• Vulgarity
  • "IL PRIMO RE"
  • tra sacro e violenza
  • di
  • Teodoro Klitsche de la Grange
  • Secondo una concezione, per lo più condivisa, e che ripetiamo da Vico, il mito è considerato una forma autonoma di manifestazione di pensiero e regole di condotta, adatta a un determinato stadio (“giovanile”) della vita di un popolo. Quindi è - o può essere - verità, ma espressa poeticamente e fantasticamente.    Il mito rivela regole, direttive, norme di varia natura. Anche il mito della fondazione di Roma.

 

  • Dal racconto che ne fa (tra gli altri) Plutarco si desumono due regole. A seguito del disaccordo sul luogo dove edificare la città, si decise di rimettere la decisione al “divino” (ossia al numero di uccelli avvistati). Dato che prevalse Romolo (forse con la frode) lo stesso cominciò a scavare il solco all’interno del quale edificare le mura della città, mentre Remo lo derideva ed ostacolava. Ma quando questi attraversò con un salto il fossato, Romolo (o uno dei suoi seguaci), lo uccise. Da tale racconto è possibile ricavare (almeno) due “costanti” di grande importanza per la saldezza e durata delle istituzioni (quelle politiche soprattutto): la prima è che il vertice dell’istituzione deve essere unico e una la direzione politica. L’altra che il confine - in senso ampio - differenzia ciò che è interno o esterno alla comunità ed è essenziale per l'ordine e l'unità della stessa. A trascurare queste regole, o ad indebolirle  s'“impara più presto la ruina che la preservazione sua”. Questo ad interpretare il mito della fondazione laicamente, ossia senza il rapporto tra religione ed istituzioni.
  • Nel bel film sulla fondazione di Roma (di Matteo Rovere), da poco uscito nelle sale, la concezione laica appare (non errata ma) insufficiente: il film è pervaso dal rapporto tra violenza e sacro, e così sul ruolo dominante del religioso nelle comunità umane, evidente soprattutto in quelle primitive. Si apre con il disastro provocato da un’esondazione del Tevere, per cui Romolo e Remo si trovano catturati, con altri pastori, dagli albani, i quali decidono di sacrificarli alla divinità (triplice dea, che vi ricorda?), previ duelli tra i prigionieri, in cui il cadavere del perdente finisce nel fuoco sacro custodito dalla proto-vestale. I gemelli si ribellano con gli altri prigionieri e fuggono, rapendo la vestale e scontrandosi (vincendo) contro gli abitanti di un altro villaggio, di cui Remo diventa il capo.  Ma la sacerdotessa rapita prevede il futuro dei due fratelli e l’uccisione di uno di essi per mano dell’altro, e viene a messa a morte da Remo. Il quale con questo ed altro contesta il volere divino (e il fato) di uccidere (o essere ucciso) dal fratello. La stessa fondazione della città è così connotata dal rapporto tra violenza e sacro; Remo è ucciso perché oltrepassa il pomerium tracciato da Romolo, ma la violenza è fondatrice dell’ordine, della civitas destinata a dominare ed unificare il mondo antico, che si costituisce sotto un potere unico. La violenza (la forza) ha un carattere nomogenetico, se si accompagna a un nomos comunitario. Cosa dimenticata dal “pensiero debole” contemporaneo.
     Scrive René Girard, il quale di tale rapporto è stato non l’unico ma l’assertore (forse) principale, che il pensiero moderno “cerca di rendere conto del giuoco della violenza e della cultura in termini di differenze” (anzi spesso di opposizioni), mentre, nella storia, l’ordine è sempre connesso alla forza e alla credenza nel “trascendente” nel non “visibile”: un tempo gli Dei o il Dio oggi il popolo (o la nazione) come elemento e principio del potere e dell’ordine, ed anche ai miti; come sosteneva Santi Romano, gli ordinamenti moderni hanno soltanto sostituito miti nuovi a quelli antichi, ma sempre miti sono (stato di natura, volontà generale, contratto sociale).  E, all’epoca della fondazione il mito è la volontà divina, e il caso che la rivela. Nella fondazione di Roma la scelta fu assegnata al caso (al volo degli uccelli). Al contrario di quello che sostiene la vulgata moderna “nelle interpretazioni religiose è misconosciuta la violenza fondatrice ma è affermata la sua esistenza. Nelle interpretazioni moderne è negata la sua esistenza. Eppure, è la violenza fondatrice che continua a governare tutto”, scrive Girard.  Lo stesso Remo, quando nel film compie atti incompatibili con la credenza nel divino, dubitando i cittadini del suo diritto a comandare, perde il rapporto con la comunità; mantenuto invece da Romolo, il quale, anche nel duello finale, delimita (religiosamente) lo spazio della civitas con il pomerium (il solco sacro) che Remo, irridente e senza pietas, scavalca armato.
    Tale atteggiamento del popolo nel film, è assimilabile al discorso sul popolo che Emone fa al padre Creonte nell’ “Antigone”. Emone sostiene che il padre, cui presta ossequio e devozione filiale, deve tener conto dell’opinione popolare, che condivide il gesto e l’ethos di Antigone critica della decisione di Creonte, per cui prega il padre “non portare in te soltanto questa idea... che è giusto quello che dici tu, e nient’altro”. Alla replica di Creonte, d’essere Antigone una ribelle, insiste “Non così dice concordemente il popolo, qui in Tebe…. Non esiste la città che è di un solo uomo…. Certo, tu regneresti bene da solo su una terra deserta”. Al comando è necessaria l’obbedienza e il consenso. Ma Creonte è irremovibile: e perde tutto, per volere degli Dei.   Il potere costitutivo e fondatore del sacro riconosciuto da tanti pensatori è dato dall’essere sovraindividuale ed è il destino di non essere compreso in una società ed in un tempo, come l’attuale, che vorrebbe essere individualistica fino all’irreale.  Ma una dimensione pubblica è per sua natura sovraindividuale e sottratta alla decisione individualistica. Come sosteneva Mazzini, sulla libertà (come assoluto) non si costituisce nulla (di esistente politicamente). Tanto meno quindi una comunità. È una dimensione che un pensiero nichilista come quello corrente ha smarrito o rifiuta, malgrado la smentita continua del reale.   Perciò ben venga un film tributario del pensiero politicamente scorretto: da Girard a Dumezil (la “triplice dea”), passando per De Maistre e Carl Schmitt.  Buona visione.