganno, la divergenza e la rovina, incombono perennemente come le due dee, una sopra composta dall’autore in arte di terra sull’altra, trovata, in fusione di bronzo. Il rispecchiamento duplice quindi avviene anche nella materia più dura e significativa e non solo nell’immagine alta e transeunte che noi proiettiamo di noi stessi, sulle pareti cangianti del tempo. Il bronzo è l’altro che domina dal livello della sua epoca a ricordarci che non tutto, anche oggi, è necessariamente di plastica.

 

  •  
  • III
  • Atteggiamento

L’autore non cerca nulla che non sia nell’opera, quindi il lavoro più volte rifatto, non solo il progetto presuntuoso, l’affidamento costante, la protezione ormai benevola, quotidiana, persino il possibile gioco infantile per un ideale destinatario, ragioni semplici di un asseverarsi nei sempre perseguiti sogni della giovinezza, il tutto nella compagnia di una bestia, possiamo dire, non tanto immaginaria quanto storica. Che, nel suo alternato passaggio da sconfitta a vittoria, perenni, non inganna e non tradisce più. E’ un segno continuo, forse pesante ma caldo. L’animale viene ancora offerto in sacrificio allo sguardo di favorevoli e contrari, non sappiamo più quanto capaci realmente di vedere questo, fuori dagli ammiccamenti di mercato; determinato invece, nella proiezione fantastica, ad un sacrificio ben più ampio, ad una storia che non si arresta neanche con la caduta, apparentemente irreversibile, del racconto iniziale... Quindi più che il cavallo troiano qui vi è il cavallo del fato, ovvero un processo che mai trova requie e spiegazione piena se non in una auto rappresentazione che forse sa meno ordinatamente della storia, sperimentando più sapientemente il mito...

 

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ROTOLI corti (Volumina)
  •  ROTOLI CORTI
  • (Volumina)
  • DISPONIBILI:
  • 2 Rotolo astuccio aperto con scritta
  • nella foto si vede il contenitore "Rotolo-Astuccio" aperto ed il contenuto interno:  "Preghiera ad Helios Re" di Giuliano Augusto... 
  •  ...il cilindro di legno ha un ritorno a molla  della sezione del cilindro di chiusura per  comodità e velocità d'apertura e chiusura
  • ed un blocco  rimuovibile (volendo tener ferma la carta),  visibile nell'immagine in basso a sinistra.

DISPONIBILI:

  • - Il tricolore. Simbolo e logos,  di Sandro Giovannini.
  • -  L'Altare della Vittoria, di Quinto Aurelio Simmaco, a cura di Sandro Giovannini
  • - Origini e labirinti,  di Sandro Giovannini.
  • - Omaggio  Catullo, di Edoardo Sanguineti,
  • con nota di Franco Brioschi, a cura di S.G.,
    • - Quarto d'ora di poesia della Decima Mas, di Filippo Tommaso Marinetti,
    • con intr. di Benedetta, a cura di S.G..
    • ***
    • - Il giudizio di Pilato, da Marco, *
    • - Canto CXVI, di Ezra Pound,  *
    • - Preghiera ad Helios Re, di Giuliano Augusto *
    • * i precedenti tre rotoli - A RICHIESTA - possono essere anche inseriti nel Rotolo- Astuccio  (=contemitore  cilindrico in legno)
    • ***
      • (Comunque tutti i precedenti Rotoli-corti esclusi  quelli inseribili nel Rotolo Astuccio   (=contemitore  cilindrico in legno)
      • sono racchiusi in un CARTONCINO SEMIRIGIDO CILINDRICO di carta pregiata 
      • ..a seguire caratteristiche specifiche di tali rotoli corti)

 

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