• Può un genio (N) indiscusso dire delle sciocchezze?
  • di
  • Sandro Giovannini
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  • “...Quasi come se – per dirla con Berni – ei dicesse cose,
  • mentre gli altri dicevano parole e di queste, spesso, si accontentassero...
  • Leopardi, Zibaldone di pensieri

 

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  • Dedicato a Karl Evver...

 Karl Evver 04.11.2023


  • Da un po” di tempo provo un sempre maggiore disagio a ritrovarmi su spunti e riflessioni di tanti amici che pure stimavo e stimo tuttora sinceramente per intelligenza e cultura. Questo l’attribuisco non solo ad una stanchezza generica od ad un esaurimento della riserva personale di capacità reattiva, pur comprensibili dopo decenni di interventi mai attenuati, quanto alla delusione che in me, karmicamente desideroso da sempre di trovare un M.C.D. nel processo intellettuale che speravo attribuire ad una koinè accettabile ed accettata, rende inaccessibile o forse pazza la sempre utopizzata maionese d’apollineo e dionisiaco, magico soma di cui si potrebbe reputare irrecuperabile non certo la ricetta, ma la buona fattura. E questo solo rimanendo sul piano strettamente metapolitico. I tempi dell’in fine velocior evidentemente agiscono con una cogenza sempre più spinta contro ogni criterio di nuove sintesi per le quali abbiamo lavorato molto difficoltosamente per decenni o d’antichi umori, di cui ci siamo insaziabilmente nutriti fino ad ora, per paura dello spaesamento e della perdita dell’identità residuale, le une ancora credute razionalmente (o forse utopicamente) perseguibili, gli altri vissuti (sia pur equilibratamente) come vitalmente ineliminabili. Sempre però con lo spiritaccio inesausto di quell’estroso del Berni: “Scoperchiare le storte fondamenta del mondo”.  Altrimenti non si spiegherebbe la passione che negli anni abbiamo consumato al proposito.
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  • Anche perché è da tempo che l’idolatria verso la verità (...falsa, ipocrita o terribilmente ingenua), che sia di matrice fideistica o scientifica, non riesce più a rendere verosimile, (=vera per la maggioranza) come un tempo, l’antica credenza dell’esistenza della verità stessa, al limite - per noi - della sua estrema soglia di pochissime evidenze basali - sempre per noi - ancora verificabili, ed allora avanzano, per tutti, in questi strapazzati contesti fosche nuvolaglie di nihilismo spicciolo ma stravolgente che tempestano comunque l’affollato barcone della verità, più o meno mal ridotto. Se la “morte della religione”, almeno in occidente, è ormai appena sotto il livello di coscienza di massa, camuffata da mille riti sostanzialmente desacralizzati ma sostenuta inconsciamente da un senso d’ineluttabilità derivata - parole perfette in tal senso le ha dette ultimamente Stefano Vaj - comprensibilmente per secoli e secoli di ripetizione, l’ancora ben più ampiamente creduta “dottrina senza limiti” (la scienza come ideologia, anche se forse non come pura volontà di potenza), già incomincia a mostrare tutta la sua insufficienza persino tra gli spiriti più critici o più esigenti: “...la circonferenza che chiude il cerchio della scienza guarda fissamente l’inesplicabile e la logica in questi limiti si torce intorno a se stessa...”. (F.N., N.T., pag.103)  E se pure in questi ultimi decenni i tentativi d’interscambio fra le due culture sono aumentati, rimane che i codici di commutazione, come sorta di stanza di compensazione che pur indubitabilmente s’invoca, non sono riusciti ancora a colmare il fossato ove sono cadute generazioni intere di umanisti e di scienziati. A maggior paradossale evidenza perché tutte le nuove ipotesi della scienza ultimissima, consapevoli non si sa fino a quanto, nell’infinitamente piccolo e nell’infinitamente grande, sembrano sempre più supportare ogni tipo di volo pindarico al limite delle più scatenate visioni esoteriche, ma poco o nulla la semplificazione ortodossa ultimo-positivista. So bene che da parte di molti scienziati questa lettura sarebbe proprio accusata di rovinoso semplicismo traduttivo, ma resta che il saliente anche iconico che loro stessi (gli scienziati contemporanei) si attribuiscono con titoli come materia oscura energia oscura buchi neri e bianchi multiversi e pluriversi depone proprio in questa direzione. E qui siamo ancora, più o meno, all’ufficialità e non parliamo neanche di coloro che convintamente (od in chiaro) declinano da decenni, con i vari tao