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    "ISTALLAZIONI  CREATIVE".   Nel n°43 di “Letteratura-Tradizione”, del 2009, nella forma “a libro”, ultimo numero delle tre serie della rivista, uscì nella sezione finale a colori (pag. 219-221) un mio resoconto di tutto il percorso che mi aveva portato dalla metà degli anni ’60, attraverso tutti gli esperimenti d’incrocio tra immagine e parola, a giungere alla fine degli anni ’90 a studiare e realizzare per la heliopolis design, dei complessi manufatti parietali per interni ed esterni, equilibrati tra proposta artistica ed indicazione arredativa. Non quindi delle sculture, che, nel mio caso, rispondono, anche ora, ad un più stretto e del tutto personale criterio creativo, ma una forma  imprevedibilmente capace di suggestioni diverse, e rivolta primariamente all’interno od all’esterno della dimensioni architettonica, con una valenza ricercata e perseguita per far star meglio persone e cose, consapevolmente e diversamente da ciò che la cosiddetta opera d’arte ambisce più o meno sempre, a ragione od a torto, come statuto e rango. Qualcosa quindi di volutamente “inferiore” ma al fruttuoso incrocio - sempre più doverosamente esplorabile - tra maestria e maestranza. Non una cosa nuova, se vogliamo essere sinceri, perché nuova non può essere e non vuole neanche sembrare quando ogni ideuccia variativa, diciamo ogni “modello di utilità” (per esser chiarissimi) già se ne arroga la qualità, quanto ancora del tutto spiazzante proprio perché assembla più spazi significanti nello stravolgimento dei protocolli dell’artistismo e del deviazionismo creativo. Incredibilmente quelle 3 pagine diedero motivo (allora) ad un famoso critico artistico - non so come miracolosamente colpito da un semplice e forse velleitario accrocchio di 4 foto, neanche riuscitissime - ad invitarmi più che generosamente ad esporre a Palazzo Venezia, tale modulo espressivo. Dopo difficile valutazione, decisi, credo responsabilmente, di non farlo, perché avrei dovuto deviare all’improvviso da tutta la mia vita di ricerca ed espressione, che aveva ancora una precisa connotazione comunitaria, a qualcosa di inevitabilmente diverso, marcato da una singolarità stravolgente. Dovendo concentrarmi per anni, necessariamente, senza poi nessuna garanzia di sequela vera, su una cosa sola, mentre ho sempre privilegiato farne molte e diverse, contemporaneamente. Da qualche tempo, però, si è rideterminata verso questa nostra idea di allora - evidentemente a suo tempo anzitempo - un interesse che potremmo definire maturo e più comprensivo della valenza ricca e non solo assemblante, forse intelligente e non solo furba, comunque coinvolgente e non solo a parole nell’ormai abusato ricorso allo slogan olistico ed interattivo... Chi frequenta infatti, ora, i più importanti siti ove si determinano concetti abitativi e fatturati rilevanti si rende conto - persino contro ogni sua legittima od ingenua aspettativa - della discrasia lampante tra lo scontato minimalismo arredativo per interni imposto disfunzionalmente e proposte architetturali a volte persino affascinanti e/o geniali. Con riflessioni conseguentemente e dolorosamente scontate sugli esiti diffusamente infausti di ideologie e didattiche ormai dominanti.
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  • “Istallazioni creative”
  • (Heliopolis, 1985-2023)
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  • L’idea si é concretata in medie e grandi realizzazioni parietali, per interni ed esterni, che hanno convogliato molte delle nostre precedenti esperienze con e su materiali più diversi tramite tecniche specifiche per cuoio, pergamena, stoffa, carta pregiata, legno, radica, oro, argento, rame, piombo, plexiglass, marmo, resina, terracotta, microcemento, encausto, mosaico, serigrafia, digitale, scrittura manuale, incisioni e/o traforazioni laser, tramite metodologie ispirate all’antico e trattate modernamente.
