- In morte di
- Giuseppe del Ninno
- intellettuale e amico raro
- di
- Giovanni Sessa
- Venire a conoscenza della morte di qualcuno è sempre raggelante. La morte aleggia ab origine sulle nostre vite. Noi uomini, ben lo intese Heidegger, siamo gli unici esseri di natura davvero mortali, perché abbiamo contezza della ineluttabilità della nostra fine. Quando, questa mattina, mi hanno informato della dipartita di Giuseppe Del Ninno, la notizia è stata per me un fulmine a ciel sereno. Giuseppe è stato intellettuale di primo piano e, soprattutto, amico libero, sincero, onesto. Qualità che oggi appartengono a pochi e si fanno sempre più rare.
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- Io e Giuseppe ci siamo incontrati, per la prima volta, molti anni fa. Ero stato trasferito da qualche giorno, durante l’espletamento del servizio di leva, in una caserma della Cecchignola a Roma. In un pomeriggio che, nei colori, negli odori dei fiori e nel tepore, annunciava l’incombere della primavera, mi recai alla Libreria Europa di Enzo Cipriano, allora ubicata in Via Cavallini. Erano, credo, i primi anni Ottanta. Del Ninno si aggirava tra gli scaffali ricolmi di libri. Ci presentammo. Lo conosceva già di nome, in quanto Giuseppe era, da qualche tempo, uno degli animatori italiani, del movimento della Nuova Destra alle cui prospettive teoriche mi sentivo vicino. Discutemmo della sua prefazione a Visto da Destra di Alain de Benoist e della rilevanza della filosofia di Emanuele Severino. Ci accordammo, avendo entrambi espresso la volontà di rivederci, per un ulteriore appuntamento ma, purtroppo, l’accordo saltò, non ricordo di preciso per quale ragione e, della cosa, ora me ne rammarico non poco. La nostra amicizia avrebbe potuto consolidarsi fin da allora anche se, successivamente, ci siamo incontrati in più occasioni.
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- Giuseppe è stato intellettuale coerente, di conoscenze profonde, in particolare di ambito letterario e filosofico, ma anche uomo curioso, mai sazio di sapere e dagli interessi molteplici. Sempre dialogante, attento alla comprensione delle tesi altrui, caratterizzato da un’equazione personale non dogmatica, come dimostrano le amicizie che intrattenne con personaggi dalla formazione diversa dalla propria, non ultimo Giampiero Mughini. Studioso di primo piano del pensiero di Tradizione, nei primi anni Settanta, tradusse, in modalità impeccabile, per le Edizioni Mediterranee, Forme tradizionali e Cicli cosmici di René Guénon, probabilmente su suggerimento di Julius Evola, allora ancora in vita. Non è casuale, pertanto, che suoi scritti siano comparsi anche su pubblicazioni della Fondazione Evola. Di de Benoist ha tradotto, L’eclisse del sacro. Ho collaborato con lui alla seconda edizione di questo importante volume: Giuseppe mantenne la precedente traduzione e l’accompagnò con una esaustiva prefazione, io scrissi la postfazione. Da allora, più volte, l’ho invitato a partecipare a presentazioni di miei volumi. Ha sempre accettato di buon grado. I suoi interventi, in queste circostanze, erano vere e proprie relazioni, le sue analisi inappuntabili (la cosa è testimoniata anche dalla prefazione, che qualche mese fa ha scritto per, L’esilio interiore, di de Benoist, nella quale fa riferimento alla mia filosofia del possibile). Anch’io ho ricambiato, recensendo i suoi scritti e, ove richiesto, partecipando a eventi da lui organizzati.
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- La produzione letteraria di Giuseppe è vasta, variegata, spazia dall’esegesi del cinema, arte della quale è stato appassionato cultore, alla letteratura di viaggio e si spinge al giallo d’atmosfera. La sua ultima fatica, comparsa nel catalogo Bietti, La vedova nera, lo testimonia. Lo scritto è stato lungamente pensato, rivisto. La prosa, intervallata dal pensare ad alta voce del protagonista, l’investigatore privato Ernesto Di Gianni, irpino trapiantato a Roma, è accattivante, fluida, capace di coinvolgere il lettore nelle complesse vicende che costituiscono la trama. Ernesto, scapolo solitario e trasandato nell’abbigliamento, vive in un mini appartamento che diviene, nei momenti del bisogno, rifugio sicuro per le sue meditazioni. A nostro parere, se abbiamo ben inteso, ha dei precedenti letterari di tutto rilevo in Igravalle, l’investigatore di Gadda e nel Maigret di Simenon. Sullo sfondo del narrato le atmosfere di una Roma “magica” anni Sessanta.
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- La famiglia è stata il perno attorno al quale Del Ninno ha costruito e vissuto la propria vita, luogo, per antonomasia, degli affetti. Lo mostra, in tutta evidenza, La guerra addosso. Grandi guerre e piccole storie familiari, apparso nel catalogo di Oaks editrice, opera nella quale Giuseppe si intrattiene, con maestria, sui drammi, bellici e non, in cui furono coinvolti appartenenti alla sua famiglia. Napoletano d’origine, soleva soggiornare a Ischia assieme ai Suoi. In molti testi la trasparenza del cielo mediterraneo e il rigoglio della flora insulare divengono protagonisti del narrato. Viaggiatore instancabile, sempre accompagnato dall’amatissima moglie Patrizia, dai figli e dai numerosi nipoti, ha lasciato testimonianza della sua appassionata peregrinatio nel mondo e nella vita, in Giornale di un viaggiatore ordinario, uscito per Tabula Fati.
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- Grazie, Giuseppe, per l’amicizia che mi hai concesso, entrambi abbiamo fatto parte di una genia umana che non-scorda ma che porta sempre nel cuore, centro profondo e spirituale del nostro essere, ciò che va preservato, nel mio caso un indelebile ri-cordo della tua amicizia e della tua opera. A-Dio Giuseppe… Giungano ai tuoi familiari, sia pure con uno scritto rapsodico, le mie sentite e partecipate condoglianze e quelle della Fondazione Evola.