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rivista online hp 2021 2

Rubriche Editoriali

rubrica editoriale

  • Evola XXX

  • Dal Mediterraneo al Nord Olimpico
  • Una raccolta di articoli e conferenze di
  • Julius Evola
  •  rec. di
  • Giovanni Sessa
  •  
  • Una nuova raccolta evoliana
  • Julius Evola è stato pensatore dalla produzione assai vasta. Nel corso della sua esistenza, in particolare a muovere dagli anni Venti del secolo scorso, intrattenne una serie di relazioni con personaggi di primo piano dell’ambiente politico e, soprattutto, culturale, italiano ed europeo. Compì numerosi viaggi nella Mitteleuropa, si recò, più volte, in Austria, Germania, Ungheria, Romania.  È da poco nelle librerie una silloge, davvero preziosa, di articoli e conferenze del pensatore tradizionalista che permette di far luce sulle sue vaste relazioni internazionali, oltre che sulle sue intenzioni politiche-metapolitiche, negli anni decisivi che vanno dal 1920 al 1945.  Ci riferiamo a Julius Evola, Dal Mediterraneo al Nord Olimpico. Articoli e conferenze nella Mitteleuropa (1920-1945) comparso nel catalogo delle Edizioni Mediterranee (per ordini: ordinipv@edizionimediterranee.net   06/3235433).
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  • Novità del libro
  • Le traduzioni dei testi e la curatela del volume si devono a Emanuele La Rosa, collaboratore della Fondazione Evola, che in Archivi e biblioteche tedesche ha rintracciato articoli finora non noti o mai tradotti in italiano. La Rosa e Nuccio D’Anna, studioso di storia delle religioni e simbolismo, firmano i due saggi introduttivi, propedeutici alla comprensione dell’azione di interventismo "tradizionale" messa in atto da Evola nell’Europa centro-orientale. Il libro si segnala, inoltre, per la sua terza parte che raccoglie articoli dedicati ad Evola dalla stampa di lingua tedesca del tempo, molti ancora inediti nella nostra lingua, e per l’Appendice costituita dalla rassegna stampa dedicata all’Evola pittore.  I viaggi, gli scritti e le conferenze del tradizionalista miravano alla costituzione di un fronte comune pan-europeo, rivoluzionario conservatore, atto, da un lato, a “rettificare” i limiti teorico-pratici del fascismo e del nazionalsocialismo e dall’altro capace di dare una risposta forte e convincente alla pervasività del moderno in ogni ambito della vita.  Rileva D’Anna: «in questi suoi interventi non tralasciava di indicare comportamenti “esemplari”, forme di costume e modelli esistenziali considerati importanti in una società che in seguito al pesante crollo economico del 1929 era sprofondata in una pesante crisi d’identità» (p. 9).  A parere di chi scrive, la rivista più prestigiosa sulla quale comparvero gli scritti di Evola fu Europäische Revue, del principe Rohan.  Ad essa collaborarono, tra gli altri, W. F. Otto, Heidegger, Schmitt, Sombart, C. G. Jung e il nostro Ernesto Grassi.  In ogni caso, anche su altri periodici: «Evola continuerà a muoversi […] verso un’unica direzione le cui caratteristiche fondamentali appaiono ordinate attorno a tradizioni sacre […] simboli e forme del pre-politico che trovano su un piano metastorico la propria autentica ragion d’essere» (p. 11).  Per Evola, infatti, l’ordinamento dello Stato della Tradizione era connotato dalla sintesi di due potenze, quella temporale e quella spirituale (Melkitsedek), che il medioevo ghibellino tentò di ripresentare nella storia (sagra del Graal). Alla luce di tali posizioni il tradizionalista operò per rafforzare, in termini non meramente politici, l’alleanza italo-tedesca. In questa silloge compaiono, inoltre, scritti attraverso i quali Evola critica la versione meramente biologica del razzismo che si era affermata in Germania, nel nome di una razza dello spirito, tradizionale, consapevole della tripartizione umana in spirito, anima e corpo.
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  • Imperialismo pagano in Italia e Germania
  • Da alcuni dei contributi evoliani si rilevano, come coglie La Rosa, differenze importanti tra la versione italiana di Imperialismo pagano e la sua traduzione tedesca del 1933: nella prima, il pensatore: «contrappone al “pericolo euro-cristiano” la funzione positiva di una ripresa della tradizione mediterranea, in quella tedesca si fa latore della tradizione nordico-germanica» (p. 31).
  • Il cambiamento di prospettiva va imputato a ragioni biografiche (la rottura con Reghini, neo-pitagorico e sostenitore della vichiana antiquissima italorum sapientia, finita in tribunale) e a motivazioni ideali. Certo, come si evince dal saggio del curatore, ci fu una scelta strategica di Evola, di impianto “machiavellico”, mirata a spostare la sua influenza teorica nei paesi della Mitteleuropa, per la qual cosa le due versioni di Imperialismo pagano possono essere intese: «come due programmi politici differenti per forma e contenuto […] come una proposta (meta) politica ora offerta al governo fascista, ora a quello nascente nazional-socialista» (p. 32).  Il mutamento teorico è spiegabile anche per ragioni ideali: dopo l’incontro con Guénon, Evola cambiò prospettiva rispetto alla civiltà mediterranea e guardò con altri occhi alla Rinascenza italiana. Mentre in Imperialismo pagano, Giordano Bruno e la filosofia del Rinascimento (come nelle opere filosofiche) hanno ruolo di un certo rilievo, dai primi anni Trenta il filosofo della vicissitudine universale e i neoplatonici del Quattrocento non sono più citati, se non termini negativi. In Rivolta, il tradizionalista giungerà ad affermare: «La vera Rinascenza (della Tradizione) è il Medioevo».  Evola: «traslittera nell’idea imperiale quella della realizzazione dell’individuo […] la cui regola base è il principio di solidarietà tra gli elementi di un organismo» (p. 33). L’Impero diviene il modello metapolitico del filosofo, risposta tanto all’internazionalismo marxista quanto alla plutocrazia americana. Medesima curvatura “nordica” viene messa in atto rispetto ai simboli, dal fascio littorio si passa all’aquila imperiale: «Evola deve “machiavellicamente” operare attivando forze trainanti, simboli e miti […] che siano capaci di affascinare […] il pubblico cui si rivolge» (p. 35).
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  • La crucialità del pensiero evoliano
  • Tale interventismo tradizionale non produsse gli effetti sperati né in Italia, né in Germania. Si evince, comunque, anche da questa importante raccolta, il lascito iperbolico del pensatore. Sul piano individuale esso è simbolizzato dall’individuo assoluto, latinamente “sciolto”, liberato, perfino da se stesso, proteso nella tensione esistenziale indotta dall’incipit vita nova. Il suo esistere è già, in se stesso, esemplare, rinvia, metapoliticamente, al sublime superamento delle organizzazioni politiche contemporanee. La sua arbitrarietà non può venir intesa dall’occhio moderno, educato alle distinzioni escludenti indotte dal logo-centrismo.  Dal mediterraneo al Nord Olimpico è opera che fa ulteriore chiarezza sul pensiero abissale di Julius Evola, per questo da leggere e meditare con sguardo non-rappresentativo, assoluto, oltre la dicotomia soggetto-oggetto, in quanto, per Evola, fenomeno e noumeno dicono il medesimo…

