• P. P. P.
  • di
  • Andrea Marcigliano
  • (da https://electomagazine.it/p-p-p/ di giovedì 09 settembre 2021)
  • Sinceramente delle polemiche, sulla vita privata di Pier Paolo Pasolini, non me ne è mai importato un fico secco. Come di quelle di tanti altri scrittori, peraltro. Wilde, Withman, tanto per fare due esempi. Cosa facessero, e con chi, in camera da letto sono fatti loro. Non sono omofobo né moralista, né sostenitore dei gay pride. Me ne frego, per dirla con Rett Butler. Ovvero Clark Gable nella sequenza finale di Via col Vento. Insomma degli scrittori mi interessa l’opera. Quanto hanno scritto. Non come hanno vissuto, se non nella misura in cui la vita sia espressione artistica. Ma questo vale per Dante, D’Annunzio e ben pochi altri. Non abbiamo alcuna biografia di Shakespeare, ma questo nulla toglie al suo genio creativo. Quindi di Pasolini la vita privata mi interessa ben poco. Se non per quel tanto che ha inciso sulla sua opera. Dove i tormenti dovuti alla sua “diversità” - come era uso chiamarla - ci sono, ma molto meno presenti di altri. Ben più profondi e drammatici. Per farla breve, lui, P.P.P., ai gay pride non ci sarebbe andato. Anzi, li avrebbe trovati ripugnanti per la sua, raffinata, sensibilità estetica. Era un’anima tormentata, mille contraddizioni e battaglie interne irrisolte. Un intelletto critico acuto come pochi. E probabilmente il più grande poeta italiano emerso dopo la guerra. Bellissime tutte le sue raccolte. Poesia in forma di rosa, per me, il suo vertice. Mi hanno sempre meno convinto i romanzi. Vigorosi, di grande scrittura... ma troppo legati a contesti temporali limitati. Uno strano realismo, visto che, in fondo, un vero realista lui proprio non era. Piuttosto, un anacronista. Un lottatore contro il suo tempo, come fu, in dimensione certo diversa, Nietzsche. Era un uomo antico, in fondo. Al di là della modernità progressista cui lo volevano, e ancora vogliono, a tutti i costi ascrivere. Rivendicava con orgoglio le origini contadine, anche se, di fatto, era cresciuto a Bologna ed era di estrazione borghese. Ma si sentiva friulano, di Casarsa, come i suoi avi. In quella terra aspra, tra quella gente abituata a lottare con la vita, sentiva affondare le sue radici. Ritrovava, soprattutto, quel senso di appartenenza, di comunità che il mondo moderno aveva completamente perduto. Lettere luterane, Scritti corsari. I feroci corsivi ed elzeviri in cui, con frasi asciutte ed incisive, colpiva al cuore la disgregazione della società contemporanea. E dimostrava di cogliere le minacce e i pericoli insiti nel suo futuro. Con un acume dolente, che andava ben al di là delle critiche, troppo intellettuali e astratte, di Marcuse. Uno dei maestri di quel ’68 che Pasolini, invece, non amava. Rivolta borghese, dei figli del privilegio... vedesse, oggi, tanti “katanghesi” di quegli anni, divenuti mosche cocchiere della speculazione finanziaria, araldi di Big Pharma, avrebbe la conferma, la prova provata, della sua lucida visione. Aveva, in effetti, previsto molte cose. La disgregazione della comunità, la perdita di ogni etica, la deriva di un capitalismo sempre più lontano da quella ricchezza delle Nazioni che aveva teorizzato Adam Smith. E poi la fine di ogni forma di democrazia reale, che non poteva che essere legata ad una dimensione umana, comunitaria. Piccola. Mentre nel globalismo, che vede progressivamente, gli uomini ridotti ad atomi, la democrazia diventa parola vuota di senso. Peggio ancora, strumento di un’oppressione ben peggiore di quella dei totalitarismi del primo novecento. Fu profeta. Come solo poeti autentici, ormai, possono essere. Come Pound, per il quale nutriva una profonda ammirazione, al di là della differenza, per certi versi abissale, che li separava. Fu profeta, P.P.P.... e intuì la deriva che ci ha portato all’orrore in cui viviamo.  E comprese, anche, che l’orrore peggiore è il non avere alcuna coscienza della nostra situazione.

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