• Sui  “marginalia”... pensarci sopra
  • (non è una dichiarazione di poetica)
  • di
  • Sandro Giovannini
  • Già in passato ho perseguito, a random, interventi ulteriori miei (almeno non troppo lunghi, come al solito) anche sulle più belle recensioni di amici che stimo particolarmente.  Di Giovanni Sessa, figura portante in “Rivista online Heliopolis”, tutti sanno che è studioso serissimo con un suo programma interiore molto marcato ed efficace e quindi con libri di grande impatto e di indubitabile caratura critica, ma ordinariamente anche abile recensore, concentrando essenza e referenza contestuale in modo ottimale.  Spero quindi non sia un atteggiamento saprofitico, il mio... se il suo testo (La filosofia di Jakob Böhme. Un testo capitale di Alexandre Koyré, Mimesis, recensione di Giovanni Sessa, qui in  "Rivista online Heliopolis" precedentemente edito) ed il mio commentare che penso potrebbe divenire meno occasionale - corrispondente ovviamente ad una diversa struttura interiore emozionale e creativa - doppiano su superfici che andrebbero comunque investigate nella loro paradossale profondità. Ma tutti sappiamo che, sovente, più si va a ricercare in un testo il senso che esso potrebbe davvero fornirci in molteplicità di spunti e/o solitudine di taglio, più si rischia sorprendentemente il silenzio della verità che può imbrigliare in molti, forse in troppi, non giustamente la deviante vanaglogia delle congetture infinite ma purtroppo a volte anche l’orizzonte più aperto di sempre ipotetici vivificanti rimandi.  Questo per dire che dal random (ovviamente solo mio) non è detto che sia per forza male tirar fuori magari anche una piccola linea di lettura in più.  L’autore primario rimane solo, responsabilmente e legittimamente, nella sua dimensione interpretativa, avendone pieno diritto e forse sano dovere. Ma il coraggio realmente sostenitore degli interpreti, se c’è, si nutre di scambio e l’osservazione solo fredda e del tutto contenuta (spesso rimproverandomene per primo e che intuisco agisca nebulosamente attorno a me) non sempre corrisponde al nostro “pensare greco e agire romano” come dice - meravigliosamente - un altro caro amico.

  • “Il gioco superiore”
  • (in margine ad una recensione di Giovanni Sessa, sul libro di Koyré)
  • Interessante come sia nato e poi sviluppatosi il rapporto Kojève/Koyré.  E dico interessante ben oltre il dato aneddotico, che pure, a conoscerlo fa più che sorridere... Che, allora, un 31ne (Kojève)  esoticamente franco-russo e ben appartato, dal 1933 al 1939, in sostituzione dell’amico e quasi parente Koyré, incaricato al Cairo, già hegeliano sui generis e titolare di lezioni su Hegel all’École Pratique des Hautes Études, riuscisse con ben celata noncuranza ad affascinare magicamente un parterre in cui si confondevano Lacan, Bataille, Merlau-Ponty, Quenau, Fessard, E.Weil, Gurvisch, Caillois, Hyppolite, Aron, Marjolin e Breton e tanti altri ascoltatori di genio, ha dell’unico.
  • ...
  • A distanza ancora di anni (nel 1954) Bataille  in  “Hegel la morte e il sacrificio” presenta il proprio testo come un sostanziale estratto dallo studio sul pensiero hegeliano di Kojève:  «...Questo pensiero vuole essere, nella misura in cui ciò è possibile il pensiero di Hegel come potrebbe essere contenuto e sviluppato da uno spirito attuale, sapendo quel che Hegel non  ha saputo (conoscendo ad esempio, gli eventi accaduti dopo il 1917, e altrettanto bene, la filosofia di Heidegger). L’originalità e il coraggio, va detto, di Alexandre Kojève, è di aver colto l’impossibilità di andare oltre e, di conseguenza, la necessità di rinunciare, a fare una filosofia originale, la necessità dunque di un ricominciamento interminabile che è l’ammissione della vanità del pensiero...» (G. Bataille, Hegel, la mort et le sacrifice,  in ‘Deucalion’, 5,  ‘Études Hégéliennes’, 1955, pag. 21, grassetto e corsivo mio)  
  • ...  
  • «...Da un lato abbiamo la generazione delle “3 H”, come si diceva nel 1945; dall’altro abbiamo la generazione dei “tre maestri del sospetto”, come si diceva nel 1960.  Le tre H sono  Hegel, Husserl e Heidegger, i tre maestri del sospetto sono Marx, Nietzsche e Freud.  Hegel è il punto di partenza ed al contempo figura chiave per comprendere il passaggio fra le due generazioni. Ma un certo Hegel,  quell’Hegel cioè scoperto da Kojève nel suo seminario parigino al quale parteciparono  tutti i protagonisti della prima generazione...» (Marco Filoni, “L’azione politica del filosofo. La vita e il pensiero di Alexandre Kojève”, pagg.14-15, Bollati Boringhieri, 2008-2021).