  • Julius Evola, Dal Mediterraneo al Nord Olimpico. Articoli e conferenze nella Mitteleuropa (1920-1945), a cura di Emanuele La Rosa, Edizioni Mediterranee, pp. 331, euro 31,50.

  • Gasparotti

  • Disumanizzare l’arte
  • Romano Gasparotti
  • a confronto con
  • Joseph Beuys e Hermann Nitsch
  • rec. di
  • Giovanni Sessa
  •  
  • Romano Gasparotti, filosofo e performer di danza profonda, nella sua ultima fatica, "Disumanizzare l’arte. Joseph Beuys, Hermann Nitsch e l’anomalia del contemporaneo", nelle librerie per Aesthetica Edizioni (per ordini: info@aestheticaedizioni.it) si confronta con due artisti-filosofi di primissimo piano, Beuys e Nitsch, il cui pensiero e la cui opera non hanno, finora, avuto la considerazione che meritano. Gasparotti, con questo libro, riconosce la loro grandezza ed imprescindibilità, almeno per quanti guardino con interesse a un cogitare altro da quello prevalso in Occidente, centrato sul logo-centrismo e il primato del principio d’identità, nonché dei succedanei principi della non-contraddizione e del terzo escluso.  L’autore conobbe personalmente Nitsch e, fin dall’adolescenza, fu attratto dalle prospettive teorico-pratiche di Beuys. Il metodo esegetico di cui si avvale non fa riferimento alla comparazione, in quanto tale strumento: «risulterebbe forzato […] perché è la natura stessa del lavoro dei due grandi maestri che lo respinge e lo rifiuta» (p.13).
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  • Disumanizzazione dell’arte
  • Le similitudini, come mostrato da Magritte, sono espressione del pensiero logico-discorsivo, mentre il co-gitare kairosofico, rinviando all’“agitarsi in relazione agli altri”, vive di somiglianze. Non è casuale che Beuys giunse alla pratica che, nonostante la sua lezione centrata sul superamento dell’autonomia dell’arte, viene ancora definita “artistica”, a seguito di studi scientifici. Tali studi lo convinsero dei limiti della visione matematizzante del mondo. Le azioni artistico-teatrali di Nitsch, allo stesso modo: «costituiscono il più potente e radicale antidoto nei confronti degli effetti intossicanti del razionalismo iperapollineo» (p. 14). Questi mirò, sotto la spinta di una lettura non convenzionale del poema di Parmenide, a vivere, con l’Orgien Mysterien Theater, i “momenti sovrani” dell’esperire, vale a dire ebbrezza, erotismo, riso, l’“attimo immenso” dionisiaco. I due maestri hanno, di fatto, messo in atto la disumanizzazione dell’arte auspicata da Duchamp. Tale disumanizzazione mostra: «come il cogitare creativo che si mette all’opera […] dappertutto» riduca la logica a mera dimensione strumentale. Beyus e Nitsch testimoniano, come i Sapienti (da sapio: gli “assaporanti”) della Grecia, che “tutto è in tutto”, che ogni corpo e le stesse produzioni artistiche, sono veicoli nei quali momentaneamente pare “sostare” la dynamis, potenza-possibilità che, nella physis, è sempre in fieri.
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  • Ultrafilosofia
  • Tale concezione ribalta il primato concesso da Aristotele all’atto e si pone oltre l’antropocentrico primato del “vedere” che “cosalizza” il mondo, senza, comunque, negarlo, sublimandolo in una visione sinestetica, che chiama in causa udito, tatto, olfatto e gusto. Il lavoro creativo, pertanto: «non si riduce affatto alla produzione autonoma e speciale da parte di un soggetto […] le sue manifestazioni in progress non sono sostanze, non sono oggetti» (p. 17). L’arte non è poiesis ma praxis sempre in opera, come si evince dal: «modello dinamico della musica, della danza e dell’azione teatrante» (p. 17). Beuys, memore della lezione warburghiana, ritiene la propensione melanconica dell’artista latrice di uno sguardo altro rispetto a quello meccanico-causale. Tale “visione” induce la dimensione festiva dell’arte totale quale ultrafilosofia, ben oltre le stesse intenzioni wagneriane. In essa, si incontra il tratto ritmico-relazionale-fluente della vita, tacitato dal dialogo, strumento sul quale la logica diairetica, ha costruito la modernità e la post-modernità. Di contro, la conversazionalità improvvisante libera il dire dalle ossificazioni semantiche: «La conversazione […] dà corso ai liberi flussi e controflussi di una prassi corale dal carattere estemporaneo […] mai finalistico» (p. 23). Non con-vince, persuade.
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  • Disforia, mito e tragedia
  • L’operare nel flusso della vita, da parte dei due artisti, è “disforico”: «La disforia, intesa in senso lato, contraddistingue l’anomalia dell’arte contemporanea, mandando in corto circuito, senza negarla, la tradizionale macchinazione prometeica che è […] volta a programmare […] controllare euforicamente ogni forma del pensare e del fare» (p. 27). Beuys e Nitsch hanno espresso tutto questo in un gioco di mascheramenti, in quanto: «ogni forma di vita si presenta nel suo typos ricorrente unico […] tanto quanto anonimo e generico» (p. 31), rinviante al mito. Non al mito inteso, sic et simpliciter, come qualcosa che sta “prima” di altro, ma quale: «dinamica e plastica manifestazione, sempre risorgente nelle sue imprevedibili figure, della forza di un cogitare, che proviene da un incrollabile fuori e non appartiene a nessuno» (p. 33). L’arte di Beuys e Nitsch è sacra e magica, sciamanica, liberante: pone gli uomini nella possibilità di esperire il mondo come lo percepiscono gli altri uomini, gli animali o le piante. Un sacro che affascina e terrifica in uno: la visione tragica, lo intese Nietzsche, sa che la vita “mangia se stessa”. Alimentarsi, mangiare è un sacrum-facere nel quale sperimentiamo che “tutto è in tutto”. Violenza “pura”, l’avrebbe definita Benjamin. I due maestri, nel loro speculare, mettono all’opera: «la cangiante pluralità dei mondi stessi, nel ri-velare il mistero della loro provenienza» (p. 47), come nelle corde della tragedia attica.
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  • Figurazioni del possibile
  • Le opere di Beuys e Nitsch sono figurazioni del possibile, in quanto non riducibili all’oggetto, all’excrementum (Derrida). Suggeriscono di portarsi oltre la pittura e la scultura intese retinicamente, in quanto: «Ogni emergenza sensibile […] è l’evidente segnalarsi del momento traboccante di una materia viva ed effervescente in perenne autoformazione» (p. 63). “Ogni uomo è artista”, rilevò Beuys, anche gli uomini che camminano per le strade sono: «instancabilmente impegnati nell’opera condivisa di una danza collettiva» (p. 95). In natura tutto danza, le api, gli insetti, i pianeti in quanto ogni “ente” testimonia, nella sua animazione, la “vicissitudine universale”   della “materia”, come colsero, in modalità diversa, Bruno e Spinoza. L’arte, come la intesero i due maestri, è allora davvero ultrafilosofia, mette in scacco i limiti del pensiero logocentrico. A essa è necessario rivolgersi per liberare le nostre vite dallo sguardo relativo, divisivo ed escludente sul quale è costruito il mondo nel quale viviamo. Le pagine di Gasparotti, se opportunamente lette, risvegliano lo sguardo assoluto sulla realtà. Esigono, non semplici lettori, ma uomini disposti a compiere un “cambio di cuore” radicale al fine di cogliere l’aporia, il non, che ogni positivo dice.