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  • Ora, mélange e sovrapposizione di tecniche miste e citazionismo, ricavando il maggior vantaggio da una visione urfuturista, (consapevolmente, da noi solo evocata), ove tutti i lasciti del secolo mai esaurito entro l’eterna guerra civile europea, vissuti tramite una lettura conciliativa e giustapposta di ragioni spirituali e sentimenti materiali, ricerca ancora, seppur disperatamente, una sua armonica potenzialità espressiva. Queste “istallazioni” non richiedono astrusi strumenti decodificativi e non ammiccano inutilmente a potenzialità indimostrate od indimostrabili. Sono alla portata di molti, ovviamente ai relativi livelli, proprio perché già comprendono in sé elementi storicizzati seppur complessi, classici, moderni, comunque resi contemporanei. E sperabilmente espressivi. Il complesso non può e non deve prospettarsi nuovo, ma considerando lucidamente, oggi, le logiche della “catastrofe simbolica” di tanta teoria a riguardo del mercato automatico attuale e delle relative superfetazioni artistiche del mito del “marchio/marchiatura”, dispiegato ormai senza tregua, risulta ancora del tutto spiazzante, soprattutto per ricomposizione difficile tra mastro e maestro, in controtendenza assoluta con il superego narcisista del mito fasullo del “creativo”.
  • La problematicità, quindi, non è tanto o solo nell’essere fuori dal prevedibile schema dell’opera troppo individualizzata nelle sue varie declinazioni, quanto nell’idea/incrocio di varie logiche espressive, che è anche risultato di un percorso che vocazionalmente ha incluso molte esperienze da noi fatte nei decenni tramite il comunitarismo creativo, ovvero una sorta di lunga stagione poetica, critica e metapolitica operata comunque con un senso più ampio di quello dell’artista singolo, non per difetto d’individualità o per vezzo modaiolo, ma per rifiuto dell’artistismo e del maledettismo, persino oltre la solita nozione di “gruppo” artistico, in quanto tentata su vari livelli (poetico, letterario, artistico, metapolitico, saggistico, editoriale, organizzativo...). Esperienza maturata poi anche in validi percorsi individuali. La tecnica applicata quindi del montaggio e dello smontaggio - interpretata qui esteticamente più che meccanicamente, può raggiungere una sua risultante pratica. Tramite diversi moduli artistici, l’intercambiabilità, concetto/chiave, infatti, non permette solo cambi e sovrapposizioni (=di scenario espressivo) ma anche eventuali sostituzioni nel tempo. Cosa che, in più, lega il destinatario con un rapporto di maggiore durabilità. Con diversi stili applicabili per una risultante figurativa, evocativa, storica, letteraria, sempre facilmente riconoscibile. Anche con specifici “lacerti artistici inclusi”. Nello specifico delle “istallazioni creative”, il risultato, poi, non va letto come “prendere o lasciare”, isolato dalle sia pur minime potenzialità condivisibili della committenza, ma come valore realmente interagente con la fruizione e la committenza stesse. Non solo a parole, non solo con la parola, ma nel manufatto. Con il coinvolgimento diretto di una “presenza” precisa - sia pur necessariamente trasfigurata - della committenza e della fruizione contestuale, tramite due apparati specifici, diversamente mandati ad effetto, e sempre presenti. Un’immagine della committenza, familiare e/o evocativa/interna, su intesa con i produttori (a vario titolo) ed una specularità, operabile di volta in volta, che rende immediatamente percepibile la fruizione, riflettendo (oltreché, ovviamente, inglobando).
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  • Nelle “istallazioni creative”, a differenza decisiva rispetto a tutte le altre produzioni paraeditoriali Heliopolis, però, dobbiamo sottolineare che, tali manufatti replicabili in base allo stile scelto di volta in volta a seconda della ragione contestuale, ambiscono avere un livello eminentemente arredativo e scenografico, pur con una indubbia pregnanza artistica dovuta agli inserti con maggiore o minore caratura creativa, di volta in volta inseriti. Questa potrebbe apparire una capitis deminutio, ma è una piccola voragine su mondi lontanissimi.
