Marco Rossi


  • “LA GRANDE FINANZA E L’OCCIDENTE.
  • I retroscena di una guerra sconosciuta”
  • di Marco Rossi,
  • (Arŷa Edizioni,  Genova, Dicembre 2022)
  • L’infinita diatriba su ciò che è possibile e ciò ch’è impossibile dimostrare di un processo (storico) in corso - comunque sostanzialmente evidente nelle sue linee guida - e sulle sue cause dirette ed indirette, remote e prossime, continuerà, sempre più avviluppato nelle procurate cortine fumogene. La “negazione plausibile” infatti, nata esponenzialmente al centro di tutte le tecniche ibride di confrontazione che dominano il mondo attuale ed a venire, sino ad un esito parossistico e forse non umanisticamente augurabile, ormai traborda in ogni campo dello scibile per meccanica osmosi.  In quello che impropriamente chiamiamo il nostro mondo, tra inestricabili paci e guerre, sempre più confusamente ma strumentalmente avvinte.  
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  • Al centro di ogni cosa, più di sempre, s’afferma lo stravolgimento totale della diversamente declinata verità da chi possiede il denaro assoluto come mezzo e fine e non solo più come mezzo.  (Fondamentale, al proposito, il passaggio di paradigma dimostrato compiutamente dal testo).  E questo è esponenziale, appunto come non mai, in relazione al vortice complessivo delle totalitarie tecnologie ed arti contemporanee, entrate in un turbine di dimensioni conoscitive sempre più incomunicabili, specializzate ed autoreferenziali, seppur di necessità volgarmente comunicate, “giustificando”, come nel libro dei morti egizio e nel Bardo Thodol tibetano, le formule rituali per i passaggi di stato, con i loro stadi intermedi.  Nel caso a noi più prossimo, col clinamen del massificato ottundimento inesorabile verso la soglia di passaggio ad un’altra epoca.  Nell’attuale condizione astrattamente materialistica, infatti, le paradossali “convergenze parallele” dei nuovi incerti paradigmi cosmologici (nell’immensamente grande... ma avvenendo questo parallelamente nell’immensamente piccolo) si traducono in conoscenze ipotetiche, tra “materia visibile” (“reale”) e “materia oscura” o “invisibile” e tra “buchi neri” ove tutto si perde gravitazionalmente e “buchi bianchi”, da cui tutto ipoteticamente potrebbe irradiare, tanto per cercare di rimanere in metafora.  Ora con il capovolgimento di ogni parametro ordinato intelligentemente alla physis per un’ulteriore successiva ripresa, che non verrà però per sole meccaniche celesti ma per scelte rispecchianti, di quelle forze immani, l’essenziale principio ordinante  E so bene che quest’allargamento di consapevolezza intuitiva o d’intuizione discriminante, che sto ora operando non in linea con una consueta recensione e che, se volessimo proprio esagerare potremmo anche chiamare una sorta d’antindividuale “buddhi”, si presterebbe facilmente a vari sorrisetti e distinguo. 
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  • Purtroppo la distanza che si pone duramente tra comprendere e rifiutarsi di mettersi in un gioco oltrefisico, è la stessa, ad esempio, per la quale un serio studioso di ideografia usa infinite cautele (...ed è dir poco...) nella traduzione verso una lingua sillabica.  I due mondi, naturalmente referenziati, possono infatti sicuramente spartirsi l’infinita originaria complessità del tutto, ma nelle epoche si sono evoluti (al di là e persino deviando grandemente dalle matrici identitarie) tramite iconologie diversificate per senso e potenza.  E questo non riesce bene a tradursi in comprensione allargata, se non lungo la lama a doppio taglio dell’approfondimento estremo (specialistico e supersettoriale) se vuole concedersi nulla o poco al senso comune.  E, consustanziale all’abbandono del luogo comune, sempre manovrabile a dritta ed a manca, (...potrebbe e dovrebbe avvenire) la divaricazione non insulsa e non costitutivamente deviabile dalla predominanza politica/sociale del “secolo”.  Lo stesso linguaggio postmoderno, cosiddetto “alto”, riacquista così paradossalmente un suo taglio “gnostico”, ma questo in termini puramente verbalistici, attraente trappola formalistica ove la forma perde ogni sua sostanzialità, perché la possibilità della lingua, sfibrata tra un linguaggio massificato/oggettualizzato ed un gergo tecnologico/virtuale incapace di fornire senso se non a se medesimo, supporta sempre meno una vera traducibilità comunicazionale se non con metafore troppo spesso scadute per tempi e scadenti per struttura. 