  • Romano Gasparotti, Disumanizzare l’arte. Joseph Beuys, Hermann Nitsch e l’anomalia del contemporaneo, Aesthetica Edizioni, pp. 165, euro 16,00.

  • L’ODIO  e  il  NEMICO
  • di
  • Teodoro Klitsche de la Grange
  • Nel prologo del dramma di Montherlant “La guerre civile”, questa, presentandosi, dice “Sono la guerra della piazza inferocita, la guerra delle prigioni e delle strade, del vicino contro il vicino, del rivale contro il rivale, dell’amico contro l’amico. Io sono la Guerra civile, io sono la buona guerra, quella dove si sa perché si uccide e chi si uccide: il lupo divora l’agnello, ma non lo odia; ma il lupo odia il lupo”. Già Clausewitz, col Vom Kriege aveva individuato, anche nella guerra tra Stati lo spazio per l’odio nel sentimento ostile che s’accompagna, ma non sempre, a molte guerre internazionali, mentre ad ogni guerra è connaturale l’intenzione ostile.
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  • Nel dibattito sull’assassinio di Charlie Kirk l’odio ha avuto un posto rilevante: e non pare che l’abbia occupato abusivamente, almeno a seguire la tesi di Montherlant. Quel che consegue da questa e dall’opinione di Clausewitz è che non è un elemento necessario in tutte le guerre onde ve ne sono state condotte senza odio: nel libro (postumo) che raccoglie scritti di Rommel, il titolo era Guerra senza odio, riferendosi a quella praticata dal generale tedesco.
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  • Ma non è così per le guerre civili: la coesione in un gruppo sociale, e così in un popolo, presuppone una certo tasso d’amicizia che valga a co-fondare l’unità politica con l’idem sentire de re-publica; se questo non c’è o è carente, i contrasti d’interesse, volontà, opinioni diventano determinanti e corrodono l’unità politica, fino (talvolta) a sfociare nelle guerre civili.  Il carburante principale delle quali è l’odio, come ritenuto da Montherlant.
  • ...
  • Una delle caratteristiche di quello contemporaneo è che divide le comunità in senso orizzontale: da una parte le élite e il loro seguito, dall’altra la parte maggioritaria o comunque in crescita dei governati.  Resta il fatto che, almeno in unità politiche con popolazione omogenea, quindi tale per lingua, religione, costumi, storia (e gli altri “fattori” indicati da Renan) occorre (creare, o) aumentare divisioni esistenti in grado di detronizzare quella principale a fondamento dell’unità politica. Ove non si può contare su differenze reali o almeno decisive, occorre lievitarle di guisa da creare un (nuovo) nemico che abbia la conseguenza, naturale in ogni conflitto, di rinsaldare la coesione del gruppo sociale che a quello si oppone. A portata di mano, per realizzare tale operazione, c’è l’intensificare l’odio al nemico scelto. In mancanza di differenze reali si corre così il rischio di crearne di immaginarie.
  • ...
  • Una variante delle quali è di identificare il nemico quale nemico dell’umanità o di caratteristiche umane (vedi i “diritti umani”) come sottolineato già un secolo fa da Carl Schmitt; a cui non erano estranei neppure i nazisti quando consideravano i popoli dell’Unione Sovietica degli untermenschen, cioè sotto-uomini, destinati a estingursi o a servire quello tedesco. Molto meglio per assicurare la pace e l’intesa tra popoli la concezione (e la prassi) romana che gli stranieri non erano così diversi (alienigeni) dai romani da non potersi accordare in una pace e una coesistenza concorde e nel comune interesse.
  • ...
  • Per cui l’odio è un moltiplicatore dei conflitti, se rivolto a creare nemici all’interno dell’unità politica, inversamente proporzionale alla coesione e potenza della stessa, nei conflitti internazionali, può diventare un elemento di coesione, ma non (o poco) controllabile.

ANTICIPAZIONE delle "Ragioni Generali" sulle "ISTALLAZIONI CREATIVE" Heliopolis
  • SOMMARIO libretto Istall creat

  • Si anticipa qui di seguito una parte della documentazione accessoria che è
  • a servizio logico del libretto
  • "ISTALLAZIONI CREATIVE"
  • Heliopolis,
  • (design: Sandro Giovannini)
  • di prossima pubblicazione per la 
  • Heliopolis Edizioni 
  • di idee e materiali di scrittura.
  • Tale libretto, come si deduce dalla copertina qui riportata, consiste in una cinquantina di pagine  con una Appendice che contiene anche queste "Ragioni Generali", qui anticipate. 
  • Molte le foto a corredo delle "Istallazione creative", sia reali (realizzate) che virtuali (in proposta).
  • Chi volesse ricevere in omaggio tale libretto Heliopolis   
  • in PDF  
  • potrebbe prenotarlo comunicando a
  •   giovannini.sandro@libero.it
  •  la propria mail...

