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  • Le epistole pontificali di
  • Giuliano Augusto
  • di 
  • Giovanni Damiano
  • Grazie alla curatela di Claudio Mutti, e in significativa coincidenza con il Natale di Roma di quest’anno, le Edizioni di Ar hanno dato alle stampe le Epistole pontificali di Giuliano Augusto. Accompagnate dal testo originale a fronte, queste dieci lettere, scelte nel vasto epistolario giulianeo, trattano tematiche, com’è facilmente intuibile dal titolo, relative alla sfera del sacro nei suoi molteplici aspetti (dalla funzione sacerdotale ai riti e agli inni, dalla filantropia al destino post mortem delle anime, e così via). Qui, per ovvie esigenze di spazio, mi limiterò a dire qualcosa su tre questioni che emergono dal testo.
  • La prima, assolutamente dirimente, è quella del cosiddetto “monoteismo pagano”. L’imperatore Giuliano nella lettera indirizzata a Teodoro scrive che i giudei, nel venerare il loro Dio (che sotto altro nome è venerato pure dai pagani, aggiunge l’imperatore), agiscono ragionevolmente e seguendo il loro nomos, sbagliando solo nel non adorare anche le divinità dei Gentili. Al riguardo, nota Marco Zambon che “la nozione di ‘monoteismo pagano’…nasconde la differenza profonda che esiste …tra la tendenza dei filosofi a ricondurre a un principio primo assolutamente trascendente e unico una realtà divina comunque pensata come molteplice e la costruzione da parte di giudei e cristiani di un sistema religioso che non solo escludeva il culto, ma anche negava l’esistenza di altri essere divini di qualsiasi genere oltre al Dio unico”[1]. Ecco perché ritengo sia maggiormente perspicuo utilizzare, nel caso di Giuliano, il concetto di enoteismo, anche sulla scia di quanto affermato da Arnaldo Marcone: “ sembra peraltro da escludersi che Giuliano intendesse dare al suo discorso una flessione ‘monoteistica’. La visione teologico-religiosa dell’imperatore, in buona sostanza, appare come una forma di politeismo sostanzialmente conciliabile con le argomentazione medioplatoniche e neoplatoniche di una pluralità gerarchizzata di princìpi divini derivati e dipendenti da un unico principio supremo, concepito come il sommo dio”[2]. D’altronde, mal si concilierebbe un presunto monoteismo con la dottrina giulianea degli Dei etnarchi, in sé pluralista, in quanto essenzialmente incentrata su di una molteplicità di Dei.
  • Proprio la dottrina degli Dei etnarchi rimanda al secondo punto al quale volevo far cenno, vale a dire l’esplicito filogiudaismo di Giuliano. Riprendendo un’osservazione di Maria Carmen De Vita, “la religione giudaica si iscrive, pertanto, senza difficoltà nella ‘federazione’ di culti nazionali presieduti dagli dei etnarchi, che nel trattato giulianeo [il riferimento è al Contra Galileos] costituisce l’articolazione del politeismo universale”[3]. Uno dei motivi (forse il più importante) è spiegato proprio nei passi più sopra ricordati, tratti dalla lettera a Teodoro: i giudei vanno lodati per la fedeltà ai loro nomoi, perché preservano le antiche usanze e i patria nomina, e rappresentano dunque una religione tradizionale, relativa al solo popolo ebraico, di tutt’alto genere rispetto alla superstitio galilea, segnata dalla novità[4] e da un universalismo oppressore delle differenze. Non per nulla, l’imperatore voleva persino riedificare il Tempio gerosolimitano, come si può desumere da un cenno fatto nella decima lettera della raccolta.
  • L’ultimo punto ha a che fare col tema della filantropia, presente nella quarta e nella decima lettera, e spesso indicato come uno degli aspetti dai quali maggiormente emergerebbe il tentativo giulianeo di imitare, almeno in parte, la chiesa cristiana. Anzi, nella lettera ad Arsacio (la quarta della raccolta), Giuliano riconosce chiaramente come la diffusione del cristianesimo sia dovuta anche alla filantropia, ossia a quell’insieme di opere assistenziali (a partire dalle elemosine) che caratterizzavano la religione venuta dalla Galilea. Ora, Maria Carmen De Vita, nel corso di una discussione avuta col sottoscritto su queste epistole, ha giustamente osservato come Giuliano, e proprio nella lettera ad Arsacio, non volesse affatto imitare il cristianesimo in rapporto al tema della filantropia, quanto piuttosto riappropriarsi di tradizionali pratiche ‘pagane’, colpevolmente trascurate, della cui antichità chiamava a testimone addirittura Omero. Mi sembra un punto della massima importanza, da tener presente in ogni valutazione dell’operato dell’ultimo grande difensore della ‘religiosità’ classica.
                                                                                                                                                                                                                            
  • [1] M. Zambon, “Nessun dio è mai sceso quaggiù”. La polemica anticristiana dei filosofi antichi, Carocci, Roma 2019, p. 235.
  • [2] A. Marcone, Giuliano, Salerno Editrice, Roma 2019, p. 45.
  • [3] M.C. De Vita, Giuliano Imperatore filosofo neoplatonico, Vita e Pensiero, Milano 2011, p. 170.
  • [4] Sempre nella lettera a Teodoro, Giuliano afferma, non a caso, di evitare le innovazioni specialmente nelle cose divine.
  • Nota editoriale EDIZIONI DI AR:
  • Autore: Giuliano Augusto; titolo: Epistole Pontificali; Collana: Paganitas; prezzo: 14 Euro.
  • L’Ellenismo, l’attingere esclusivo alla “scienza degli Elleni” significò per l’imperatore Giuliano non tanto una reazione al Cristianesimo, quanto una vera e propria controrivoluzione alla rivoluzione cristiana: condotta in nome del moderno Dio migrato dalla Galilea, la rivoluzione; proclamata in nome degli antichi Dei olimpico-capitolini, la controrivoluzione. Sicuro che l’Idèa deve non assoggettarsi ma dettare regole alla realtà, persuaso “della propria investitura divina e del suo mandato a riconvertire la storia, smentendone ogni interpretazione cristiana” [O. Andrei], il pius-theosebès Giuliano non si mise al passo coi tempi, ma impose al tempo di mettersi al passo con la sua volontà di restaurazione, anzi di rigenerazione dell’Ellenismo. Se è vero che “la storia dell’uomo è, propriamente, storia della sua volontà” [N. Gómez Dávila], allora tra i Grandi della storia mondiale, che hanno giustificato e onorato l’essere-uomo, va posto questo giovane uomo risoluto, signore della guerra, della politica, della conoscenza, che dell’esercizio ‘liturgico’ della volontà fece la propria ascesi iniziatica. E se a dettare il bene alla volontà umana è (nella definizione cristiana) la “grazia efficace”, va detto che fu questa potenza-proprietà soprannaturale a ispirare la sua restitutio temporum et sacrorum, rendendo quindi questo grande imperatore-filosofo “sapiente nelle cose celesti, prudente in quelle umane” [Giovanni Antiocheno].