della fisica... Dall’altra parte, ad aggravare ulteriormente il divario un’ormai sfatto umanismo, ribadisce, in via ulteriore di fuga, un sociologismo del tutto orizzontale, privo di tensioni verso l’alto e l’invisibile, giudicando oggi quasi grottesche le interrogazioni più che fisiche (comunque impresentabili, con la buona scusa della storicizzazione), dall’interno dello stesso mondo religioso colto. ...I giorni passati nell’Eden, le infinite diatribe sapienziali su sacralità e funzioni dei corpi, prima e dopo la caduta, di una Scolastica non minore e di tanti eccelsi Dottori e Padri della Chiesa. Solo per rendere più evidente lo scollamento, da una parte e dall’altra, dentro l’ideologia scientifica e la storia teologica del passato. In tale concordia discors potrei affacciare che la rincorsa al contrario, ultimamente convergente, è segno ulteriore dei tempi, in linea con la percezione comune che segna sulla lista infiniti casi di rincorse e cedimenti reciproci, ma forse non può cogliere subito, per assuefazione secolare e remore attuali d’approfondimento, il quadro d’immane trasloco di tutto in tutti.  Per agganciare tale intuizione all'operatività creativa di Karl Evver, direi che in lui è proprio questa misura, questa comprensione, sempre alquanto difforme dal prevedibile, perché non solo ideologica ma primariamente estetica, a dare la caratura della sua capacità di svelamento. Enigmatico e penetrante fascino delle sue veloci intromissioni dentro ogni contesto, anche il più apparentemente discusso e corrivo, che però rivela il grado sotterraneo, segreto od invisibile del superficiale (della maschera) come verità segreta esposta in evidenza. Che poi lui manifesti un certo fastidio per certa dichiarativite sia di carattere sociologico-storico-scientifico che esoterico, questo ci fa più contenti che scontenti, nel senso che ormai crediamo di aver compreso che ogni sistema, personalizzato o socializzato, tenda troppo spesso, magari senza volerlo o saperlo, a prendersi tutto l’orizzonte conoscitivo solo per sé o tramite sé, anche quando si spertica di comparativismo, in modo che il letterato, il filosofo, lo scienziato, l’artista, rischiano di vedere tutto tramite la propria primaria specializzazione. Se non sono eccellenti, persino il macchiettismo, la radicalizzazione eccessiva, la supponenza, sono appena dietro l’angolo. Certo ci sono, all’estremo opposto i tuttologi, ma non convengo proprio con Sandro Veronesi quando, a domanda rispose, che era meglio essere reputati radical-chic che nazi-snob...
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  • Così il tempo del nihilismo inverato, sdoppia ancor più l’arte stessa (la bellezza da sola... riesce ad adornare, al massimo, la sofferenza e la morte) come puro lusso vitale, autoaffermazione, autoglorificazione, gratitudine verso la vita (che s’è ridotta di senso riducendosi nevroticamente alla pura sopravvivenza), dépense, eccedenza sovrana, se non ormai come spreco sacro, od in via deviativa ed illusionistica solo come bisogno, pulsione, narcosi... Infatti mettere in contraddizione i due tipi d’arte mediante una genealogia della salute vitale (la... Grande Salute di Nietzsche ) sulla via del ritorno a sé medesimi come vocazione ed istinto, ma anche per definitiva presa di coscienza, è quanto ha caratterizzato N. come filosofo (autoinvestito ed anche definito) dell’avvenire, contro la décadence. Ma l’arte, ora, nel momento stesso in cui diviene massivamente ed apparentemente più perseguibile per l’allontanamento progressivo da un distillato reale, tentato o riuscito e comunque difficile (mímesis), in favore di un mediato e depurato virtuale, non parla più la lingua-codice ed acquisendo sempre più la gestalt dell’iconica (come nell’idiogrammatica, peraltro ricchissima nebulosa di sfumati leonardeschi) perde paradossalmente anche la sottile dialettica verbale che velava e svela ancora, dietro ad ogni parola in successione, la potenza intrattenibile della ragione e contemporaneamente l’inganno sofistico e latamente logico. Così, nell’evasione ammiccante dell’artista veramente furbo, ma forse non geniale, si deresponsabilizza non solo ogni passata etica, ma ormai persino ogni potenziale tensione metapolitica. Il cosiddetto impegno, almeno vissuto come comunemente inteso - che ben altrimenti operato ha ed avrebbe ancora orizzonti foscamente aperti di praticabilità (esempio, fra tanti, Noica), infatti, rischia d’essere solo una parodia di un recente passato da apparatčik...