  • RAGIONI GENERALI
  • “Istallazioni creative”
  • (Heliopolis, 1985-2025)
  •  
  • L’idea si é concretata in medie e grandi realizzazioni parietali, per interni ed esterni, che hanno convogliato molte delle nostre precedenti esperienze con e su materiali più diversi tramite tecniche specifiche per cuoio, pergamena, stoffa, carta pregiata, legno, radica, oro, argento, rame, piombo, plexiglass, marmo, resina, terracotta, microcemento, encausto, mosaico, serigrafia, digitale, scrittura manuale, incisioni e/o traforazioni laser, tramite metodologie ispirate all’antico e trattate modernamente.
  • ...
  • Ora, mélange e sovrapposizione di tecniche miste e citazionismo, ricavando il maggior vantaggio da una visione urfuturista, (consapevolmente, da noi solo evocata), ove tutti i lasciti del secolo mai esaurito entro l’eterna guerra civile europea, vissuti tramite una lettura conciliativa e giustapposta di ragioni spirituali e sentimenti materiali, ricerca ancora, seppur disperatamente, una sua armonica potenzialità espressiva.  Queste “istallazioni” non richiedono astrusi strumenti decodificativi e non ammiccano inutilmente a potenzialità indimostrate od indimostrabili.  Sono alla portata di molti, ovviamente ai relativi livelli, proprio perché già comprendono in sé elementi storicizzati seppur complessi, classici, moderni, comunque resi contemporanei. E sperabilmente espressivi.  Il complesso non può e non deve prospettarsi nuovo, ma considerando lucidamente, oggi, le logiche della “catastrofe simbolica” di tanta teoria a riguardo del mercato automatico attuale e delle relative superfetazioni artistiche del mito del “marchio/marchiatura”, dispiegato ormai senza tregua, risulta ancora del tutto spiazzante, soprattutto per ricomposizione difficile tra mastro e maestro, in controtendenza assoluta con il superego narcisista del mito fasullo del “creativo”.  
  • ...
  • La problematicità, quindi, non è tanto o solo nell’essere fuori dal prevedibile schema dell’opera troppo individualizzata nelle sue varie declinazioni, quanto nell’idea/incrocio di varie logiche espressive, che è anche risultato di un percorso che vocazionalmente ha incluso molte esperienze da noi fatte nei decenni tramite il comunitarismo creativo, ovvero una sorta di lunga stagione poetica, critica e metapolitica operata comunque con un senso più ampio di quello dell’artista singolo, non per difetto d’individualità o per vezzo modaiolo, ma per rifiuto dell’artistismo e del maledettismo, persino oltre la solita nozione di “gruppo” artistico, in quanto tentata su vari livelli (poetico, letterario, artistico, metapolitico, saggistico, editoriale, organizzativo...).  Esperienza maturata poi anche in validi percorsi individuali.  La tecnica applicata quindi del montaggio e dello smontaggio - interpretata qui esteticamente più che meccanicamente, può raggiungere una sua risultante pratica.  Tramite diversi moduli artistici, l’intercambiabilità, concetto/chiave, infatti, non permette solo cambi e sovrapposizioni (=di scenario espressivo) ma anche eventuali sostituzioni nel tempo.  Cosa che, in più, lega il destinatario con un rapporto di maggiore durabilità.  Con diversi stili applicabili per una risultante figurativa, evocativa, storica, letteraria, sempre facilmente riconoscibile.  Anche con specifici “lacerti artistici inclusi”.  Nello specifico delle “istallazioni creative”, il risultato, poi, non va letto come “prendere o lasciare”, isolato dalle sia pur minime potenzialità condivisibili della committenza, ma come valore realmente interagente con la fruizione e la committenza stesse.  Non solo a parole, non solo con la parola, ma nel manufatto.
  • ...
  • Con il coinvolgimento diretto di una “presenza” precisa - sia pur necessariamente trasfigurata - della committenza e della fruizione contestuale, tramite due apparati specifici, diversamente mandati ad effetto, e sempre presenti.  Un’immagine della committenza, familiare e/o evocativa/interna, su intesa con i produttori (a vario titolo) ed una specularità, operabile di volta in volta, che rende immediatamente percepibile la fruizione, riflettendo (oltreché, ovviamente, inglobando).
  • ...
  • Nelle “istallazioni creative”, a differenza decisiva rispetto a tutte le altre produzioni paraeditoriali Heliopolis, però, dobbiamo sottolineare che, tali manufatti replicabili in base allo stile scelto di volta in volta a seconda della ragione contestuale, ambiscono avere un livello eminentemente arredativo e scenografico, pur con una indubbia pregnanza artistica dovuta agli inserti con maggiore o minore caratura creativa, di volta in volta inseriti.  Questa potrebbe apparire una capitis deminutio, ma è una piccola voragine su mondi lontanissimi.  
