• Dugin Soggetto radicale

  • Il
  • Soggetto Radicale
  • di
  • Dugin
  • Rivolta contro il mondo post-moderno
  • di
  • Giovanni Sessa
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  • Aleksandr Dugin, da tempo, è considerato uno degli intellettuali più stimolanti del tradizionalismo e teorico di punta dell’euroasiatismo. Lo conferma la sua ultima opera edita in italiano per i tipi della AGA editrice, Teoria e fenomenologia del Soggetto Radicale, a cura di Francesco Marotta, Andrea Scarabelli e Luca Siniscalco (per ordini: aga@artigraficheambrosiane.com, pp. 411, euro 28,00). Ai tre curatori si devono gli interessanti saggi, che contestualizzano, in modo organico, il pensiero del filosofo russo. Il libro raccoglie una serie di conferenze tenute da Dugin a Mosca tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo secolo, all’interno del progetto «Nuova Università», ed è arricchito da due Appendici conclusive. In una di esse, Dugin precisa le relazioni che legano la sua opera a quella di Julius Evola. Il titolo stesso del volume richiama l’evoliano, Teoria e fenomenologia dell’individuo assoluto. In termini teorici, è possibile asserire che Dugin tenta di «attualizzare», in queste pagine, le posizioni evoliane di Cavalcare la tigre, al fine di prospettare la Rivolta contro il mondo post-moderno.
  • L’incipit del testo va colto nella individuazione duginiana di tre epoche qualitativamente differenti della storia: il momento premoderno, pienamente coincidente con la Tradizione dispiegata, il moderno, inteso quale tempo oscuro della dimenticanza e della progressiva negazione della Tradizione, il post-moderno, l’età attuale, in cui le distruzioni operate dalla modernità vengono realizzate in modo pieno, dando luogo alla diffusa percezione dell’insensatezza della vita.  Tutta la prima parte dell’opera è una descrizione fenomenologica, puntuale e attenta, della realtà nella quale siamo immersi, sotto il profilo spirituale, esistenziale e politico-sociale. Nella post-modernità assistiamo a una riemersione parodistica, frammentata ed incapace di reale integrazione, della sacralità: «non è la Tradizione, ma la “scimmia” della Tradizione» (p. 44). Tutto in essa è post, in quanto, anche in ambito scientifico, si tende ad equiparare e ad unire in modo improprio ogni differenza: «Nasce la teoria del cyborg […] i computer cercano di simulare le forme viventi […] mentre gli uomini inoculano le facoltà delle macchine nel proprio organismo» (p. 45). L’uomo perde la sua centralità, la sua natura è smembrata in fasci di impulsi casuali senza legame. La società è priva, nella dimensione rizomatica che tutto domina, di senso: «trasformandosi in rete dinamica di principi irrazionali e arbitrari tra un post-uomo e l’altro, senza solide basi» (p. 47).
  • Si proclama la fine della storia, in quanto il «migliore dei mondi possibili», la società della Tecno-Scienza, nel quale l’umanità contemporanea si trova a vivere «comfortata» di ogni bene materiale, è ritenuta invalicabile. In tale condizione, anche il corpo è svalorizzato, diviene protesi, apparato, mentre l’eros svanisce nei simulatori di rete che programmano piacere e desiderio. La cultura nell’età post-moderna è ludica, in senso negativo: «tutto è gioco, dotato di un senso sfuggente» (p. 57). In conclusione, il post-moderno non fa che radicalizzare i processi regressivi inaugurati dalla modernità, eliminando dalla scena del mondo il sacro. Il passaggio dal moderno al post-moderno avviene nel momento in cui la modernizzazione non si limita a resistere all’arcaico, ma mira ad incorporarlo nel proprio sistema: come nel premoderno, viviamo, per questo, nella dimensione del miracolo. Un miracolo, rileva Dugin, diverso da quello dell’età della Tradizione, nella quale l’uomo sperimentava il cosmo come luogo del manifestarsi della meraviglia e dell’impossibile. Il miracolo post-moderno è nero, segno della mancanza di senso che tutto opprime e conseguenza dello sfaldarsi del paradigma conoscitivo della modernità, centrato su casualismo e determinismo, principi primi dei sistemi galileiano e newtoniano.
