• Opera interrotta Evelyn Waugh

  • A proposito di  Opera interrotta  di Evelyn Waugh 
  • rec. di
  • Sandro Giovannini

  • L’apparato critico a corredo del libro è esauriente seguendo passo passo la costruzione del romanzo e facendoci partecipi di quanto sia sostanzialmente autobiografica la scrittura di Waugh. In un solo capitolo di un intero libro sull’autore (Jeffrey Heath, The Picturesque Prison: Evelyn Waugh and His Writing, Weidenfeld and Nicolson, London, 1982, Cap. 10), diversifica questo testo rispetto ai precedenti, in direzione di un cambio di vita interiore per una più spinta autenticità.
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  • Per noi, permane comunque una distanza evidente della nostra complessione nazionale rispetto al ritratto “a tutto tondo inglese” di Waugh, quasi catafratto in funzione magistrale nei possibili archetipi e stereotipi. Questi nella nostra presumibile rappresentazione al proposito e nella nostra conseguente capacità recettiva. Anche motivo di sorpresa continua e di sorridente compiacimento assieme, a rendere più arduo però il nostro scandaglio veritativo, posti di fronte come siamo ad un geniale mix di commedia ch’è ritratto di costume, oltre che ritratto di ripetute generazioni tra college viaggio all’estero e case alto borghesi (preferibilmente di campagna). Reiterazione che contrappone a dei padri ingombranti e diversamente irresponsabili dei figli sfuggenti ed altrettanto prevedibilmente difficili. Affondati in una convivialità eccessivamente consueta per un’intimità costitutivamente ambigua costruitasi nei lunghi anni studiosi e collegiali, poi cinica e convenzionale da club e brillante da salotto, risolta troppo spesso con ipocrita naturalezza. O levitas obbligata dalla gravitas del contesto ancora imperiale. Così si crea il doppio dello scrittore e dei suoi protagonisti e deuteragonisti, sempre sul filo della sopportabilità ritmica (la scrittura necessariamente opta per più registri) e quindi in una tensione sicuramente soddisfatta ma mai troppo sparata o del tutto irredimibile, come avviene sovente nei casi del poliziesco del nero e dell’horror, ma giocata comunque per rimbalzo (interiore) degli stessi archetipi e stereotipi. Che in magici casi possono (come avviene per il protagonista del romanzo e prima ovviamente per Waugh) persino provare a trasformare potenzialità intellettuali in esistenziali. Ma il tutto nella sublimazione scritturale d’una continua schermaglia (guerriglia asimmetrica) tra simili e dissimili che, nel migliore dei casi (come in questo percorso di cambiamento in Opera interrotta), racconta prima la stanchezza e la nausea di sé ovvero del sé immaturo e poi una sia pur fragile ma meno incerta presa di coscienza d’amore, in crescendo progressivo.
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  • Questo, nella trama, attraverso l’abbandono lento del cinismo colto e dell’affettata crudeltà e della forzata brillantezza intellettuale verso una minore competitività allargata e poi dell’amore individuato, riconosciuto e delle sue responsabilità implicanti. Che molti potrebbero leggere (superficialmente) solo come una resa borghese. In tal senso mi sembra illuminante un passo della Postfazione:
  • “...Anche in Work Suspended (Chapman and Hall, London, prima edizione, 1942), quando John Plant (il protagonista, appunto, d’Opera interrotta) accetta lo stile del padre, non vi si conforma ma si limita a riconoscere quanto ha di valido. Nel farlo, si libera dai vincoli della ribellione e si prepara a crearsi una propria identità. Ora può respingere il proprio stile immaturo, cercarsi una dimora stabile e una relazione amorosa matura”                                                          ...
  • Diversi come potremmo credere di essere rispetto a quel mondo di interconnessioni sociali vissute nella culla storica di un’inconfondibile modalità del pudore che col nome di privacy da noi è stato malamente importato (e poi tradotto ancor peggio coll’assimilazione globalista) perlopiù in furbizia risentimento protesta e separatezza narcisistica, quando invece avremmo potuto compararla con le nostre antiche (aristocratiche) qualità di “vita nova”, inferiori a nessuna altra immaginabile... ebbene, diversi come potremmo credere di essere, ci riscontriamo invece proprio simili, appena si scostino le velature del tendaggio consuetudinario, ammantato con diverse bandiere.
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  • Opera interrotta... è mutila perché è certo che il romanzo, nelle intenzioni prime dell’autore, dovesse ancora procedere... ¿Ma verso dove? A me appare come comunque risolto anche perché la corrispondenza del protagonista (scrittore a sua volta di un romanzo... è un maestro di polizieschi di successo di cui l’ultimo rimane anch’esso incompiuto)... senza affermare o negare fa segno, (...come dice l’Oscuro) che il dicibile sia, più o meno, già tutto dentro. Il gioco di specchi è poi una risorsa di consapevolezza (perché riflettente), sempre che non divenga un alambicco demonico od un bussolotto autorale eccessivamente sfruttato, come in casi letterari pur eminenti.
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  • Ma vorrei finire con un ulteriore passaggio dalla postfazione:  
  • “...L’incapacità di Waugh di liberarsi di John Plant è interessante sotto l’aspetto tecnico, poiché getta luce sul metodo con cui crea i suoi protagonisti-alter ego. In ogni romanzo Waugh crea un alter ego che rifiuta, come un serpente che lascia la sua vecchia pelle. Nei primi romanzi l’infelice destino del protagonista rappresenta una tappa dello sviluppo del suo creatore; egli è lasciato a soffrire nella sua ignoranza mentre l’autore approda a uno stadio superiore, sfuggendo grazie al suo esempio. Nelle opere più tarde la critica dei suoi alter ego da parte dell’autore appare più esplicita, ma invece di abbandonarli alla catastrofe Waugh permette loro di superare le loro manchevolezze, conferendo loro la percezione morale che aveva sempre negato ai suoi primi personaggi. Opera interrotta segna il tentativo di attuare la transizione. Qui, per la prima volta, Waugh aveva intenzione di sviluppare un protagonista anziché accantonarlo. Ma, per qualche ragione – ed è dubbio che si trattasse davvero della guerra – John Plant non riuscì ad arrivare alla sua palingenesi. E’ possibile che Waugh avesse semplicemente troppa simpatia per Plant così com’era, o ritenesse che in certi periodi l’immaturità sia un vantaggio, o, non sentendosi ancora capace di trattare bene il tema dell’amore, non riuscisse ad operare la trasformazione in maniera convincente”. (pag.133)
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  • Al di là delle varie ipotesi di Jeffrey Heath, ragionevolmente indimostrabili, e della sempre dubitabile coincidenza della progressione - non filtrata - tra autore e protagonista, ciò che convince del critico è il considerare Opera interrotta: “...il culmine del primo periodo di Waugh”. Una delle più alte cime espressive entro la decade che termina nella II Guerra Mondiale. Una metafora incombente perché la dura lezione della storia prevarica ogni precedente conflitto interiore, assorbendolo in un smisurato incendio attraverso la combustione delle precedenti usualità, per riconsegnarci tutti, autori e protagonisti, diversi e pi(e)agati, alle seppur mutate ma sempre ineludibili problematiche del vivere.