  • ...
  • La complessiva “scrittura esterna” (1) della ragione e del sentimento del nostro tempo, ha quindi una valenza di sommatoria epocale e di tentato recupero terminale, che non può essere disconosciuta facilmente, se non a prezzo di un rifiuto aprioristico al confronto dialogico tra norma e scarto, confronto ormai ampiamente storicizzato. (2)  Gettati nel tempo e condizionati dal clinamen. Ma con una  realizzazione identica a sé. (3)  Al proprio stile. (4)  L’evocazione riconosciuta che diviene espressa ricerca dell’identità simbolica (5)  tramite una rappresentazione scenografica di volta in volta messa in atto, tra essere e sapere, (6)  ove la comprensione dei produttori, dei committenti e dei fruitori, tre assoluti comprimari pur con ruoli ben differenziati, diviene il punto centrale di mediazione, punto focale, in quanto normale, (7)  in quanto comprensibile, in quanto vis(v)ibile...
  • ...
  • Quindi non “trovare un nome”, non “dare una definizione”, formule d’accatto, buone per ogni vera o finta furbizia o costruita ignoranza, (8) ma aiutare a saper vedere, saper comprendere... comprendendo noi per primi tutto ciò che ci è suggerito dal passato, la tradizione del colore (espanso) e della sua effettività identitaria e trainante, così antico-occidentale come estremo-orientale, riscontrabile ora, possibilmente senza esclusioni o false primazie, nel presente e nel futuro delle neuroscienze.  
  • ...
  • Infine accompagnando per mano il committente in un percorso che gli verrà fornito - con un supporto “critico specifico” scritto e/o multimediale - affinché non sia lasciato eventualmente in un debito di conoscenza verso ospiti amici e conoscenti vari che dovessero vedere il manufatto, magari compiacendosene, senza però aver (di fronte) alcun strumento di riferimento preciso. 
  • ...
  • Infatti abbiamo già inteso, in passato e con sorpresa, a solo esempio dalla gioiellistica, il silenzio ottuso sulla parola... che andasse appena oltre qualche nota di garanzia o di servizio.  Anche come prova di un percorso creativo non di “interiorizzazione di ritorno”, di “ritenzione secondaria o terziaria”, più o meno obbligata, ma di messa al centro delle esigenze più profonde (in una sorta di sobria maieutica) e magari per nulla o poco affiorate, del committente medesimo.  L’imposizione autoriale, comunque ineliminabile, almeno si sublimerebbe in tal modo lungo una prova possibilmente non autoritaria ma autorevole, non lineare ma ritornante - potremmo azzardare - ciclica.  
  • ...
  • Quindi istallazioni oltre la supponente od eterodiretta indisponibilità, ma che favoriscano interrogazioni, approfondimenti, suggestioni di ricerca.
  • ...
  • Note.:
  • 1) Manifesto della scrittura esterna.  Il Manifesto della scrittura esterna fu pensato dagli amici e collaboratori che gravitavano già dalla fine degli anni ottanta intorno all’Heliopolis Edizioni (1985-...) ed allo scriptorium heliopolis, emanazione della prima e realizzato da artisti ed antichisti di fama (da cui anche il possibile titolo di “nuova epigrafia”).  Intendeva proporre l’affiancamento alla normale “scrittura interna” tramite una scrittura proiettata verso l’esterno, verso gli spazi del pubblico, non in un modo solo funzionale, ma fortemente identitario, partecipativo verso la comunità, utile per il commerciale e la comunicazione, in tutte le sue forme, oltre ogni livello precedentemente raggiunto (se non, meravigliosamente, nell’antico). Trovava in più in molte epoche e stili diversi una corrispondenza non solo formale o di compiaciuto e rettorico stilema, ma di profonda necessità e quindi d’intima sostanza.  Il manifesto non rimase solo un’enunciazione teorica.  Fu base logica e programmatica di un fare che si estrinsecò (e si manifesta tuttora) in molte realizzazioni, alcune ben riuscite anche commercialmente (esempio il caso eclatante delle magliette letterarie dell’Heliopolis, 1988-1995, prime in tutta Italia) dell’editoriale e del paraeditoriale, dell’alta moda, della gioiellistica, dell’arredamento, della musealistica, del supporto ad istituti di antichistica, del promozionale, marcando uno stile non confondibile.
  • 2) In: Sandro Giovannini, ‘Stile tra norma e scarto’,  da L’Armonioso fine, 2005, SEB, pag. 56-57, ove vengono affrontati e discussi alcuni passaggi logici di riferimento, tratti da  scritti critici al riguardo, di Richards, Barberi Squarotti, Brioschi, Di Girolamo, ed altri...
