• LUniversale

  • Attualità di Berto Ricci
  • Una nuova antologia de “L’Universale”
  • di
  • Giovanni Sessa
  • Quintiliano sosteneva che si insegna con gli exempla, con il retto comportamento, più che con le parole e gli scritti. Aveva ragione. La generazione dei millennial, deprivata ad un tempo di memoria storica e di apertura utopica sul futuro ha, come proprio modello antropologico, il «consumatore assoluto».  Eppure, oggi, molti avvertono la necessità di individuare punti di riferimento diversi da quelli prevalenti.  Lo ricorda in una interessante prefazione ad un recente volume, Michele de Feudis. Si tratta di Berto Ricci, “L’Universale”. Contributi per un’atmosfera, da poco comparso nel catalogo di OAKS editrice (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 212, euro 18,00).

 

 

  • L’Universale fu rivista dalla vita breve: uscì dal gennaio del 1931 all’agosto del 1935. Ricci riuscì a coinvolgere in quell’esperienza molte delle intelligenze critiche che gravitavano nel movimento fascista, scontente dell’esito cui il regime si stava destinando. Non possiamo non ricordare i nomi di Roberto Pavese, Romano Bilenchi, Ottone Rosai, Camillo Pellizzi, Indro Montanelli e Diano Brocchi, cui si deve la scelta dei testi dell’antologia che presentiamo. Ricci aveva dato inizio alla propria avventura politica e culturale sulle pagine del Selvaggio di Maccari, del quale condivise sia la polemica populista ed antiborghese, quanto la critica strapaesana, inerente la degenerazione dei costumi italiani indotta dall’influsso dallo stile di vita americano. Ben presto si lasciò alle spalle tale fase intellettuale, abbracciando l’universalismo fascista che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto rinvigorire lo spirito rivoluzionario sansepolcrista, nel momento in cui, al termine degli anni Venti, sembrava venir meno. Su queste posizioni era allora schierato Arnaldo Mussolini, che andava patrocinando la causa di un fascismo non più chiuso nei limiti nazionali. Linea non dissimile era sostenuta da Giuseppe Bottai che, attraverso la rivitalizzazione della cultura, avrebbe voluto realizzare una nuova selezione delle élites, tema cui Ricci era particolarmente sensibile.
  • L’incontro con Rosai fu, al contrario, proficuo per la definizione del mondo ideale dello studioso e militante appassionato: da questi Ricci trasse ispirazione per valorizzare un cristianesimo pauperistico e, al contempo, virile, ghibellino e guerriero. Le idee forti, il vero e proprio programma politico de L’Universale, sono individuabili in alcuni punti essenziali, come si evince dalla lettura dei testi della silloge: 1) rivoluzione sociale; 2) realismo spiritualista; 3) rifiuto delle categorie di destra e di sinistra; 4) anticapitalismo ed antiamericanismo; 5) rinascita artistica e religiosa; 6) rigetto dell’antisemitismo. Tale articolazione ideale ha indotto studiosi quali Alberto Asor Rosa e Domenico Settembrini, a individuare in Ricci e nella sua produzione letteraria, i tratti del fascismo di sinistra.  In realtà, il fondatore de L’Universale porta ad estrema coerenza ciò che era evidente nel programma originario del movimento fin dal 1919 e che, con la sinistritas, aveva poco a che fare. Tale tesi la si evince dalla lettura del Manifesto realista (pp. 32-40), nel quale viene sostanzialmente ribadita l’incompatibilità spirituale dell’ethos italico con la visione marxista del mondo. Nell’universalismo di Ricci affiora, come ebbe a riconoscere Paolo Buchignani, una concezione filosofica monistico-sintetica, che si sostanzia del contributo pitagorico-platonico e del suo riemergere in Giordano Bruno. Tale torsione speculativa produsse nello studioso un vivace interesse per Bergson e, addirittura, una giovanile infatuazione per tematiche teosofiche.
  • La sua polemica con la Chiesa assume, in alcuni saggi, tratti reghiniani. Del resto, il suo universalismo politico, è prossimo, fatte le dovute differenze, alla teorizzazione evoliana dell’Impero. Entrambi gli studiosi avrebbero voluto lasciarsi alle spalle i lasciti del nazionalismo. A differenza di Evola, Ricci tenne in massimo conto l’esperienza ideale del Risorgimento e in particolare di Mazzini. Di quest’ultimo scrisse: «Ci insegnò l’amore all’Italia popolare, senza la quale nessuna realtà politica può dirsi stabile in questo paese: quell’Italia a cui noi ci sentiamo legati di sangue e che vediamo bella, maestra di vivere e di parlare» (p. 31). Ponendosi in sequela con La Rivolta ideale di Alfredo Oriani, Ricci si fece interprete di un fascismo che avrebbe dovuto guardare all’Europa per portare a compimento la riforma storica e politica, ma soprattutto etica, iniziata dal Risorgimento.  La polemica religiosa di Ricci, condotta nella modernissima rubrica Avvisi su L’Universale, ricorda posizioni maurrassiane, laddove egli ravvisa il tratto derivato dell’universalismo cattolico, e il carattere robustamente pagano dell’originario universalismo. Aveva coscienza lo studioso, che la rivoluzione italiana, qualora non fosse riuscita a selezionare nuove élites, avrebbe fallito il proprio compito. Riponeva, pertanto, grande speranza nelle Corporazioni: avrebbero dovuto, sublimando l’interesse economico e particolaristico, far sorgere una minoranza di italiani capaci di sottrarsi alle logiche sradicanti ed utilitariste del Capitale.
  • Lungo tale iter si sarebbe determinato un profondo scontro con la borghesia di ‘spirito e di gusto’, che stava impoverendo la vita. Come ha riconosciuto correttamente Emilio Gentile, il pensiero di Ricci è centrato sul radicalismo nazionale. La sua straorinaria attualità va colta nell’essere pensiero d’opposizione nei confronti del globalismo imperante, come si evince dalle pagine di questa antologia.  Ricci seppe, lo ricorda de Feudis, rilevare la dimensione permanente che alita sulla storia d’Italia, il suo valore eminentemente destinale, metafisico e, alla luce di ciò, individuò un compito imprescindibile per la sua generazione: «Sta al nostro secolo ridare alla mente italiana l’abito della vastità. L’amore e l’ardire, il dominio dei tempi e delle nazioni» (p. 12).   Per questo, nell’ottobre del 1935, partendo volontario per la Guerra d’Etiopia scrisse: «Ora camerati non è più tempo di carta stampata: e se ieri un’Italia letteraria ci parve buffa, oggi a noi poeti essa appare come la personificazione dell’irreale» (p. 212).  Morì combattendo nel deserto libico il 2 febbraio 1942.  Non si trattò, come qualcuno ha scritto, di un suicidio politico: al contrario Ricci testimoniò, per l’ennesima volta nel corso della sua esistenza, come pensiero e vita debbano essere coniugate in uno: il suo è stato exemplum di eroica coerenza.