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  • Pubblichiamo un estratto della
  • prefazione
  • di
  • Giovanni Sessa
  • alla biografia intellettuale,
  • Richard Wagner,
  • di Éduard Schuré
  • Oaks editrice
  • (pp. 253, euro 20,00).
  • La letteratura critica dedicata a Richard Wagner […] è ormai sterminata e riempie intere biblioteche. Eppure, tra tante pubblicazioni, poche hanno davvero corrisposto al tratto maggiormente caratterizzante l’azione culturale di questo straordinario artista-filosofo, come è riuscito a fare il libro che il lettore ha ora tra le mani, Richard Wagner di Édouard Schuré. Lo studioso francese legge, infatti, la figura del grande musicista come quella di un titano in lotta contro il proprio tempo. Un titano antimoderno, dunque, al quale l’autore, per vocazione e per scelta, come si vedrà, si sentiva assai prossimo. Tale intenzione la si evince fin dall’incipit del volume: «Sono fiero di avere difeso quasi da solo, fra poco saranno venti anni, la causa dell’Arte pura e dell’Ideale, in un periodo in cui vivevamo schiacciati dal giogo di ferro della Scienza positiva, mentre la sua legittima figlia, la letteratura naturalistica, ci soffocava con le sue volgari epopee ed i suoi miasmi malsani».
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  • La polemica antipositivista diverrà fiume in piena, sul finire del secolo XIX e agli esordi del secolo XX, anche nel nostro paese, con l’affermarsi delle riviste dell’avanguardia. Gli strali relativi al passatismo della cultura dell’Italietta giolittiana e pre-giolittiana, faranno gemere i torchi delle tipografie in cui si stampavano il Leonardo, Lacerba e La Voce. Riviste queste, sulle quali, almeno in un primo tempo, esercitò la propria egemonia culturale Benedetto Croce che, non a caso, fu anche promotore della collana esoterica che Laterza editò negli anni Trenta. In essa comparve il libro di Schurè, mentre, l’anno successivo, sarebbe apparsa La tradizione ermetica del sulfureo Julius Evola. E’possibile asserire che l’esegesi del personaggio Wagner messa in scena da Schuré in queste pagine, aderendo pienamente alla teatralità esistenziale del compositore, ha elementi di prossimità con quanto Carlo Michelstaedter ebbe a scrivere, in un suo articolo accorato, a proposito del drammaturgo Ibsen e dello scrittore russo Tolstoi: «entrambi presero nel petto questa società soffocata dalle menzogne e le gridarono in faccia: verità! verità!». Il ruolo attribuito a Wagner da Schuré si inscrive, pertanto, in modo esemplare, all’interno della schopenhaueriana Regenerationslehre, Rigenerazione spirituale che, a muovere dall’Arte pura, avrebbe dovuto investire l’intera esistenza degli uomini.
    Tale Rigenerazione, a partire dalla Germania, doveva diffondersi in Europa. Essa si fondava sulla critica della concezione utilitarista, economicista della vita che, il liberalismo, nella sua marcia trionfale incontrastata, stava diffondendo ovunque. L’arte e, in particolare, la musica, si sarebbero fatte annunciatrici di una nuova visione del mondo: perché ciò avvenisse, sua conditio sine qua non, doveva esser il “cambio di cuore”, la trasformazione spirituale dei singoli che se ne fossero fatti interpreti. […]    Schuré ricostruisce, con persuasività di accenti, la biografia wagneriana, a muovere dall’infanzia difficile, durante la quale il futuro musicista imparò a confrontarsi con la realtà. Rileva la grande impressione che il giovinetto trasse dalla lettura scolastica della tragedia greca e di come, a soli undici anni, si fosse immerso nei testi di Shakespeare, tanto da comporre un’ingenua trama tragica: «Il contrasto tra quelle visioni luminose e la realtà […] eccita in lui un fiero senso di rivolta e di sfida». L’aspirazione al conseguimento di un mondo ideale per sé e per i suoi simili, fu accentuata dall’ascolto di una sinfonia di Beethoven. Avvertì, con chiarezza, che in quelle note risuonava la medesima grandezza che, in illo tempore, era stata cantata da Omero. In quelle note tornava a farsi sentire la voce delle potestates della Natura: «Shakespeare aveva svegliato il suo temperamento drammatico, Beethoven scosse la sua anima». Insomma, ci pare che Schuré sostenga che Wagner colse in Beethoven il tratto titanico e dionisiaco. […] Un Beethoven schopenhaueriano, dunque, quello di Wagner […], come ben colto da Schuré. La musica, oltre il mondo della rappresentazione, dischiude la scorza della sensibilità e apre all’invisibile, alle forze elementari, disvela il dolore che stilla anche nel piccolo filo d’erba di un campo primaverile. […]