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  • Ma anche tutta questa consapevolezza ormai fa parte del mondo dell’illusione (più o meno impotente). Non possiamo quindi legittimarla come emancipazione dell’(dall’)arbitrario. “...riferire di una complessità crescente che non si satura è riferire di un’esperienza, cioè di un alcunché intellettualmente non assimilabile nel senso della riflessione verbale, benché concerna l’intelletto al lavoro simbolico che si deve esperire per comprendere. In tal senso non è nemmeno esatto dire che il testo ideografico è propriamente intraducibile...” (Renato Padoan, Prefazione a Sun Tzu, L’arte della guerra, Sugarco, 2000, pag.16) Una complessità crescente che non si satura, crediamo però, possa avvenire solo nel campo dell’astratto (o del simbolo che più di un astratto è un estratto) con la limitazione comunque di una implementazione sempre più difficoltosamente perseguibile. Nel mondo dell’animato, (il) tutto tende, arrivato all’intraducibilità (all’incomprensibilità diffusa), alla spinta all’estremo, al modo che intende Girard... come fa la politica politicante, sempre e dovunque. Così diviene corrivo e comprensibile, mentre immettendo sempre più codici di scala e complessità di “narrazione”- i sistemi rischiano il collasso comunicativo se quella “narrazione che vince le guerre” non sia manifestamente, ed ormai anche dichiaratamente, ma sempre intelligentemente atta a truffare le masse. (E’ una necessità intrinseca alla truffa mediatica la lucida sia pur subdola ideazione della narrazione stessa, per quanto esteriormente, esplicitata, essa si presenti sempre più suadentemente complessa). Si compiace così la superficialità mezzo colta o paludata bla-bla, ma soprattutto si soddisfa appieno la sete di compulsività e motilità ed inquietudine sorda, ma potente e stravolgente, delle masse. Consegnando necessariamente la vita di tutti ai più ipocriti ed ai più furbi tra i delinquenti. Ancora, come a dire che, solo superando i due universi sempre a rischio d’intraducibilità (o di traducibilità ad un livello molto, troppo, discutibile), si può illudersi (poi) di penetrare nel multiverso (o nei più universi... sempre che esistano veramente), ove la parola, il numero e l’immagine non siano solo più idonei a riferire preferibilmente il proprio stretto orizzonte di riferimento ma una ricercabile comparazione fra sistemi, in crescendo se non in origine, isolati. Che poi dai più marginali (emarginabili-emarginati) si faccia questo percorso, magari affascinantissimo ma inutile al mondo corrivo, al modo in cui proprio l’ha fatto, ad esempio, Majorana con il suo Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali, o con altri approcci, credo conti molto... ma non qui, ora, al nostro livello, ovvero al livello di comprendere quanto corrisponda colpevolmente ma efficacemente il semplificare al non semplificabile. Basti (...si fa per dire) solo leggere le ultime parole del suo rivelatorio studio: “...Se è così, come noi riteniamo, le leggi statistiche delle scienze sociali vedono accresciuto il loro ufficio che non è soltanto quello di stabilire empiricamente la risultante di un gran numero di cause sconosciute, ma sopratutto di dare della realtà una testimonianza immediata e concreta. La cui interpretazione richiede un’arte speciale, non ultimo sussidio dell’arte di governo.” La matematica superiore applicata al corpo sociale. Splendida ed antica utopia. Salvo che, per quella “impossibilità”, poi... si finisce per “sparire”. Sarebbe forse utile poter confrontare questa frase con quella - apparentemente lontanissima - di Frazer, scelta per un mio mosaico pavimentale, anch’esso altrimenti dedicato a Karl Evver, che recita: “...per la natura stessa delle cose le nostre idee sono inferiori alla realtà in modo incommensurabile...”  