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  • Lungo la stessa china, l’universo occidentale, dominato ormai dall’anglosfera (all’interno della quale - come puntualmente investiga Marco Rossi - contraddizioni storiche conseguenti si sono poi sostanzialmente risolte in mutate ma necessariamente accordate nuove complessive proiezioni di potere), non potrebbe essere, per logica deriva, che la massima espressione di certe qualificazioni originarie (ed illuminativamente di certe prassi... quali il divide et impera) quanto assieme il relativo estremo tradimento delle medesime, per eccesso di pressione interna e carenza crescente di attrattiva esterna.  Per perdita di coppia nel motore immobile interno.  Logica ciclica.  Il tutto quindi nella ben prevedibile e terminale hybris imperialistica, non più solo trattenuta in pur immense aree di referenza, ma ormai globalisticamente indefinibile nella propria spinta universalistica. I sempre suadenti paradigmi geopolitici terra e mare et similia (con i loro geneticamente sconcertanti - e quindi rigettabili - trapianti di cuore) ne sono l’emblematica (ma rivelatoria) soglia di passaggio.  Carte del mazzo del Grande Gioco, ove, con suadenti metafore acchiappatutto,  opere d'arte molto intellettualizzate anch'esse, tendono a perdersi i seminali originari.
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  • Ma, drammaticamente, oltre ogni tentativo di concettualizzazione, l’azzardo massimo, per certe élites di nuovo convintamente e dominantemente “portatesi all’estremo” come direbbe Girad, è, ancor più di sempre, considerato inevitabile e decisivo (...ora e non più) perché vitale.   Nell'era atomica. 
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  • E tutto questo, diversamente da quanti s’illudano, pur generosamente, di una “separatezza serena”, per un intelletto discriminante definibile una volta “puro” dalle più diverse dinamiche coscienziali, risulta personalmente penoso ed, a maggior scorno di giustizia, socialmente avversato, nella migliore delle ipotesi.  
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  • Anche se non è sufficiente la più fitta cortina fumogena per toglierci il focus visivo sopra le ciglia chiuse, se prima si è letto ad occhi ben aperti un testo come questo, incalzante, irrefutabile in precisi riferimenti storici e relative interpretazioni, anche ben diverse per provenienza ideologica e stile di comprensione, ma concordanti oltre ogni ragionevole dubbio.  L’autore potrà ben essere silenziato o minimizzato sino all’irrilevanza, ma la sostanza del suo meccanismo logico essenziale e non orpellato da nessuna deriva superficialmente letteralista (...le mode interpretative che vanno e vengono e lasciano sulla spiaggia oceanica i detriti e gli scarti di ogni diffusa passione irriflessa), non rimane toccata ed è libera offerta al libero pensiero. 
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  • Marco Rossi, come pochi altri da me conosciuti, riesce a governare saldamente un suo taglio critico estremamente equilibrato pur con sincera visione metapolitica (sincera in funzione proprio di quell’equilibrio), all’interno di una progressione ben credibile di eventi e relativi accuratissimi rilievi critici.  Disincantato quand(t)o necessario e mai più del necessario e neanche infinitesimamente vile, nella minimizzazione o nel nascondimento di tutto ciò che è processo naturalmente ed artificiosamente occultato, capziosamente deviato, strumentalmente riversato e sempre finalisticamente gestito.  Anche storiograficamente.  Questo, invece, è il tipico testo storico che se non fossimo governati da infinitamente deboli e/o più o meno consapevolmente servi, potrebbe costituire un vero strumento critico, non solo per diatribe “bizantine” su linee storiche di risacca, ma per procedimenti illuminativi sul senso di lungo e determinante periodo.  In tutti i capitoli s’afferma una consapevolezza coerente e distesa, che procede con un metodo allenato e sempre estremamente cauto pur nella “decisione”.  In più, ad un lettore non professionista come me, l’estrema accortezza di una sensibilità cresciuta con grandi esempi maestrali ma in una minorità di potere e così lungamente addestrata a portare prove ad iosa sino allo sfinimento (probabilmente e comprensibilmente del tutto inefficaci), per un metodo ben consapevole della diffusa malevolenza storiografica contemporanea, risulta addirittura pleonastica, ma questo significa poco (anzi niente), perché qui non è in gioco solo una generica sensibilità di lettura, mia e speriamo di tanti altri, ma soprattutto un’irriducibile qualità d’intuizione discriminante.  
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  • Il libro di Marco Rossi, profondo, accuratissimo ed onesto, è quindi adatto ad anziani come me ma forse - per il suo crisma non edificante ma problematizzante, ovvero richiamante ad un impegno mai arreso per adattamento a falsi miti - ancor più a giovani che siano veramente capaci di leggere con una mente aperta ed un cuore (minimamente) avventuroso.