• Sun Tzu

  • Metodo ideogrammatico?
    Citazione:
  • “...Ordunque nessuna arbitrarietà riuscirà a superare l’arbitrarietà massimale del volgere un testo ideografico in una stesura verbo-fonetica.  Un quadro non si parla!   Il testo ideografico lavora sul cervello in modo completamente diverso. Ed è per rispetto alla riproduzione di questo  lavoro che si deve giudicare la coerenza del tradurre. Donde un primo criterio di metodo: l’abbandono di una corrispondenza biunivoca o quasi tra ideogramma e parola. L’ideogramma è assai di più di una parola sia estensivamente che intensivamente. E’ perlomeno una descrizione e/o definizione, ma soprattutto continua a vedersi senza dissolversi nell’immagine sonora, e pertanto ad agire nel modo che gli è peculiare.  Ha natura d’emblema, purché al termine “emblema” si conferisca l’antico significato d’icona didascalica. L’ideogramma è un segno compresso e ciò si evidenzia nell’etimologia.  La congettura etimologica non ha valore precipuamente scientifico, bensì euristico. Essa offre col sussidio mnemonico un condensato di definizione ed un’integrazione di concetti che è insieme solida  e flessibile, fantasiosa e logica. Si tratta più spesso di etimologie al modo delle “Origines” di Isidoro di Siviglia il cui valore mnemotecnico, se non è attendibile quello scientifico, è però sempre efficacemente immaginifico.  E così ogni volta che ho potuto disoccultare queste etimologie e fare “vedere” il carattere, l’ho fatto, riprendendo un procedimento che fu già di Ezra Pound.  E’  da ciò che deriva l’aspetto di ridondanza fra l’altro. Se si dispongono gli ideogrammi del testo evidenziando analogie trasversali, come ripetizioni ed enumerazioni, si “vedono” anche i nessi sintattici, e questa struttura complessiva è assai più importante delle particelle sintattiche vere e proprie, o come sono tradizionalmente definite, degli “ideogrammi vuoti”, gli Hsu Tzu. Per rendere questa simultaneità di parti ho studiato tutta una serie di varietà che conferiscono alla stringa verbo-fonetica un andamento più complesso fatto di richiami e anticipazioni, che non quello meramente lineare-transitivo. Accade poi che a mano a mano che si proceda nello studio dell’ideografia, si diventi il soggetto di fenomeni che grosso modo si potrebbero definire come concernenti l’organizzazione di campo, cioè del campo concettuale, non perfettamente controllabili, e pertanto non previsti. Di uno stesso testo ideografico si rende possibile allora una molteplicità di traduzioni diverse, sia per rispetto al numero dei traduttori che per rispetto allo stesso traduttore in tempi diversi.  Ciononostante non vi e nulla di arbitrario in tutto ciò. Semplicemente bisogna lasciare fare al tempo. Il tempo lavora sedimentando sempre nuovi conii ideografici ed integrazioni analogiche insospettabili. Il testo originale si arricchisce di sempre nuove possibilità di significazione che coesistono perfettamente con le precedenti. Non vi e alcuna ambiguità o genericità. Riferire di una complessificazione crescente che non si satura è riferire di un’esperienza, cioè di un alcunché intellettualmente non assimilabile nel senso della riflessione verbale, benché concerna  l’intelletto al lavoro simbolico, che si deve esperire per comprendere. In tal senso non è nemmeno esatto dire che il testo ideografico è propriamente intraducibile. E’ esatto dire che è sempre traducibile, che ciascuna traduzione ha un suo valore e realizza comunque il testo.  Ma il testo nella sua essenza ideografica è sempre al di là, è per sua natura archetipo. L’ideogramma giace nel silenzio - un rapido suono contratto soltanto può evocarlo sinestesicamente - e propriamente si offre alla contemplazione. E’ un ineffabile armamentario d’invenzioni remote integrate in un universo d’oggetti e di trame che tende a conservare il suo aspetto di cifra...”
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  • (Da:  Renato Padoan, Introduzione a:  Sun Tzu, "L'arte della guerra",  Sugarco, 2000, pagg.: 14-16.  S.G.:  il grassetto finale della citazione è mio)
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  • cheng ming

  • Commento:
  • Il lavoro specialistico di scavo, comparazione e riproposizione porta - in tal caso - ad una presa di coscienza complessiva, oltre ogni intellettualismo. Persino una rinvenibile (in altri passaggi) diversità ideologica non porta ad una difformità di stato d’animo, ma anzi  - supponiamo  arditamente, per  evocazione insopprimibile dalle profondità  archetipiche della materia trattata - ad un essere vicini e consentanei a letture che - nel mondo dell’ordinarietà corretta attuale - sarebbero impensabili. (Altro caso eminente, è l’ancor più eclatante, al proposito, Girolamo Mancuso di Pound e la Cina, Feltrinelli, 1974). Ma non è solo questo a poter interessare. E’ forse il non potersi sbarazzare di una testualità che non è stata ancora globalisticamente normata sull’occidentalismo corrivo e pubblicitario delle 300 parole o sulle primarie esigenze commerciali delle crescentemente esponenziali “vie della seta”, e quindi poter far base sulla radice della cultura ideografica... A lato dell’assillo incoercibile della volontà  di potenza e sperare di poter essere difesi - prima di ogni successivo calcolo (ma non senza o contro...beninteso) - dalla potenza primaria delle originarie comunicazioni metafisiche.  Quando in un numero di "Letteratura-Tradizione" misi brutalmente, senza alcun apparato di servizio, sette versioni di uno stesso famosissimo passo della Bhagavadgītā, non era l’impianto antifilologico o la verve canzonatoria a darci ragione della sciarada traduttiva, quanto il risultato esattamente espanso (per quanto il sanscrito sia ovviamente del tutto difforme da una specifica scrittura ideografica... a minori ad maius), proprio secondo ciò che dice Padoan  “...la complessità che non (si) satura...”. Ovvero che non ...straborda... se non per etilisti compulsivi. Il SunTzu, a tal punto diviene una delle tante porte mistiche, rinascimentali o barocche, a scelta... Ove ciò che sta dentro, se è un vero giardino concluso od un alto labirinto verde, si riesce a vedere solo dal palazzo. Da quell’ampio balcone, magari posteriore, che presiede alla riflessione meditativa. L’introduzione (...the Ideogrammic Method...) ci apre sugli orti di servizio, colla prassi della coltivazione artistico-artigianale e col vocazionale intuito identitario, a partire da ciò che è il seme del nome (asema onomata), nel mot juste, sino al frutti celati dei nomina arcana, pur e pura euristica - sempre congetturale - come felicemente dice Padoan, ove si cura la primizia e la semina di chi sa lavorare per il raccolto finale e prezioso, mai sicuro e mai indiscusso, della scrittura.