• Dove e come difendere 
  • LA SOVRANITA’ ECONOMICA POSSIBILE
  • di
  • Vittorio de Pedys
  • Può apparire sorprendente ma chi scrive ritiene che la sovranità economica nazionale debba oggi essere articolata e difesa a due distinti livelli: quello nazionale e quello europeo. Non c’è bisogno di ricordarci che l’Europa in cui viviamo non è l’Europa che vogliamo, che sogniamo e per la quale ci battiamo. E’ a tutti noi chiaro che una mera unione economica, basata sulla moneta comune, sulla dominazione burocratica centralizzata a Bruxelles, penalizza quelle nazioni meno virtuose e più ignave, come il nostro Paese.  Noi che aspiriamo ad una Europa dei popoli, che difenda strenuamente le sue millenarie tradizioni, le sue differenze e le sue peculiarità, sogniamo un fascio di popoli avvinti da un principio federatore superiore, imperiale, di potenza e di pace.  Tutto questo oggi non c’è, ma ciò non ci esime dal lavorare e batterci nel reale, per la realizzazione di un’unione migliore e più audace dell’attuale. Senza rifugiarsi né in miti incapacitanti (“...non ci si arriverà mai”, perché agire sul reale quantunque non ottimale si può) né in astratti complottismi che a nulla servono (“...l’Europa vuole spartirsi e depredare le ricchezze italiane”, perchè le nostre ricchezze le depredano al 99% gli italiani), né a ridicole semplificazioni da bar (“...la Germania decide tutto per i suoi fini nazionali“, perché se lo fa , fa benissimo, ma noi qui auspichiamo maggiore, non minore leadership tedesca nell’Unione, visto che è, nei fatti, non solo l’unica esistente, ma anche la migliore possibile).
  • Come occorre dunque declinare il legittimo interesse nazionale italiano agendo nel reale e non nel mondo febbricitante ed inutile dell’autoassoluzione dalle nostre gravissime mancanze nazionali?   Occorre, a nostro parere, distinguere due piani differenti. Il primo è quello della difesa dei valori economici nazionali esistenti, per evitarne lo svuotamento dall’interno, attraverso la cessione all’estero e il trasferimento dei centri decisionali altrove. In questo ambito lo Stato deve avere la competenza (tema non banale di una classe dirigente educata bene dal punto di vista economico-finanziario e non burocratico-legale-amministrativo) e la forza economica di favorire il mantenimento in Italia dei settori, non tanto e non solo ritenuti strategici, ma che sostanzialmente si occupano di manifattura, nel senso più ampio, cioè l’ industria: piccola media, grande, mini, micro, artigianato, agricolture, distribuzione, pesca, esercizi commerciali, ecc.  In una parola quasi tutto il settore primario e secondario.  Qui lo scopo deve essere l’aumento della competitività delle imprese (incluse ovviamente in primis quelle a partecipazione statale) per mantenere in Italia i posti di lavoro, che in grandissima parte questo settore fornisce all’economia.  Dall’acciaio all’energia, dalle infrastrutture come porti, autostrade e ferrovie alla meccanica, fino alle micro imprese, tutto ciò che è manifattura e servizi di base deve essere coltivato, incrementato e, ove necessario, protetto. Gli strumenti legislativi già esistono dai dazi temporanei (la Francia li ha sempre usati) alla golden share (da utilizzare ad es. con Tim o con Iveco).
  • Il secondo piano è quello della difesa degli interessi nazionali ad uno stadio di efficacia necessariamente comunitario. Ci sono settori dell’economia che non hanno confini e che sono ovviamente il traino dello sviluppo futuro della nazione e del continente. In questi settori lo sviluppo di consorzi comunitari, di conglomerati economici europei, di iniziative congiunte (ad es. esercito comune, marina militare comune), vanno favoriti e soprattutto PRESIDIATI inviando in tali consessi gli uomini migliori, non sistematicamente i peggiori, che siano politici o burocrati o inprenditori. I mercati finanziari non conoscono confini, lo stesso dicasi della Ricerca e sviluppo, dell’innovazione, dell’intelligenza artificiale, della quantistica, delle telecomunicazioni, dei satelliti, ecc.  Le prime prove di congiunzione fra imprese italiane ed imprese europee dimostrano, finora, una palese volontà dei gruppi di controllo italiano di cedere il comando.  Si può citare qualche esempio facendo riferimento alle partnerships con la Francia: FCA-Peugeot, Borsaitaliana-Euronext, Luxottica-Essilor, BNNP-BNL, solo per dare un’idea.  Anche laddove le eccellenze sono italiane, anche quando si tratti di aggregazioni fra privati, la subalternità strategica italiana emerge palese, e questo non può non avere conseguenze negative sull’occupazione e sulla direzione strategica.  Per cui è necessario difendere l’interesse nazionale italiano in Europa presidiando con qualità e volontà gli sviluppi futuri, perché la strada è segnata ed il futuro è europeo , nel reale.  Sta a noi renderlo protagonista e meno subalterno, per congenita esterofilia o per guardarsi l’ombelico.