• Cane sciolto

  • A proposito di
  • CANE SCIOLTO
  • Il nero muove e perde
  • di
  • Miro Renzaglia
  • (romanzo, Passaggio al Bosco. 2021) 
  • rec. di
  • Sandro Giovannini


  • Chi e un individuo? Uno che si sarebbe dovuto individuare? E chi sono io per capire se uno si e individuato o no? Ma per uno come me che in un lontanissimo passato diede il titolo ad una raccolta comunitaria “Né cani sciolti né pecore matte”, il titolo “Cane sciolto” fa già pensare a parecchio. Parecchio non e né moltissimo né troppo, ma non è, comunque, poco. E restiamo a Miro. Lui procede dalla vocazione. Anche la vocazione sembrerebbe parecchio. Se uno non prendesse troppo sul serio le profferte del caso... tipo mi son trovato lì e… d’accordo… poteva andare che mi univo agli uni, come agli altri. Ma poi incombe sempre un richiamo, magari grossolano o magari subliminale, ma ben più potente di quanto comunemente si creda, che ci porta fuori dalla disamina cinica e disincantata. Il sangue, come recita ancor più alla fine del romanzo, ha la prevalenza su ogni cosa, almeno a linee massive… Poi, come fa lo stesso autore (lungo tutto il racconto), chi è che ha parlato meglio di molti (se non certo di tutti) della “fascinazione fascista”, se non chi lo ha fatto a contrariis? Mi ricordo, al proposito, delle più belle parole di un Bataille o di un Caillois, e non quando sbracano rovinosamente nel rovistare nella spazzatura del grande sgombero, ma quando riportano alla luce il diamante della pressione primaria. Originaria. Bene… lì viene fuori il meglio della comprensione e nulla è eccessivo, ma solo illuminante. Quindi bando al caso, che certo agisce in noi, ma forse meno di quanto a priori o (magari) a posteriori, si creda. Perch’è proprio lì che quel passato e futuro, riassorbiti dalla presenza paradossalmente eterna dell’attimo (…come recita l’autore), in quel momento/caso, costruisce il paesaggio attorno .. incidendo in ciò che noi proprio faremo. Almeno, io così credo. Ma ha un senso che io parli così? Così parlando si capisce qualcosa solo se uno ha davvero già letto il libro e si è fatto divorare dalle cose che restano di scorsa o si riprendono poi, di ritorno, su molte, molte pagine. Che importa quale sia il giudizio critico che poi dovremmo dare dividendo in fabula intreccio sintassi e filmica se non riesce a prenderti la cosa detta e se ti lascia indifferente tutta la storia come se tu dovessi solo interessati a capire perché uno ha scritto proprio una cosa invece di un’altra? Io stesso che ho vissuto “sdoppiato” quegli anni, pur essendo stati quelli di una mia giovinezza violenta ed ancora seminale, li sento cupi ed ingannevoli, tutti a debito di una lucidità che mi spinse, molto presto e forse prima di altri, più a superare che a vivisezionare. E nei miei libri ho trattato, tutto sommato, solo aforisticamente la mia, mutevole, consapevolezza esistenziale. Per cui confesso che non avrei mai letto un libro come questo - come non ho fatto con tanti altri - se non fosse stato scritto da un antico sodale. Ma, ripiombandoci dentro, il nero che muove e perde, diviene la metafora di un certo tempo che, necessariamente, ha le sue caratteristiche irripetibili, ma che ci risputa in faccia, appena siamo a volto scoperto, l’impermanente ma incontenibile espansione dell’identico. E qui, comunque l’intreccio tiene, divenuto paradossalmente atemporale, e proprio per questo supera persino il nostro pregiudizio di adagiarci su ciò che conta per noi pochi (o molti, magari, scegliete voi…), ovvero comprendere quale cammino insieme si possa ancora fare con chi ci è stato sodale ... Un tempo, un tempo. E non perché noi si abbia bisogno per forza di altri (...se per giunta si è proprio un “cane sciolto”), quanto accostarci ad un percorso, che non può che essere diverso, ma proprio perché “altro” ti induce dialetticamente a pensare ed a rivoltare anche tutte le tue cose del passato, che però (te ne accorgi sempre, con sorpresa) servono ancora per vivere, qui ed ora… In una via che potrebbe essere più o meno la nostra... Almeno per un po’… almeno finché si vive con l’intelligenza operante. Questo è quello che dico del libro di Miro ovvero ciò che mi interessa veramente e poi potrò anche dire ciò che direi per molti (non troppi) che comunque stimo, ma con i quali magari non c’è stato in gioco un vissuto profondissimo, sia pur altalenante, una passione divorante, forse in parte ridotta a cenere...
