• Carlo Otto Guglielmino Fiume una grande aventura

  • Fiume
  • la festa sacra della Rivoluzione
  • Il diario fiumano di
  • Carlo Otto Guglielmino
  • di
  • Giovanni Sessa
  • Sono trascorsi cent’anni dall’impresa di D’Annunzio a Fiume. Eppure, i pochi mesi della Reggenza della città d’Istria, hanno svolto un ruolo paradigmatico nella storia, esaltante e tragica, del XX secolo. In quelle giornate appassionate il Poeta mise in atto la festa sacra della Rivoluzione, si incamminò verso l’estetizzazione della politica, via altra ma parallela a quella della politicizzazione dell’estetica, che avrà in Walter Benjamin il maggior interprete. Negli anni Settanta lo storico statunitense Michael Leeden in, D’Annunzio a Fiume (Laterza), richiamò l’attenzione dei lettori sul tratto indubitabilmente ludico-poietico dell’esperienza fiumana. In essa, sostenne lo studioso, gli arditi si proposero quali antesignani sostenitori della fantasia al potere, giungendo a sperimentare, in massa, l’ebbrezza psichedelica. Una recente pubblicazione contribuisce a contestualizzare storiograficamente l’impresa di Fiume, rilevando, altresì, in essa tratti di assoluta originalità ed attualità. Ci riferiamo al volume di Carlo Otto Guglielmino, Fiume, una grande avventura , da poco comparso nel catalogo della Bietti (per ordini: 02/29528929, pp. 139, euro 16,00).
  • Il libro uscì in prima edizione nel 1959. Il testo è riproposto con l’introduzione di Daniele Orzati e con una Appendice contenente la ricostruzione storica del ruolo svolto da Guglielmino a Fiume, che si deve ad Anita Ginella, e da un ulteriore scritto dell’autore relativo alle attività della Segreteria della città olocausta ma è impreziosito da un apparato iconografico, messo a disposizione dall’ultima figlia dello scrittore, Anna Maria.  Fiume, una grande avventura raccoglie le pagine di diario che il giovanissimo Guglielmino tenne nella città di Fiume dal momento del suo arrivo, il 14 settembre 1919, fino all’epilogo dell’impresa. Il diario doveva servire al nostro da canovaccio, da promemoria, al fine di imbastire gli articoli per il Corriere Mercantile di Genova, giornale al quale collaborava. Genovese di nascita e nell’animo, ebbe, e ciò lo si evinceva dai tratti somatici, una madre svedese: «giovane molto alto [...] biondissimo di un biondo chiaro, nordico [...] con cento sogni chiusi nell’anima» (p. 104). Visse l’iniziazione all’arditismo quattordicenne, il 5 maggio 1915, quando assistette, a Quarto, alla perorazione interventista di D’Annunzio. Si arruolò volontario e, a guerra finita, fu tra i fondatori del fascio futurista genovese. Date queste premesse, Guglielmino non poteva che finire a Fiume. A spingerlo verso la città dalmata furono la generosità e la giovinezza spirituale proprie dell’impresa. In essa: «troviamo fusi contrastanti elementi: la intelligenza raffinata di un grande artista e la semplicità, quasi infantile, di rozzi arditi» (p. 105).
    Del resto, il valore simbolico della presa di Fiume, è così sintetizzato dall’autore: «Disse [D’Annunzio] che bisognava andare incontro alla primavera per farle festa [...] “Andiamo a bere quell’acqua e a raccogliere le violette” ha concluso, ed ha aperto la marcia con passo giovane» (p. 8). Il senso dell’arditismo è tutto racchiuso in queste righe: si tratta di una sfida al comune sentire, alla notte della vita, al peso cosale che la opprime e la rende grave, perché essa possa tornare a manifestare il suo volto festivo.  L’ardito, sfidando la morte, nietzschianamente lancia il suo eterno alla terra. La Reggenza di Fiume, la festa sacra della Rivoluzione, come testimonia la Carta del Carnaro, sintesi di nazionalismo e sindacalismo rivoluzionario, mirava a disintegrare un ordine apparente, svuotato di senso, in nome di un ordine nuovo.  A Fiume, D’Annunzio si fece Vate di un Nuovo Inizio e, attraverso l’Arte-Vita, al pari di Stefan George in Germania, avrebbe potuto annunciare: «Si fa di nuovo primavera...Tu consacri strada e aria/ E noi su cui il tuo sguardo cade». E’ il nuovo tempo l’essenza dell’impresa fiumana. Non è casuale che Guglielmino e i liguri che attorniavano D’Annunzio nell’impresa, fondassero l’Ordine della Viola, confraternita votata al fiore di primavera, al dionisiaco rinnovarsi della vita. La stessa prosa di Guglielmino, segnata dalla passione, trascrive il flusso vitale di quelle esaltanti giornate dal ritmo concitato. Nella Città tutto era metamorfosi, la stessa notte era laboriosa: «Indeficenter è il motto di Fiume. Lo spettacolo di questo lavoro notturno è impressionante» (p. 108).
    Lo stesso Poeta non si sottraeva a questi ritmi di lavoro, conducendo una vita sobria e spartana. Della sua presenza in città, Guglielmino, fornisce una descrittiva realistica. Si sofferma sul variare dell’umore del Comandante, ne rileva l’esaltazione per i successi, così come i momenti di rabbia furiosa o di scoramento.  La rabbia esplose all’ingresso a Fiume del socialista Misiano, qui giunto per sobillare i lavoratori contro la causa dannunziana, ma anche quando ricevette la notizia che il governo italiano si apprestava allo sgombero dell’Albania. Livello di esaltazione significativa.  D’annunzio, stando alle note del nostro autore, lo visse durante la spedizione a Zara, assieme all’ammiraglio Luigi Rizzo, suo sodale nella beffa di Buccari. L’aspetto storiograficamente più rilevante del libro, va rintracciato nella presentazione dell’arrivo di Mussolini. Le parole di Guglielmino sembrerebbero confermare, rispetto ai rapporti con il futuro duce, quanto sostenuto da Giordano Bruno Guerri, vale a dire la loro cordiale inimicizia. Più volte nella città d’Istria, gli arditi ribadirono la distanza del movimento dalla politica e dallo stesso nascente fascismo. Resta il fatto che allora: «D’Annunzio era ancora la guida e Mussolini il gregario» (p. 113), anche se, di lì a poco, i rapporti di forza sarebbero cambiati.  Anche Marinetti fu accolto freddamente a Fiume: a mantenere alto in città il vessillo futurista, fu l’intransigente Mario Carli, fondatore del settimanale La testa di ferro, cui collaborò lo stesso Guglielmino. D’altro canto, in città erano accorsi eretici ed eterodossi di ogni fede: dalle prime pattuglie di femministe in pantaloni, che scandalizzarono il perbenista Turati, a Guido Keller, cui si deve l’introduzione delle pratiche yogiche in Italia, il cui arrivo sul Carnaro è ben descritto nel diario. Terminata la grande avventura, Guglielmino tornò a Genova, aderì al fascismo e dal 1942 diresse La Prora, organo del partito in Liguria. Nel dopoguerra pagò a caro prezzo la coerenza ideale, potendo tornare al giornalismo solo negli anni Cinquanta. Scrisse libri a difesa del paesaggio mediterraneo della sua terra, memore dell’eterna primavera del mondo che aveva conosciuto nelle giornate fiumane.