  • La complessiva “scrittura esterna” (1) della ragione e del sentimento del nostro tempo, ha quindi una valenza di sommatoria epocale e di tentato recupero terminale, che non può essere disconosciuta facilmente, se non a prezzo di un rifiuto aprioristico al confronto dialogico tra norma e scarto, confronto ormai ampiamente storicizzato. (2) Gettati nel tempo e condizionati dal clinamen. Ma con una realizzazione identica a sé. (3) Al proprio stile. (4) L’evocazione riconosciuta che diviene espressa ricerca dell’identità simbolica (5) tramite una rappresentazione scenografica di volta in volta messa in atto, tra essere e sapere, (6) ove la comprensione dei produttori, dei committenti e dei fruitori, tre assoluti comprimari pur con ruoli ben differenziati, diviene il punto centrale di mediazione, punto focale, in quanto normale, (7) in quanto comprensibile, in quanto vis(v)ibile... Quindi non “trovare un nome”, non “dare una definizione”, formule d’accatto, buone per ogni vera o finta furbizia o costruita ignoranza, (8) ma aiutare a saper vedere, saper comprendere... comprendendo noi per primi tutto ciò che ci è suggerito dal passato, la tradizione del colore (espanso) e della sua effettività identitaria e trainante, così antico-occidentale come estremo-orientale, riscontrabile ora, possibilmente senza esclusioni o false primazie, nel presente e nel futuro delle neuroscienze.
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  • Infine accompagnando per mano il committente in un percorso che gli verrà fornito - con un supporto “critico specifico” scritto e/o multimediale - affinché non sia lasciato eventualmente in un debito di conoscenza verso ospiti amici e conoscenti vari che dovessero vedere il manufatto, magari compiacendosene, senza però aver (di fronte) alcun strumento di riferimento preciso. Infatti abbiamo già inteso, in passato e con sorpresa, a solo esempio dalla gioiellistica, il silenzio ottuso sulla parola... che andasse appena oltre qualche nota di garanzia o di servizio. Anche come prova di un percorso creativo non di “interiorizzazione di ritorno”, di “ritenzione secondaria o terziaria”, più o meno obbligata, ma di messa al centro delle esigenze più profonde (in una sorta di sobria maieutica) e magari per nulla o poco affiorate del committente medesimo. L’imposizione autoriale, comunque ineliminabile, almeno si sublimerebbe in tal modo lungo una prova possibilmente non autoritaria ma autorevole, non lineare ma ritornante - potremmo azzardare - ciclica.
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  • Quindi istallazioni oltre la supponente od eterodiretta indisponibilità, ma che favoriscano interrogazioni, approfondimenti, suggestioni di ricerca.
     1 Istall. Creat. Venezia 1 particolare parete destra

  • Note.:
  • 1) Manifesto della scrittura esterna. Il Manifesto della scrittura esterna fu pensato dagli amici e collaboratori che gravitavano già dalla fine degli anni ottanta intorno all’Heliopolis Edizioni (1985-...) ed allo scriptorium heliopolis, emanazione della prima e realizzato da artisti ed antichisti di fama (da cui anche il possibile titolo di “nuova epigrafia”). Intendeva proporre l’affiancamento alla normale “scrittura interna” tramite una scrittura proiettata verso l’esterno, verso gli spazi del pubblico, non in un modo solo funzionale, ma fortemente identitario, partecipativo verso la comunità, utile per il commerciale e la comunicazione, in tutte le sue forme, oltre ogni livello precedentemente raggiunto (se non, meravigliosamente, nell’antico). Trovava in più in molte epoche e stili diversi una corrispondenza non solo formale o di compiaciuto e rettorico stilema, ma di profonda necessità e quindi d’intima sostanza. Il manifesto non rimase solo un’enunciazione teorica. Fu base logica e programmatica di un fare che si estrinsecò (e si manifesta tuttora) in molte realizzazioni, alcune ben riuscite anche commercialmente (esempio il caso eclatante delle magliette letterarie dell’Heliopolis, 1988-1995, prime in tutta Italia) dell’editoriale e del paraeditoriale, dell’alta moda, della gioiellistica, dell’arredamento, della musealistica, del supporto ad istituti di antichistica, del promozionale, marcando uno stile non confondibile.