Nella frase del Frazer la parte più seducente e nello stesso tempo problematizzante è forse la prima. Perché potrebbe verificarsi che la natura stessa delle cose non debba essere necessariamente sola nostra proiezione, se non in primissima istanza, come ci suggerisce la neuropercezione.  Certo ogni lettura della natura stessa delle cose implica comunque un certo “positivismo” d’approccio, ma più come sincerità del metodo, credo, che, come dogmatica. Se tentiamo di togliere le etichette da ogni processo logico che esperiamo e non affoghiamo subito nell’indifferenziato, ne viene fuori che possiamo muoverci con maggior libertà, ovviamente in una chiave antidicotomica, che ci appresta a meglio vivere la seconda parte della frase, ove forse ci tratteniamo più volentieri.  Questa è la forza potenziale dell’aforismatica, se fa base non isolata ed apofatica, non di corsetti dubbiamente autoinvestiti con sociosmanie di patenti farlocche, ma di continui ed onesti trascrittori, di lavoratori sull’immane repertorio coltivato per decenni, nella poca (nei due sensi) misura umana.
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  • Venendo a cose molto, molto più piccole, potrei dire che l’ELOGICON, ma solo come punta di diamante dell’aforistica dell’immagine, sempre ad esempio, è qualcosa che si è mosso in tale direzione, perché statisticamente non sottrae il determinismo che sembra mostrarsi dal dis-umano fino all’umano, anzi lo accoglie tutto, ma ne indica la risacca inestinguibile come personalmente oggettivabile e quindi anche scientificamente rappresentabile. Oltreché artisticamente. Immagine e parola concentrate al massimo, ma non necessariamente nel modo a cui eravamo tenuti con la simbolica, l’araldica, la monogrammatica, la logica blasonica e patronimica, ed ora magari con la teoria del brand, la pratica telematica del website, etc., etc... Non che esse (le prime) non avessero una magica capacità di centratura, ma la globalizzazione attuale insegue volenterosamente la pratica della disseminazione artata, con una logica del tutto priva di volontà uniformante se non ai suoi più bassi istinti e propositi, comunque paludati.
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  • Così concentrandoci meglio su noi stessi (la serietà del ricercatore) e prendendo dagli altri tutto ciò a cui non possiamo proprio attingere da soli... praticamente tutto (lo scambio comunitario inteso non in termini settari ma noichiani), diventa allora ancor più arbitrario (peggio se ancora poco o troppo consapevole) il battibecco, tra noi, continuo ed infantile, umano troppo umano, e come dice N.: “...risulta che un umanesimo delicato deve provar venerazione per la ‘maschera’ e non far della psicologia insanamente curiosa, fuor di luogo...”. (F.N., A.B.M., Baron, 1924, 270, pag.162)  Per maschera non trattiamo solo di buona educazione, pur sempre ed ora oltremodo necessaria (mi sono già speso, inutilmente, in un mio scritto al proposito, dedicato a Stefano Vaj), quanto di copertura ed espressione assieme di violenza paradigmatica, di quella vita agente in superficie (con dietro un volto altrettanto autodefinibile), in linea colla propria visione del mondo, ma che sa, arrivati ad un certo limite, di doversi fermare di fronte all’inarrestabile confusione montante. Non mai quindi in linea teorica, ma in linea pratica. Per i motivi di cui sopra. All’entropia. Per questo nell’arte (e qui è in gioco, precisamente, la dedica a Karl Evver), ma anche nella politica (...se e quando, sperabilmente, si manifestasse) la figura del collettore carismatico deve assorbire (ed assorbe) in sé tutte le contraddizioni esperite e quelle potenziali. La formula - apparentemente cretina per gli stupidi intelligenti - è sempre stata (ed è) invece, nel profondo, conseguenza carnale d’una esperienza di passo (...scritta, scritto, diatriba, marcia, cazzotteria). Il Duce ha sempre