 

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  • motto di Fiume. Lo spettacolo di questo lavoro notturno è impressionante
    » (p. 108). Lo stesso Poeta
    non si sottraeva a questi ritmi di lavoro, conducendo una vita sobria e spartana. Della sua presenza
    in città, Guglielmino, fornisce una descrittiva realistica. Si sofferma sul variare dell’umore del
    Comandante, ne rileva l’esaltazione per i successi, così come i momenti di rabbia furiosa o di
    scoramento.
    La rabbia esplose all’ingresso a Fiume del socialista Misiano, qui giunto per sobillare i lavoratori
    contro la causa dannunziana, ma anche quando ricevette la notizia che il governo italiano si
    apprestava allo sgombero dell’Albania. Livello di esaltazione significativa D’annunzio, stando alle
    note del nostro autore, lo visse durante la spedizione a Zara, assieme all’ammiraglio Luigi Rizzo,
    suo sodale nella beffa di Buccari. L’aspetto storiograficamente più rilevante del libro, va rintracciato
    nella presentazione dell’arrivo di Mussolini. Le parole di Guglielmino sembrerebbero confermare,
    rispetto ai rapporti con il futuro duce, quanto sostenuto da Giordano Bruno Guerri, vale a dire la
    loro
    cordiale inimicizia
    . Più volte nella città d’Istria, gli arditi ribadirono la distanza del movimento
    dalla politica e dallo stesso nascente fascismo. Resta il fatto che allora: «
    D’Annunzio era ancora la
    guida e Mussolini il gregario
    » (p. 113), anche se, di lì a poco, i rapporti di forza sarebbero cambiati.
    Anche Marinetti fu accolto freddamente a Fiume: a mantenere alto in città il vessillo futurista, fu
    l’intransigente Mario Carli, fondatore del settimanale
    La testa di ferro
    , cui collaborò lo stesso
    Guglielmino. D’altro canto, in città erano accorsi eretici ed eterodossi di ogni fede: dalle prime
    pattuglie di femministe in pantaloni, che scandalizzarono il perbenista Turati, a Guido Keller, cui si
    deve l’introduzione delle pratiche yogiche in Italia, il cui arrivo sul Carnaro è ben descritto nel
    diario. Terminata la grande avventura, Guglielmino tornò a Genova, aderì al fascismo e dal 1942
    diresse
    La Prora
    , organo del partito in Liguria. Nel dopoguerra pagò a caro prezzo la coerenza
    ideale, potendo tornare al giornalismo solo negli anni Cinquanta. Scrisse libri a difesa del paesaggio
    mediterraneo della sua terra, memore dell’eterna primavera del mondo che aveva conosciuto nelle
    giornate fiumane.