  • Di opera in opera, guidati dalla sagace esegesi di Schuré, si comprende come Wagner abbia tentato di realizzare in un continuo crescendo, la sua idea di arte. Faccia attenzione il lettore! La presentazione che lo studioso francese compie dell’intera produzione wagneriana, è connotata da rara capacità affabulatoria. La ricostruzione degli ambienti delle singole opere è attenta ai dettagli e coinvolgente, la definizione del mondo interiore dei personaggi raggiunge livelli di rara penetrazione psicologica, elevata è l’attenzione concessa alle stesse reazioni degli spettatori di fronte ai drammi vissuti dai protagonisti. Nella vasta letteratura wagneriana, Schuré ci presenta una delle ricostruzioni più complete e convincenti dell’universo valoriale del musicista. […]
    Quel che più conta, è che egli riesce a cogliere pienamente il valore della riforma del teatro compiuta dal tedesco. Infatti, il musicista riuscì a dare sintesi ai due principali tipi di drammi apparsi nella lunga storia dell’umanità. Guardò con estremo interesse […] alla tragedia attica, con la consapevolezza che essa fu realizzata attraverso il coinvolgimento della danza: «scultura vivente, pantomima espressiva, ingagliardita dagli esercizi della palestra», della lingua d’Omero, dei ritmi e delle melodie della poesia corale e infine: «dall’entusiasmo profondo, rigeneratore del coro ditirambico […] e dal soffio sublime dei misteri». Si rivolse, altresì, al teatro moderno inglese del secolo XVI, al teatro di Shakespeare. Il teatro greco fu l’apice di un’intera civiltà, efflorescenza civico-religiosa; al contrario, nel teatro inglese predomina lo slancio possente dell’individuo. Così, in esso: «il genio dell’azione risale sulla scena. Vi irrompe, vi straripa». Nella tragedia ellenica il mondo umano usciva dal divino, in quella inglese l’umanità è sola, vive nel mondo del disincanto, nell’iniziale processo di secolarizzazione, il suo è il mondo in cui “Dio è morto”. L’uomo shakespeariano […] lotta contro se stesso, contro i demoni che lo abitano, anche se la visione della realtà ha, anche nell’inglese, tratto dionisiaco, al pari di quella della tragedia attica, se è vero che il Sogno di una notte di mezz’estate, si chiude con la constatazione: «Siam fatti della sostanza dei sogni». […]

  • Divenne inevitabile per il compositore richiamarsi ad un paradigma teorico goethiano. Il grande scrittore aveva, infatti, mostrato nel Faust: «ciò che si può trarre da una semplice leggenda popolare […] così Wagner scoprì sorgenti inesplorate nelle leggende e tradizioni dei popoli moderni». Nel Vascello fantasma si rifece a leggende del popolo marinaro, nel Tannhaüser recuperò racconti tradizionali del Medio Evo germanico, nel Tristano e Isotta e nel Parsifal fece rivivere narrazioni celtiche e il mito del Graal, infine, nei Nibelungi, ripropose la mitologia germanico-scandinava. A nostro parere, Schuré è troppo generoso nei confronti di Wagner quando sostiene che il suo genio vada individuato nel tentativo: «di spogliare il mito dalle sovrapposizioni estranee avvenute successivamente per l’influenza della Chiesa», in quanto, dopo il Tristano e Isotta, in lui il mito, di fatto, si “cristianizza”. Coglie nel segno, invece, quando rileva che Wagner ebbe contezza della naturale concordanza tra visione mitica del mondo e genio della musica. Nel mito vide l’affermazione di una natura umana pura ed eroica, quale quella emergente dall’opera sinfonica di Beethoven. In conclusione: «la tragedia di Wagner è nata dalla fusione sul teatro del mito popolare e della musica beethoveniana» […] Il dramma wagneriano ha riproposto il passato non in modalità sterilmente ripetitiva, non ha riproposto l’“identico” rispetto alla tragedia attica, ma il “simile”. Tale opera ha rappresentato il mostrarsi della possibilità del “Nuovo Inizio” nell’ambito teatrale.