  • ...
  • La sottolineatura di Bataille sulla condizionalità di tempo (l’air du temps,  “virtute duce comite fortuna”... oppure l’esprit du temps, in sorta di "vulgate pathétique", come suggerirebbe Edgard Morin) e che comunque non è mai solo una condizionalità del soggetto nel suo contesto referenziale, ma una somma insuperabilmente intricata di rimandi e ritenzioni primarie, secondarie e terziarie (alla Stiegler) di tutti coloro cioè che prima assorbono e  dopo si confrontano, e magari pure rifiutano, sarebbe forse fuorviante, addirittura ingenua se non del tutto scontata se non si riferisse ad una mente invasiva come quella di Hegel, capace come poche altre d’informare di sé epoche coeve e ben successive.
  • ...
  • Mi viene il sospetto però di essermi liberato di quell’incubo (o “sospetto” ...della  redenzione dal contesto) di Bataille, io stesso, a gran fatica, dato che per decenni ho sempre calcolato molto apprensivamente, anche se forse comprensibilmente, date e coincidenze temporali per opere e climi di riferimento. Con un sottofondo di  forte paura per non riuscire a collegare gli atti ed i tempi  e sempre il "sospetto" continuo che il collegamento fosse illusorio e deviante e non corroborante e  maiuetico.  In tal senso la saggezza sarebbe quella di un Kojève che riferisce maliziosamente che la sua prima opera forzatamente pubblicata è per spinta ed in curatela “di un comico” (l'amico Quenau; che infatti fece poi di Kojève un eteronimo di alcuni suoi personaggi romanzeschi, quasi sempre sopra e sotto la linea... poche volte su,  come direbbero J. ed H. e nel “...sottosuolo della saggezza” come direbbe D.) ...secondo l’assunto che il meglio dell’intelligenza umana possa svelare proprio in quanto a saggezza: “...la vie humaine est una comédie.  Il faut la jouer sérieusement”.  
  • ...
  • Ma se molti testimoniano il vero terrore che i negoziatori esteri statunitensi avevano di trovarsi troppo spesso, di fronte in un bilaterale nella delegazione francese proprio Kojève, nelle sua terza vita d’alto consigliere del Quai D’Orsay, allora tutto torna.  
  • ...
  • O forse, ripensandoci al proposito e confessandolo per la prima volta... di un Filippani Ronconi, somma sprezzatura, che  - me sgomento - impose che il primo editoriale dei suoi due Speciali per i numeri di “L-T” da lui diretti, lo scrivessi io... a firma sua.
  • ...
  • Premetto che nulla di ciò di cui sopra è farina del mio sacco... una 15 d’anni fa fui proprio  folgorato da un testo dell’amico Federico Gizzi che scrisse per l’ultimo numero (43) della nostra “Letteratura-Tradizione”, “L’evocazione del sacro perduto: dal George Kreis al College de Sociologie”, che mi aprì forse ulteriormente le porte della percezione, almeno sull’intricatezza vitale delle consonanze e delle differenze, ambedue abissali (opposte negli esiti ma simili nelle esigenze del dispendio improduttivo e sacrificale) e quindi molto potenti sul piano evocativo se non operativo. Tutte sostanzialmente rimaste però ad un livello teorico, anche per la “soluzione dall’esterno” (leggi: guerra) sopravvenuta nel quadro referenziale. Poco studiate, sino a non molti anni fa anche per le imbarazzanti implicazioni operative, con, poi, i non molti ma decisivi testi al proposito degli innegabili tentativi di “politicizzazione del sacro” e di “sacralizzazione della politica”.  Che molti ve(n)dono come una questione di metodo mentre è ben anche una questione di merito. 
  • ...
  • Da lì persino il mio libro “BORGES ET ALII. Una diversa avventura dell’elitismo” trasse uno spunto convincente per uscire dall’eliodromo di decenni di ruminazione inconseguente... direi logocentrica e conquistarsi almeno un minimo di giustificabile legittimità interna.  L'ambizione interpretativa, fallita grandiosamente, come una sorta di troppo protratto +100... nella benzina avio degli anni '30. 
  • ...
  • Invece è del tutto mia la sottolineatura ed il grassetto di cui sopra: “...l’ammissione della vanità del pensiero”, ovviamente non come certezza acquisita ma come vivificante “sospetto”.  Qui vi è il collegamento con la precedente esperienza del religioso nella tesi di laurea kojèviana - tra la versione tedesca originaria e raccomandata da Jaspers, (“...il mondo dell’idealismo tedesco, e più precisamente il mondo di Shelling...”) e quella francese successiva - su Solov’ev, ripresa proprio a fine ‘32 e presentata all’École, con le istruzioni ed i suggerimenti di Koyré Directeur d’études della quinta sezione.   
  • ...
  • E qui vi è il rapporto più stretto - direi ben rintracciabile - con le esplicite note e le implicite vocazioni dell’amico filosofo, Sessa.