ragione... con annessa volitiva mascella e santo manganello. ¿Che sia vero o no... conta, ma a quale livello? ¿Veramente... dal laudator temporis acti al laudator temporis praesentis, si può pensare di poter andare avanti così, nell’accelerazione (applicata alla folla, alla massa... che poi siamo tutti noi), come andiamo ora, all’infinito? E’ vero che ci sono, comunque, irriducibili incongruenti - anche coltissimi - che negano ideologicamente il clinamen, pur avvertendolo, senza darne, necessariamente giustificazione logica. In tal modo intuiamo perché, con sorpresa di troppi... verso il degrado, verso lo sfilacciamento della logica, verso la guerra, certi tempi concretissimamente precipitino, qualsiasi sia l’episteme che voglia o tenti storicamente (...Kali Yuga, Secondo Avvento, & co), prima durante o dopo, di definirne (comprenderne) la logica astratta. La logica astratta, cioè, alla quale, differentemente, i colti sempre s’aggrappano indipendentemente dalla sua “verità” che rimane intatta (come spiegazione, magari a posteriori sulla base di osservazioni secolari... ecco perché non dovrebbero rinunciarci, seppur “inutile”), comunque, viene annichilita dalla feroce semplificazione della pratica. La pesanteur, o chiamatela come volete, che non demorde mai. ¿In tal senso anche la ormai scontata riflessione sulla perdita di isolamento protettivo e proiettivo, dell’universalmente espanso mondo occidentale, nel definirne l’intrinseca globalistica violenza epistemica, culturale ancor prima che ideologica e strumentale, come è in E. W. Said, in “Cultura ed imperialismo...”, come fa a non considerare che, evidentissima, sul piano della storia di vasto periodo e non solo limitata a strette aree geostrategiche, ma sempre ed ovunque, ha costantemente prevalso la logica che chi non poteva comunque dominare tendenzialmente e con rilevante probabilità e poche eccezioni, veniva dominato? Certo, questa ricorrenza protrattasi per millenni, s’oppone brutalmente a tantissimi desiderata ideologici, sia autentici che strumentali e si comprende facilmente perché, per tanta improbabile salute mentale, ciò debba essere coperto o negato dall’illusione-speranza.
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  • Ed un esempio grandioso (di contraddizione) viene sempre da N. quando ironizza sulla dama italiana a Bayreuth che trovava meravigliosamente soporiferi (...fanno addormentare beatamente) i grandi preludi wagneriani. Lo riscontra uno come me che da giovane se ne estasiava talmente... Come a rendere manifesto: ¡ecco la prova per gli apoti... quel lussuoso treno wagner di carrozze rigorosamente a vista che trasporta con palandrane sempre riconoscibilmente firmate, la buona borghesia inesaustamente soddisfatta di sé, nell’eterno ritorno del prevedibile!
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  • ¿Ma nel caso dell’italiana di cui sopra... caro N.?, dove va a finire la Tua(sua) Grande Salute? quella che Tu dici persino favorita massimamente dal dolore (¿controllato?) e che ha insopprimibilmente al suo centro solo vita che preme, spudorata, oltre ogni pensiero, giudizio e scrupolo morale???  Perché per Te - lo sappiamo bene - non esiste che necessità ed il c.d. libero arbitrio è una più che pia illusione. “L’errore della responsabilità riposa sull’errore della libertà del volere (…) [ma] nessuno è responsabile per le sue azioni, nessuno per il suo essere” (F.N., UU., pag. 50).   Lei, di quella grande salute - magari molto in fondo, inconsciamente, forse stupidamente, ma spavaldamente - ne sarebbe stata una perfetta portatrice sana... senza dover passare da colpa, espiazione, tormento (e necessariamente da dolore), che Tu hai ben dichiarato (tentato) d’insegnare a disprezzare.  E se vale per Te, immaginiamoci per quelli come quella...  Per cui la domanda - del titolo - sulla sua(Tua) grande salute.