  • 3) “...Lo stile non esiste antecedentemente, non si rinviene per strada, è al di là di ogni categoria spaziale e temporale, è nel regno del prepensiero, ma anche nella democrazia del fatto, esiste in sé ed in sé si mostra, quale prova che va salvaguardata dal pensiero filosofico/categoriale, logico ed anche irrazionale...”.  in: S. G., ‘Operari sequitur esse’, da L’armonioso...,cit., pag.12.  Questa citazione, che sembrerebbe poter aver senso solo in un milieu filosofico, aiuta invece a giustificare l’effettiva realizzabilità del:“...sempre facilmente riconoscibile”, di cui sopra.
  • 4) “...In questo senso ha valore l’indicazione, spogliata giustamente d’enfasi, del sincretismo, non come momento magmatico ma di sottolineatura, ecumenicità, stile...”, in: Agostino Forte, dal “Commento”, 30.08.1994, al testo del manifesto della scrittura esterna e dello scriptorium heliopolis.  Il sincretismo quindi, non in una valenza new age che confonde tutto, quanto nel senso delle lezioni di uno Zolla ed altri studiosi comparativisti del sacro dell’etnografia e della religione, per utopie di sintesi necessarie più che per prese d’atto d’ibridismi subiti.  Questo “stile” - solo nel caso specifico delle “istallazioni creative” - resta riconoscibile anche per il metodo proposto come ricercatamente interattivo con la più diversa committenza, soprattutto per i due strumenti sempre - difformemente - presenti nel manufatto.
  • 5) L’evocazione dell’identità simbolica è un processo che l’Heliopolis ha messo in conto, negli anni, anche con il progetto telematico ELOGICON (2015-)  In tale direzione si deve comunque trovare un punto d’incontro tra la capacità di riconoscimento che pertiene all’Heliopolis design e la vera e propria identità simbolica del committente.  Consapevole od inconsapevole.  Tra mille esempi possibili, la ricerca filosofica del “valore spirito” di Valery o dello svelamento della voragine del “formicaio digitale”, entro la “società’ automatica” di uno Stiegler, ovvero la ricerca sulla “miseria simbolica”.  Per trovare tra le forze contrapposte (come nell’arco romano), il punto di svolta (far cadere=rivoluzionare) o chiave di volta (stabilizzare=conservare) come precisa risposta del (e nel) manufatto.  Progetto non facile e mai scontato, di cui la maieutica è metodo.  Un costruire lungo un’idea collaborativa effettiva e non di facciata.  Non per slogan o solo a parola, ridotti alla differenza (spesso troppo evidente) tra dichiarato e realizzato, pressati dal funzionalismo delle pratiche.  Troppi siti architetturali ne sono, purtroppo, frequentissima prova.
  • 6) P. D. Ouspensky, Frammenti di un insegnamento sconosciuto, Astrolabio Ubaldini, 1976.
  • 7) “...Così il richiamo costante alla normalità, che rischia di divenire un’invocazione suggestionante alla normalizzazione, non può non trascurare (a pena d’inversione totale), avendo origine dai terreni del positivismo logico e del materialismo dialettico, la teoria della normalità geniale (la normalità guidata identitariamente dai propri geni e cromosomi) ovvero dell’usualità producente, ovvero della sobrietà creativa, che sono tutte misure che appartengono invece (o dovrebbero appartenere...) per statuto alla migliore cultura tradizionale... etc... ...”, in: S. G., ‘Semplificazione, atto rivoluzionario’, da L’Armonioso fine, cit., pag. 84-85.
  • 8) AA.VV., “Letteratura - Tardocronache dalla Suburra”, n.° 2; 1985, Heliopolis Edizioni, ove si affronta validamente il tema della “creatività diffusa”, o della “creatività surrogatoria”, pag. 40-45: Marcello Veneziani, Creatività tra libertà e trasgressione: “...La più autentica realizzazione della creatività non è data dall’affermazione della soggettività, ma al contrario la realizzazione creativa è l’affermazione di una superiore impersonalità, è l’espressione dell’oggettività”.  Vedi anche, a riguardo di “trovare un nome” o “vera e finta ignoranza”, la presa d’atto di un coraggioso: ...abbiamo... «...coniato un’intraprendente ondata di nuovi ossimori per sospendere le vecchie incompatibilità: life/style, reality/Tv, word/music, museum/store, food/court, health/care, waiting/lounge.  Il nominare ha preso il posto della lotta di classe, amalgama sonoro di status high concept e storia.  Attraverso acronimi, importazioni inusuali, soppressioni di lettere, invenzione di plurali inesistenti, lo scopo è liberarsi del significato in cambio di una nuova spaziosità…  il Junkspace conosce tutte le tue emozioni, i tuoi desideri.  E’ l’interno del ventre del Grande Fratello.  Anticipa le sensazioni della gente…».  Citazione da: Rem Koolhaas, Junkspace, Quodlibet, 2006, pag.84, in: Sandro Giovannini, “A proposito di Rem Koolhaas”, su    www.heliopolisedizioni.com 
  • I riferimenti logici riportati nelle note sono ora tutti leggibili nel sito ufficiale della Heliopolis Edizioni e della, ivi inclusa, “rivista online heliopolis”: www.heliopolisedizioni.com  