  • In termini tradizionali, come ricordato da Guénon, ci troviamo nella situazione in cui l’Uovo Cosmico si è aperto verso il basso, innescando le procedure catagogiche della crisi, così ben descritte da Dugin, che si serve della strumentazione intellettuale tratta da Baudrillard. Nel periodo premoderno, l’Uovo era aperto verso l’alto: da qui la struttura anagogica del mondo della Tradizione, in cui l’uomo era sospinto da un flusso irrefrenabile verso la trascendenza. Nella modernità l’Uovo Cosmico era chiuso su sé stesso e tale situazione attestava la negazione del sacro. A significati non dissimili, allude il Paradigma di Cusano, che il filosofo russo presenta e discute. Si tratta di un simbolo strutturato in due triangoli capovolti l’uno rispetto all’altro, uno scuro e l’altro chiaro: allude a come, anche nell’età contemporanea, oscura e dominata dalle tenebre, sopravviva una presenza residuale della luce. Chiosa Siniscalco: «Questo lume nascosto […] è l’insistenza dell’Origine […] è, in nuce, l’istanza del Soggetto Radicale» (p. 16).
    Il Soggetto Radicale, risponde all’appello nietzschiano, centrato sull’idea «aperta» della storia, dovrebbe riuscire a mettere in atto, innanzitutto dentro di sé, un processo di resistenza volitiva allo stato attuale delle cose, capace di indurre una rivolta contro il mondo post-moderno. Una rivoluzione conservatrice declinata da Dugin in termini di cultura slava, ma aperta alle più disparate suggestioni europee, da Heidegger a Jünger, da Spengler all’Evola di Cavalcare la tigre e al suo «uomo differenziato». Questi, proprio come il Soggetto Radicale e l’individuo assoluto, è un «tradizionalista», che vivendo nell’epoca moderna, ha la Tradizione solo dentro di sé. Nel mondo, nella società, di fatto, il tradere è negato. Tale soggetto è convitato di pietra, decide di operare in una realtà che non riconosce spiritualmente. Per altro verso, il Soggetto Radicale traspone il Dasein heideggeriano lungo la dimensione assiale: nel foro interiore, il soggetto duginiano si fa Centro di un mondo discentrato e rizomatico. Dugin lo definisce «Angelo perduto, gentile», in funzione della sua apertura al cosmo e al sovrasensibile, che gli consente di realizzare la sintesi degli opposti.

  • Libro importante questo di Dugin, ma che, a parere di chi scrive, non riesce a portarsi «oltre» le posizioni di confine conquistate da Evola in Cavalcare. Lo vorrebbe, nobile intenzione, ma non vi riesce. Resta ambiguo e irrisolto, nelle sue pagine, l’approdo alla Nuova Essenzialità, quint’essenza e tratto conclusivo dell’evolismo. In alcuni luoghi del volume si mostra un’apparente adesione duginiana alla concezione del tempo che Locchi chiamò tridimensionale, moderna traduzione della concezione classica che, nell’attimo immenso, vedeva uniti eternità e tempo edipico. La lettura duginiana, in forza della opzione ortodossa, da «Vecchio Credente» dell’autore, resta «futurocentrica», sospesa tra filosofia della storia e simbolica della storia. Per Dugin, il Soggetto Radicale: «E’ il telos della storia» (p. 32). Ma la storia è «aperta» proprio perché non ha un fine, né una fine. Solo recuperando il logos physikos che, nel secolo XIX fu riproposto da Goethe e nel secolo XX da Löwith, sarà possibile chiarificare la Nuova Essenzialità evoliana, e leggervi l’espressione di un coerente, «sobrio», neo-stoicismo.