• Ingravalle

  • Lo Stato riformatore
  • di
  • Carlo Francesco Ferraris
  • Un saggio di     Francesco Ingravalle
  • rec. di
  • Giovanni Sessa

  • Il dibattito sull’esito del Risorgimento e sulla formazione dello Stato unitario in Italia, è ancora aperto: ha animato parte significativa della cultura politica del secolo XX.  A ricordarcene la crucialità, anche rispetto alla presente contingenza storico-politica, è l’ultimo volume di Francesco Ingravalle, docente dell’Università del Piemonte orientale. Si tratta de, Lo Stato riformatore. Carlo Francesco Ferraris: intellettuale e funzionario (1850-1924), comparso da poco nel catalogo della OAKS editrice (per ordini: info@oakseditrice.it, pp.220, euro 20,00). Il volume è completato da un’antologia di scritti del Ferraris e da una bibliografia essenziale.
  • L’interesse per l’insigne studioso e uomo politico si è riacceso dopo il Convegno di studi in suo onore, organizzato nel 2007 dall’allora Preside della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università del Piemonte orientale, Corrado Malandrino. Il testo di Ingravalle ricostruisce l’iter teorico-politico di Ferraris, cogliendone la rilevanza nel dibattito filosofico-politico tardo ottocentesco e di inizio Novecento e, al medesimo tempo, ne individua i possibili limiti. Il contributo speculativo del misconosciuto intellettuale piemontese, era centrato sull’idea di Stato super partes, in un frangente storico in cui, dopo il moto dei “Fasci siciliani”, il conflitto sociale stava dirompendo nella società italiana, segnandola in profondità. Ferraris considerava tale situazione: «come la minaccia più radicale all’esistenza della res publica, come un dato patologico della politica italiana» (p. 18). Quando l’ordinamento socio-politico è giusto, argomentava lo studioso, non può esservi conflitto: «Il conflitto è crisi […] e la crisi è, per il corpo politico, quello che per il corpo organico è il sintomo di una malattia» (p. 18). Quale la terapia, atta a curare o a lenire tale patologia dello Stato nazionale? Ferraris risponde, nelle numerose opere, in modalità monocorde: lo Stato riformatore. Cos’è, in realtà, lo Stato riformatore?
    Il riferimento di base del nostro teorico è quello dello Stato liberale, corretto da riferimenti ideali al “Socialismo della cattedra” tedesco, in particolare al pensiero politico di Adolph Wagner, che individuò il proprio paradigma politico nello stato “sociale” di Otto von Bismarck. Non mancano, in Ferraris, riferimenti all’utilitarismo sociale di Stuart Mill. Lo Stato riformatore opera per: «l’inserimento delle masse lavoratrici nel sistema degli interessi tutelati dal pubblico potere, tentando di disinnescare, così, le spinte sovversive» (p. 13). Un riformismo dall’ “alto” che, in Italia, avrebbe dovuto attuarsi attraverso la simbiosi collaborativa tra corpi: «non elettivi e corpi elettivi dello Stato […] condizione basilare dell’azione riformatrice […] e del progresso sociale» (p. 14). Vale a dire tra la Camera dei Deputati, corpo elettivo dello Stato, luogo della rappresentanza politica e, pertanto, espressione sensibile al dinamismo e al conflitto sociale, e il Senato, non elettivo, di nomina regia, accompagnato, nel momento esecutivo, dalla burocrazia. Ferraris, in tale progetto, sviluppato all’interno della cornice istituzionale propria dello Statuto Albertino e in sequela del liberalismo del D’Azeglio, traccia un esplicito elogio del “notabilato”, facendosi, al contempo, sostenitore della crucialità della scienza dell’amministrazione nell’iter riformatore.

  • Anzi, rileva Ingravalle, Ferraris può, a buon diritto, essere considerato il creatore della scienza italiana dell’amministrazione, significativamente attenta alla statistica, nonché alle scienze giuridiche ed economiche. La perizia in tale discipline, e la cultura di impianto europeo, indussero il Nostro a farsi latore di una riforma per il decentramento politico-amministrativo, che ricorda, in alcuni aspetti, la lezione del Cattaneo. L’idea dello Stato super partes, in ciò non si può non convenire con Ingravalle, precluse a Ferraris la visione realista degli eventi che si producevano in Italia dopo il 1918. Allora: «tanto il diritto, quanto lo Stato erano […] oggettivamente parti in causa all’interno del conflitto sociale […] del tutto subordinati agli interessi delle classi» (p. 17). Fin dal discorso inaugurale dell’anno accademico 1909-1910, Santi Romano aveva ben compreso, è sempre Ingravalle a ricordarlo, che il conflitto sociale, la dimensione polemologica, è consustanziale e ineliminabile dalla costruzione della res publica, a differenza di Ferraris che giudica lo scontro sociale rischio mortale per la securitas della cosa pubblica. In tal senso, lo Stato è per Santi Romano un’istanza ricercata, non ancora conseguita, momentanea composizione del conflitto socio-politico.    A Ferraris, al contrario: «Lo Stato liberale sembrava aere perennius» (p. 20).

  • Per questo, come mostra il capitolo dedicato all’esegesi della critica del Nostro al socialismo scientifico, il teorico piemontese non comprese, fino in fondo, che lo Stato può essere: «lo strumento del dominio di una classe sull’altra» (p. 22), limitandosi a respingere tale tesi, senza riuscire, fino in fondo, a confutarla. Il suo notabilato è astratto, avulso e, in teoria, sradicato dalle sodalità di classe: finisce, pertanto, con il riproporre l’annoso problema platonico relativo al controllo dei governanti.   Egli colse, di certo, l’immagine normativa della società italiana del tempo, ma gli si dissolse, tra le mani, il reale movimento, la dinamica che l’animava dell’interno, che non poteva essere risolta nel quadro generale dello Stato liberale, come gli eventi prodottisi tra il 1918 e il 1922 mostrarono.  La novità teorica dell’utilitarismo del Ferraris va rintracciata nella sua lettura dello Stato quale mediatore tra felicità individuale e comunitaria, assente nella scolastica liberal-utilitarista.

  • L’importanza del libro di Ingravalle non sta solo nell’aver riproposto all’attenzione dei lettori il pensiero, oggi poco noto e, comunque, originale, di Ferraris, quanto di averlo fatto in un momento storico successivo alle teorizzazione della fine degli Stati nazionali, che vede, al contrario, il riemergere della loro essenziale funzione. Dopo la crisi del 2008: «gli Stati sono stati i garanti […] di transizioni finanziarie altrimenti prive di garanzie» (p. 8), per non dire della evidente presenza statuale alle spalle degli organismi sovranazionali (gli USA, dietro il Fondo Monetario), che muovono la storia del mondo contemporaneo. Non è cosa di poco conto…