SYMPOSIUM di Apicio
  • Symposium aperto
  • (Symposium  (latino-italiano), aperto sulla riproduzione - a mano nell'originale poi andato in fotocomposizione - di un larario famoso)
  • ***
  • Symposium
  • (da Apicio)
  • Dal quarto rotolo lungo Symposium, una riproduzione ancora più accurata del de re coquinaria di Apicio,  è iniziata la tecnica del "tutto a mano"  ove l'elemento paleografico (una grafia in capitale elegante  riferibile a circa il I sec. a.C.) e l'elemento iconografico (nel prototipo creato per la successiva tiratura in fotocomposizione in 500 copie numerate) risulta essere una filologicamente accettabile parafrasi su carta di tecniche quali mosaico, affresco ed encausto. Questo per offrire al lettore un'immagine il più possibile ampia della trasposizione moderna dell'antico e per dimostrare anche una nostra abilità poliedrica che fuoriuscisse dagli schemi prevedibili delle operazioni consuete del restauro, che pure sono compiute al massimo grado di valore e competenza scientifica.  Questo sempre perché il nostro paraeditoriale è operazione creativa e non operazione conservativa ed i nostri manufatti sono indirizzati al mercato, sia pur colto e raffinato, e non al solo fine del fac-simile o unicamente per specialisti di antichistica.  In realtà, a parte il successo commerciale, in molti casi abbiamo ricevuto proposte di realizzate rotoli da centri universitari di eccellenzza, e talvolta abbiamo seguito tale via. Comunque i due manici del volumen sono stati operati sulle essenze di legno più pregiate con anche incisioni a laser ed a volte persino inserti d'ottone, argento o cuoio firenze, per rendere ancora più prezioso il manufatto complessivo. In un caso poi si è optato, con questo stesso testo tutto a mano, anche per una gioiellizzazzione completa dei due bastoni reggirotolo, affidando su richiesta del grande gioielliere Morpier di Firenze, la realizzazione conseguente. In tal caso Morpier fece una tiratura di 500 pezzi numerati che andarono, già in buona parte prenotati, in tutto il mondo, e noi dovemmo fornire una nuova tiratura della carta pergamenata in 6 fogli orizzontali incollati da noi a mano, di altri 500 copie.