  • 2) In: Sandro Giovannini, ‘Stile tra norma e scarto’, da L’Armonioso fine, 2005, SEB, pag. 56-57, ove vengono affrontati e discussi alcuni passaggi logici di riferimento, tratti da scritti critici al riguardo, di Richards, Barberi Squarotti, Brioschi, Di Girolamo, ed altri...
  • 3) “...Lo stile non esiste antecedentemente, non si rinviene per strada, è al di là di ogni categoria spaziale e temporale, è nel regno del prepensiero, ma anche nella democrazia del fatto, esiste in sé ed in sé si mostra, quale prova che va salvaguardata dal pensiero filosofico/categoriale, logico ed anche irrazionale...”. in: S. G., ‘Operari sequitur esse’, da L’armonioso...,cit., pag.12. Questa citazione, che sembrerebbe poter aver senso solo in un milieu filosofico, aiuta invece a giustificare l’effettiva realizzabilità del:“...sempre facilmente riconoscibile”, di cui sopra.
  • 4) “...In questo senso ha valore l’indicazione, spogliata giustamente d’enfasi, del sincretismo, non come momento magmatico ma di sottolineatura, ecumenicità, stile...”, in: Agostino Forte, dal “Commento”, 30.08.1994, al testo del manifesto della scrittura esterna e dello scriptorium heliopolis. Il sincretismo quindi, non in una valenza new age che confonde tutto, quanto nel senso delle lezioni di uno Zolla ed altri studiosi comparativisti del sacro dell’etnografia e della religione, per utopie di sintesi necessarie più che per prese d’atto d’ibridismi subiti. Questo “stile” - solo nel caso specifico delle “istallazioni creative” - resta riconoscibile anche per il metodo proposto come ricercatamente interattivo con la più diversa committenza, soprattutto per i due strumenti sempre - difformemente - presenti nel manufatto.
  • 5) L’evocazione dell’identità simbolica è un processo che l’Heliopolis ha messo in conto, negli anni, anche con il progetto telematico ELOGICON (2015-) In tale direzione si deve comunque trovare un punto d’incontro tra la capacità di riconoscimento che pertiene all’Heliopolis design e la vera e propria identità simbolica del committente. Consapevole od inconsapevole. Tra mille esempi possibili, la ricerca filosofica del “valore spirito” di Valery o dello svelamento della voragine del “formicaio digitale”, entro la “società’ automatica” di uno Stiegler, ovvero la ricerca sulla “miseria simbolica”. Per trovare tra le forze contrapposte (come nell’arco romano), il punto di svolta (far cadere=rivoluzionare) o chiave di volta (stabilizzare=conservare) come precisa risposta del (e nel) manufatto. Progetto non facile e mai scontato, di cui la maieutica è metodo. Un costruire lungo un’idea collaborativa effettiva e non di facciata. Non per slogan o solo a parola, ridotti alla differenza (spesso troppo evidente) tra dichiarato e realizzato, pressati dal funzionalismo delle pratiche.
  • 6) P. D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio Ubaldini, 1976.