  • Scrive bene, controlla il linguaggio… l’alto ed il basso sono sempre raccordati da una linea di equilibrio mediano anche se la parola equilibrio, nel suo caso, possa apparire, a provare la tensione ininterrotta del racconto mirato su un soggetto sempre al limite, un azzardo... Invece no... E’ proprio equilibrato nella sua rapsodia d’immagini e di quadri d’insieme... Nella sua “povertà dignitosa” (della sostanza) che avrebbe tanti accostamenti letterari, nobilissimi per quanto popolareggianti, oggi ovviamente del tutto inattuali,… oggi che si vive imaginalmente in un quotidiano ridotto al solo sogno del consumo… Nel procedere, in questo libro, per vite probabili, per amori probabili, per accadimenti probabili e quindi credibili, anche se il livello aforistico, mai sputato, rimane, sopra e sottotraccia, costante. Diciamo che potrebbe persino apparire declamato, ma questo fa parte di quel clima e del pensiero ossessivo che oggi s’è tramutato, non meno ossessivamente, in altra ed apparentemente diversa forma. Nel suo aforisma di taglio esistenziale (esperienziale), preponderante persino, ma non saccente. Quello, incredibilmente che lui pensa (…lui, Miro) e non quello che gli altri credano che lui, solo, scriva.  Lo so perché accade anche a me che i pensieri spesso sian ben superiori al mio medio livello esistenziale, anche se dirlo così sembra una bestialità. Ma la prova è data proprio dal fatto che a volte, per riconoscermi nel mio pensato, devo far fatica… Devo procedere a ritroso, ricostruendo e non è facile. Pensiamo per altri… Per questo molti parlano, a sproposito, di teoricismo e di oscurità a buon mercato. Come se fosse più onesto (…magari solo più furbo) ridurre il caos interiore, geniale ed a suo modo irripetibile, ad una lucidità di lettura… Credo che succeda anche a lui. E lui opera bene nella sua struttura a tre, tra uomo e donna concreti e mondo astratto figurato, ma che incombe, numerale (…azzarderei pitagorico) dei tarocchi/scacchi che sappiamo, come è vero per l’autentico Oscuro, “non dice, non occulta ma fa segno”… come… se fosse possibile che “…pour de pareilles âmes le surnaturel est tout simple” (Flaubert). E crederlo per un non credente è ancora più sorprendente.
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  • La scacchiera del mondo che domina con la sua prevedibilità impenetrabile (…la vacuità ed il destino)… ero tentato di dire... Ero tentato di dirlo solo perché siamo abituati a pensare che una tensione ideale, pur portata al suo spasimo ed alla sua prevedibile acme favorisca sempre la lettura. Ma questo non sempre s’avvera, perché, fuori da una concatenazione efficace, la tensione, portata all’estremo, può crollare in qualsiasi momento. Ora questo non succede qui, perché, ben oltre la curiosità del comprendere un’anima che ha sempre potuto costruito il romanzo, la storia ben meritava e merita (così raccontata), oltre questo testo compatto, forse un libro ancora più disteso di questo per metterci dentro tutta una parabola e non solo quella “d’origine”, poi vista tramite gli occhiali, ben schermati di oggi, nel nostro tempo così unico, ancora come sempre, fluido e nuvoloso di tempesta... Ma forse è una tempistica, espressiva ed interiormente necessitata.
  • “…Ho avuto tutte le età, tranne la mia. Ma lo stupro della tua adolescenza non ti dava diritto di scegliere, per contrarietà, il rovescio di ogni ideologia. Anche se ad istigarti era stato il sicario del suicidio e il vero crimine fu il discrimine accettato come stimmate della differenza. Perché nicciano libertario e anarchico jüngeriano era un’equazione a troppe incognite per dare un risultato diverso dallo zero. In realtà, non volevo niente ma lo volevo con tutte le mie forze: artefice geniale di un marchingegno autonichilista. E svaginare a sassate il senso della vita era l’unica utopia. Balbettata tra le rime, la parola disdetta, amore e poesia si coniugavano strette al tempo di un futuro, funereo presagio: tra ovulo e loculo il passo è breve. Oh! Inquieta età, ogni pietà ti è vietata. Ma se fra dire e il non dire c’è di mezzo il fare, l’azione brucia tra le spire l’esperienza e ogni diffidenza a vivere è scongiurata nel limpido svernare…” (pag. 150)
  • Per chi è stato poeta vero è costante l’attuale e potenziale scrittura a riprendersi tutto il tempo che serve per dire ciò che, miticamente e realmente, si è stati e quello che si è diventati... Lui ci sta già riuscendo.