ROTOLO-ASTUCCIO
  • 1 foto astuccio acero e ciliegio chiusi

  • Il 
  • "Rotolo-Astuccio"
  • dell’Heliopolis (modello d'Invenzione industriale), è stato progressivamente perfezionato con l’inserimento di una molla di ritorno-carta, all’interno del cilindretto superiore e di un bastoncino fermo-carta, inserito in apposito alloggio all’interno del cilindretto inferiore.  Il ritorno-carta a molla ed il fermo-carta, il primo per una veloce apertura e chiusura senza problemi ed il secondo per una stabile lettura ed una apertura anche prolungata, permettono quindi un'apertura ed una chiusura agevole, con una estensione della carta per circa 70 cm. di lunghezza massima per circa 22 cm di altezza.  In pratica la carta interna contenuta utilmente si dispiega per poco più di 2 fogli di A4 disposti orizzontalmente.  Il “Rotolo-astuccio” è un prodotto del paraeditoriale con una fortissima valenza regalistica e promozionale ed è stato introdotto anche nel mercato librario, nella cartolibreria di qualità, nell'uso di molti comuni per titoli di matrimonio, nel promozionale istituzionale per premi e documenti di nazionalità,  e nell’arredamento privato...

 

  • I pregiati testi Heliopolis  (non promozionali)  montati dentro il
  • "ROTOLO-ASTUCCIO":
  •  - "Preghiera ad Helios Re" di Giuliano Imperatore, edizione 1989,
    500 esemplari numerati, ultime copie, 50 euro.
    - "Il giudizio di Pilato" da Marco, edizione 1989,
    500 esemplari numerati, ultime copie, 50 euro. 

     - "Canto CXVI" di Ezra Pound,  versione di S.G., edizione 1989,
    500 esemplari numerati, ultime copie, 50 euro. 

  • (qui sotto aperta  "PREGHIERA AD HELIOS RE"  di Flavio Claudio Giuliano Augusto,
  • con la riproduzione manuale dei mosaici pavimentali del palazzo imperiale di Costantinopoli)

2 Rotolo astuccio aperto con scritta

  • contenitore cilindrico eventualmente aggiuntivo al "Rotolo-Astuccio" in seta serigrafata in oro 
  • contenitore cilindrico in seta serigrafata oro per rotolo astuccio
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