• Europa in camicia nera
    L’Europa in camicia nera
  • di 
  • Elia Rosati
  • L’estrema destra dagli anni ’90 a oggi
  • rec.  di
  • Giovanni Sessa

  •  
  • In Europa viviamo, dal momento in cui è esplosa, in modo imprevisto ed eclatante, la pandemia da Covid-19, in un sistema politico in cui gli spazi di libertà e di sovranità popolare si sono sempre più ridotti. Si tratta di una forma particolare di governance, la governance sanitaria, forma estrema della degenerescenza delle democrazie liberali che, ab origine, come notò il filosofo Andrea Emo nell’immediato secondo dopoguerra, aveva in sé tratto epidemico, esplicitato dalla tendenza dei propri apparati a “sovrapporsi” al popolo.   A tale situazione, nell’ultimo trentennio, si sono opposte quelle forze politiche che vengono, per stanca convenzione, definite di “estrema destra”.   Al fine di comprendere cosa è accaduto, dal 1990 a oggi, in tale settore dello schieramento politico continentale, è bene leggere l’ultima fatica di Elia Rosati, L’Europa in camicia nera. L’estrema destra dagli anni Novanta a oggi, pubblicata da Meltemi (per ordini: redazione@meltemieditore.it, pp. 191, euro 16,00).      Il volume è chiuso dalla postfazione di Guido Caldiron.  Si tratta di uno studio in cui l’autore, che svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Studi storici dell’Ateneo milanese e che ha già dato alle stampe altre pubblicazioni in tema, si avvale di una metodologia mista: «ritenendo che fare storia di anni così complessi e recenti debba avvalersi di un approccio multidisciplinare» (p. 11)
  •   

  • Egli utilizza, allo scopo, fonti diverse. Pubblicazioni storiografiche, articoli di quotidiani e riviste, analisi sociologiche e politologiche.   Non si tratta di un testo “giornalistico”, in quanto ferma intenzione di Rosati: «è stata il mantenere un approccio né scandalistico, né agiografico, né denigratorio» (p. 11). Obiettivo difficile da realizzare, quello dell’oggettività, stante la lezione di Croce, il quale sosteneva che, del contemporaneo, al più si possa fare cronaca, non storia, visto che negli eventi descritti siamo coinvolti.   In ogni caso, aspetto positivo ed apprezzabile del volume va individuato nel tentativo di rilevare i tratti connotanti l’estrema “destra” europea dell’ultimo tentennio, non tanto in riferimento al passato, ai regimi fascisti affermatisi tra i due conflitti mondiali, ma in riferimento alle problematiche suscitate da un presente che ha tratti drammatici: «Questo non significa che non esista un substrato storico o una continuità biografica con i fascismi […] ma solo che esistono fattori decisamente più importanti nello sviluppo delle destre radicali» (p. 15).
  • ...
  • E’ proprio in un pensiero di Mussolini che è possibile rintracciare le ragioni del successo delle “destre” estreme in questo frangente storico: «Il fascismo è una mentalità speciale di inquietudini, di insofferenze, di audacie […] che guarda poco al passato e si serve del presente come di una pedana di slancio verso l’avvenire» (p. 16).   La “destra” radicale contemporanea, alla luce di ciò, sorge quale risposta al disagio indotto dalla globalizzazione, dalla ristrutturazione liberista della produzione/lavoro, dall’introduzione della digitalizzazione, dal progressivo svuotamento delle democrazie liberali, dalla mancata regolamentazione del fenomeno migratorio.   La società liquida è devastata dal fenomeno della solitudine del cittadino globale, che è alla ricerca di processi integrativi, anela nuove identità.  Il venir meno del sistema fordista e del welfare state, hanno prodotto la progressiva proletarizzazione di strati borghesi e la marginalizzazione della working class.  Questi ceti hanno, dagli anni Novanta, guardato a “destra”, in conseguenza del tradimento della vocazione sociale perpetrato delle sinistre su piazza, come ben mostrato dalle analisi di Jean Claude Michéa.
  • ...
  • Anche le forze politiche centriste-conservatrici sono state costrette, al fine di intercettare elettoralmente il malessere della “borghesia asociale”, a radicalizzare la propria offerta politica.  Sono sorti movimenti di ispirazione nazional-populista, la cui visione del mondo discrimina radicalmente tra élite dominate e Popolo e individua, in quest’ultimo, il portatore di giustizia e valori positivi.  In questi gruppi, come riconosciuto da Taguieff, è avvenuta l’iperpersonalizzazione del leader politico, che ha consentito al populismo di divenire l’habitat più appropriato per la “destra” estrema nell’attuale contingenza storica.   La società liquida si fonda sul’immediatezza: «Internet […] amplifica, unifica, appiattisce le politiche e i messaggi delle destre radicali dei vari paesi, rendendoli immediatamente “comunicabili e comunicanti”» (p. 21).   Per tale ragione, le “destre” hanno costruito, rileva l’autore, un vasto sistema di siti operanti in rete che: «formano un unico esercito in grado di sponsorizzare le loro posizioni» (p. 24). La “destra” ha sempre avuto un’evidente capacità di produzione mitopoietica: «frutto dell’interiorizzazione del concetto di Tradizione che […] rappresenta la radice più pura della cultura di destra» (p. 24), grazie alla quale questi gruppi hanno la possibilità di trovare ascolto.
  • ...
  • Al loro successo contribuisce anche il legame: «eretico con alcune subculture giovanili […] arruolate per produrre un nuovo corpo militante» (p. 26), dal punk-hardcore al black metal.    Alla luce di tali premesse, Rosati ricostruisce, con organicità argomentativa, le vicende delle destre in Germania, Grecia, Portogallo e Spagna: «si è scelto di tener fuori i contesti italiano e francese […] per la loro centralità […] riservandosi di affrontarne la complessità in futuri contesti di ricerca» (p.10).    L’autore ci pare cogliere nel segno, con questa sua analisi, almeno per quanto attiene alla descrizione del fenomeno indagato.  Il problema è che dissentiamo dall’assunto di fondo che sostiene le sue tesi.  Per noi, la Tradizione, il sempre possibile ritorno dell’origine, è l’effettiva alternativa allo sconquasso socio-esistenziale prodotto dal capitalismo cognitivo, del quale la “sinistra dei diritti" è consapevole complice.