  • 7) “...Così il richiamo costante alla normalità, che rischia di divenire un’invocazione suggestionante alla normalizzazione, non può non trascurare (a pena d’inversione totale), avendo origine dai terreni del positivismo logico e del materialismo dialettico, la teoria della normalità geniale (la normalità guidata identitariamente dai propri geni e cromosomi) ovvero dell’usualità producente, ovvero della sobrietà creativa, che sono tutte misure che appartengono invece (o dovrebbero appartenere...) per statuto alla migliore cultura tradizionale, nata comunque dentro e contro la modernità, se pur nutritasi di altri lieviti (non solo storici, non solo scientifici, non solo emozionali) e che del processo della modernità è, volta a volta, controcanto, parodia, negazione, inveramento, cioè tutto ed il contrario di tutto, ma non solo per una forma d’inessenzialismo soteriologico, di dualismo gnostico, di relativismo metalogico, ma soprattutto per la propria necessitata alterità, per il proprio insopprimibile fondamento reattivo, per la propria autentica vocazione d’attenzione al moderno, persino quando in chiave antimoderna. Per l’autoeducazione al rapporto essenza/personalità, volto/maschera. Ad esempio, vorremmo sapere chi più di Benn, secondo ogni nihilismo possibile ed impossibile, nella letteratura moderna, ha colto la ‘doppia vita’, costante volto di maschere mutevoli, o chi più di Pound ha dettato un latino dello spirito, o chi più di Gurdjieff, ha rilevato l’automatismo dell’apparente sola personalità, o chi più di Jünger ha sferrato un potente assalto all’unidimensionalità anche per stile espressivo/registrativo, o chi più di Evola ha combattuto contro il demone del rapporto tempo-atemporalità, epoca-ciclo o chi più di Mishima ha esemplificato, ancora, la ‘doppia vita’ della spada e delle lettere. Questi lasciti, al di là delle stesse personalità autoriali, e delle specifiche contestualità di riferimento, di volta in volta ben discutibili, e quindi valutate come icone d’orientamento e non solo come miti catafratti, sono complessivamente il nostro ‘vincetossico’ alla normalizzazione, allo snobismo come al populismo; in pratica sono sistemi di segni d’orientamento poco fallibili, che, a noi, infelici e carenti di una visione perfetta, segnalano i confini di un percorso, e che ci impediscono comunque di deragliare...”, in: S. G., ‘Semplificazione, atto rivoluzionario’, da L’Armonioso fine, cit., pag. 84-85.
  • 8) AA.VV., “Letteratura - Tardocronache dalla Suburra”, n.° 2; 1985, Heliopolis Edizioni, ove si affronta validamente il tema della “creatività diffusa”, o della “creatività surrogatoria”, pag. 40-45: Marcello Veneziani, Creatività tra libertà e trasgressione: “...La più autentica realizzazione della creatività non è data dall’affermazione della soggettività, ma al contrario la realizzazione creativa è l’affermazione di una superiore impersonalità, è l’espressione dell’oggettività”. Vedi anche, a riguardo di “trovare un nome” o “vera e finta ignoranza”, la presa d’atto di un coraggioso: ...abbiamo «...coniato un’intraprendente ondata di nuovi ossimori per sospendere le vecchie incompatibilità: life/style, reality/Tv, word/music, museum/store, food/court, health/care, waiting/lounge. Il nominare ha preso il posto della lotta di classe, amalgama sonoro di status high concept e storia. Attraverso acronimi, importazioni inusuali, soppressioni di lettere, invenzione di plurali inesistenti, lo scopo è liberarsi del significato in cambio di una nuova spaziosità… il Junkspace conosce tutte le tue emozioni, i tuoi desideri. E’ l’interno del ventre del Grande Fratello. Anticipa le sensazioni della gente…». Citazione da: Rem Koolhaas, Junkspace, Quodlibet, 2006, pag.84, in: Sandro Giovannini, “A proposito di Rem Koolhaas”, su   www.heliopolisedizioni.com
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  • I riferimenti logici riportati nelle note sono ora tutti leggibili nel sito ufficiale della Heliopolis Edizioni e della, ivi inclusa, “rivista online heliopolis”: www.heliopolisedizioni.com