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  • Scruton
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    Vivere conservatore 
  • Una biografia intellettuale di Roger Scruton
  • di
  • Giovanni Sessa
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  • L’aggettivo conservatore è, nel vocabolario contemporaneo, sinonimo di “inadeguato”, “superato”, “fuori della realtà storica”. Per un pensatore, esser definito tale, equivale ad essere relegato ai margini del dibattito intellettuale, confinato al di là dei confini segnati dall’“intellettualmente corretto”.   In tal caso, si è considerati, a tutti gli effetti, “scorretti”, “inattuali”, “nemici delle sorti progressive” dell’umanità. E’quanto è accaduto all’inglese Roger Scruton, illustre rappresentante del pensiero conservatore. Lo si evince dalla lettura di un interessante volume. Si tratta di Vivere conservatore. Conversazioni con Mark Dooley, recentemente comparso nel catalogo della Giubilei Regnani per la cura di Francesco Giubilei, autore di un’introduzione contestualizzante (per ordini: info@giubileiregnani.com, pp.338, euro 23,00).
  • Le conversazioni con il filosofo, scomparso nel corso del 2020, sono state raccolte dall’intervistatore durante tre giornate del marzo 2015, nelle quali fu ospitato da Scruton nella Sunday Hill Farm, la fattoria del Wiltshire dove il pensatore viveva dal 1993, godendosi le bellezze della campagna, dedicandosi alla caccia e ai cavalli, oltre cha ad un’instancabile attività scrittoria. Da queste pagine emerge un ritratto a tutto tondo, tanto dell’uomo, quanto dell’intellettuale. In realtà, come chiarisce Dooley: «Tutti gli aspetti del pensiero di Scruton trovano espressione nella casa di famiglia e nel suo stile di vita. Un mondo affollato da contadini e filosofi, Wagner e vino, da animali e idee aristoteliche» (p. 30). L’infanzia di Roger non fu serena, nato da Jack e Beyrl nel 1944, crebbe nella cittadina di High Wycombe. Sua madre era donna remissiva e dolce, suo padre, maestro elementare, era uomo inquieto, insoddisfatto e, al contempo, animato da grandi ideali: «Voleva un’Inghilterra che fosse sia socialista sia inglese» (p. 36) e aveva sentimenti ferocemente antireligiosi. Affettivamente, Roger e le due sorelle legarono molto fra loro: «Avevamo capito di doverci difendere a vicenda dalle tempeste e dall’aggressività che spiravano in casa» (p. 33).
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  • Dopo un’adolescenza studiosa, connotata dalle più disparate letture, Eliot, Rilke, Graves, il suo interesse per la filosofia si mostrò durante la frequenza dell’Università di Cambridge. Aveva deciso di diventare scrittore, fin dal suo sedicesimo anno di vita. Si prodigò, durante la giovinezza, per perseguire tale obiettivo. Ben presto, ebbe contezza del valore politico e ideale del conservatorismo ma, al contempo, comprese che il mondo accademico, non solo britannico, guardava: «dall’alto in basso chiunque potesse essere caratterizzato da idee conservatrici» (p. 9). Visse a Roma nel 1966, in una camera in affitto, nell’appartamento di Elena Einaudi, figlia dell’editore torinese: «la solita combinazione tra marxista e milionario» (p. 9). Mentre nel Belpaese e in Francia impazzava la contestazione, egli scoprì che: «l’istinto naturale mi portava a schierarmi dalla parte della borghesia» (p. 9). Nel 1971, divenne docente presso il Dipartimento di Filosofia del Birkbeck College di Londra, dove si fermerà per circa un ventennio. Al termine degli anni Settanta fu pubblicato, esito delle ricerche condotte in quel decennio, uno dei suoi libri di maggior rilievo, The Meaning of Conservatoris.
  •    Nel 1982 fondò il Salisbury Group per dare visibilità al milieu conservatore britannico, ma gli esponenti del Partito Tory lo tennero ai margini, giungendo addirittura a dimissionarlo dal ruolo di consigliere del governo a seguito di un’intervita in cui Scruton attaccava la Cina e il ruolo internazionale di Soros. Ben presto, ci si rese conto che l’intervistatore aveva giocato sporco, forzando i toni delle domande e delle risposte. Il filosofo venne reintegrato nel suo ruolo. Nuove polemiche erano dietro l’angolo, questa volta suscitate dalla pubblicazione di un libro, Thinkers of the new Left, in cui metteva in evidenza i punti critici del pensiero dei maestri della gauche, Foucault, Gramsci, Lukács. Dal 1983 iniziò la collaborazione con The Times: «nel periodo in cui il potere di Margaret Thatcher è al suo apice» (p. 13). Ciò gli procurò strali e reprimende da parte del mondo accademico. Nello stesso frangente si fece difensore degli intellettuali del dissenso nei paesi dell’Est Europa.
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  • Il testo che, probabilmente, meglio mette in luce il senso del suo conservatorismo è, Beauty: A very short introduction, in cui si erge a paladino del bello e dell’arte. Egli fu strenuo difensore della bellezza della campagna inglese stuprata dagli architetti modernizzatori a muovere dal secondo dopoguerra, gli stessi che devastavano i centri storici di paesi e città. Tali distruzioni miravano a cancellare dalla memoria storica del popolo, il passato, la tradizione, le modalità di vita modellate sulla consuetudine. Un’architettura frutto dell’oblio del sacro, atta a diffondere il nichilismo tra i cittadini d’Inghilterra e d’Europa. Intanto, lasciato l’insegnamento al Birkbeck College, si trasferì alla Boston University e si dedicò a una delle sue grandi passioni, la musica. In questo periodo uscirà, The Aesthetics of Music, saggio di filosofia della musica. Tutore, oltre che dell’arte, del bello naturale, dimostrò come l’ambiente: «possa essere protetto al meglio non dall’attivismo globale, ma da iniziative locali che si ispirano e vengono ispirate dall’amore per il proprio territorio» (pp. 18-19). Nel 1993, iniziò la sua vita in campagna: «A “Scrutopia”, come aveva ribattezzato la sua fattoria, si trova “cibo per il pensiero, cibo per l’anima e il cibo della fattoria”» (p. 20).
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  • Il filosofo ritiene che la religione sia essenziale nella costruzione dei legami sociali, oltre che fondamentale per il suo valore metafisico. Contro il salutismo dilagante, nuova forma di religiosità secolare, è stato difensore del piacere. Un piacere controllato, catastematico. Ha dedicato, tra le altre, pagine memorabili al vino, bevanda atta a schiudere significativi orizzonti di conoscenza. La vita, per il conservatore Scruton, non va emendata. La si vive pienamente quando da essa non si escluda nulla, a condizione che al centro del nostro agire ci sia quell’egemonikon, di cui sapevano gli stoici, capace di guidare sagacemente scelte e passioni. Quando l’intervistatore giunse presso la magione di Scruton, questi lo apostrofò così: « Allora, Mark, sei venuto a mostrare al mondo che anch’io sono umano!» (pp. 25-26).  Dalla lettura di Vivere conservatore si evince che questo tentativo è perfettamente riuscito.   Anche chi non è propriamente un conservatore e si senta vicino alla prospettiva “rivoluzionario-conservatrice”, come chi scrive, esce arricchito dal confronto con il filosofo inglese, pur avendo contezza che il solo riferimento al conservatorismo è insufficiente e può indurre la stasi politica del “moderatismo”.