• Bergier Elogio del fantastico

  • Il realismo fantastico
  • di Jacques Bergier
  •   di
  • Gabriele Sabetta
  •  (da: L'Intellettuale Dissidente)

  • Io non sono una leggenda: questo è il bizzarro titolo dell’autobiografia che Jacques Bergier scrisse nel 1977, poco prima di morire. Nonostante i numerosi aneddoti, questa lettura trasmette una curiosa sensazione di incompletezza: del resto, è noto che il personaggio aveva giocato l’intera sua esistenza sull’ambiguità di numerose “vite parallele”.  Bergier non è certo rinomato nell’Italia odierna, sebbene sia stato co-autore, assieme a Louis Pauwels, de “Il mattino dei maghi” (1960), che all’epoca suscitò non poco clamore. L’occasione per riaccendere i riflettori su questo curioso protagonista del XX secolo è la recente pubblicazione di una sua opera per i tipi de Il Palindromo, con il titolo “Elogio del fantastico” – curata e tradotta da Andrea Scarabelli.
  • Nato l’8 agosto 1912 a Odessa da famiglia ebraica, il nostro autore mostrò fin dai primi anni di vita un’eccezionale capacità di lettura: già all’età di quattro anni conosceva il russo, il francese e l’ebraico. Nel 1920 la famiglia decise di emigrare in Francia, considerata la temperie di una Russia appena uscita dalla guerra e dalla rivoluzione. Studia a Parigi per diventare perito chimico, e questa coesistenza di interessi tra la scienza e la fantascienza lo seguirà per tutta la vita. Affermerà che il solo interesse della scienza è che fornisce idee alla fantascienza – in ciò richiamando J. R. R. Tolkien, secondo il quale attraverso la letteratura fantastica l’uomo esercita la propria prerogativa divina di creare.  Può alimentare la sua fame di letture con la scoperta della rivista americana Argosy e accostandosi ai più grandi nomi della fantascienza americana giunti in Europa all’epoca della Grande Guerra.  Nel maggio del 1940 scelse il fronte della resistenza, prima a Tolosa poi a Lione, dove rimase dal settembre 1940 al novembre del 1943, quando fu arrestato dalla Gestapo e inviato nel campo di prigionia di Mauthausen, ove rimarrà fino al 5 maggio 1945.  A meta deli anni ’50 incontra Louis Pauwels. I due non hanno niente in comune: Pauwels è un giornalista e romanziere, interessato all’occultismo e alla metafisica orientale, mentre Bergier disprezza ciò che non appartiene in primo luogo al metodo scientifico. Tuttavia, tra loro nasce una grande amicizia, che porterà alla scrittura del famoso libro sopra citato, il quale aprirà la strada al “realismo fantastico” – un’abile sintesi di scienze naturali, indagini nel paranormale, alchimia e fantascienza, nel tentativo di approdare ad una “vera” realtà che dilatasse gli orizzonti della conoscenza umana.
  • Nell’idea di Bergier, il fantastico doveva essere estratto dalle viscere della terra, del reale. Non si tratta di una fuga dalla realtà, ma di un contatto con la realtà quando questa viene percepita direttamente, non filtrata dal sonno intellettuale, attraverso le abitudini, i pregiudizi, i conformismi. In “Elogio del fantastico” ripercorre la storia del romanzo di fantasia e della fantascienza attraverso dieci autori, i quali avevano offerto ai propri lettori universi coerenti, differenti dal nostro, aperture e interpretazioni di realtà parallele, inattese e affascinanti.  Fu il primo a riconoscere in Francia l’importanza di J. R. R. Tolkien, Abraham Merritt, Robert E. Howard, Arthur Machen, John Buchan, Talbot Mundy, John Campbell, C. S. Lewis, Stanislas Lem, Ivan Efremov, definiti “autori magici”, la cui penna è un potente scettro, per i quali sorge un’ammirazione incondizionata, scevra dal benché minimo senso critico (“Admirations” è il titolo originale del volume). Queste “ammirazioni” sono così coinvolgenti da trasportare il lettore nell’anticamera delle opere e forse incoraggiare alcuni editori a intraprenderne la pubblicazione.  Fra gli altri, l’americano Abraham Merrit è descritto come l’ideatore della fantascienza e del fantastico moderno; esordì come giornalista agli inizi del XX secolo e in seguito compì spedizioni archeologiche in Messico. Di ritorno negli Stati Uniti, pubblicò il romanzo “Il pozzo della luna”, che accese la scintilla in autori che sarebbero diventati molto famosi, come H.P. Lovecraft e Jack Williamson. L’8 novembre 1924, sulle pagine di Argosy, uscì la prima delle sei parti de “Il vascello di Ishtar”, anch’esso pubblicato da Il Palindromo, un altro capolavoro che si caratterizza per l’ambientazione fuori dal tempo e per il marcato erotismo. In quel mondo, difficilmente accessibile dal nostro, naviga in eterno il vascello di Ishtar, dea babilonese dell’amore, e di Nergal, dio delle tenebre. Sulla nave, per metà d’ebano e per metà d’avorio, si scatena la lotta tra le forze dell’amore e della distruzione, tra il calore umano e il grande cielo cosmico.
  • Passando a Tolkien e a “Il signore degli anelli”, reso ancor più celebre dalla trasposizione cinematografica di Peter Jackson, Bergier afferma che nulla può essergli accostato per ampiezza dell’immaginazione, l’arte della costruzione, lo splendore vivo delle scene; si tratta di un libro “situato al di là del tempo, che vivrà in eterno”. La narrativa di Tolkien risponde ad un bisogno nobile di rettitudine e purezza: immagina un universo parallelo in cui vivono gli hobbit insieme a molte altre creature, piante intelligenti, demoni e maghi. A poco a poco, questo mondo diventa così reale che il suo autore inizia a disegnarne le mappe, a inventarne la cronologia, le lingue parlate e scritte; descrive una lotta tra bene e male che coinvolge poteri infinitamente più grandi dell’umanità stessa. Com’è noto, la battaglia si sviluppa attorno a nove anelli che conferiscono un enorme potere a chi li indossa ma, al contempo, lo distruggono in caso di ambizioni egoistiche. Sarà un umile e semplice hobbit a portare l’ultimo anello, il definitivo, che elargisce il potere illimitato.  La psicoanalisi insegna che vi è in ognuno di noi una naturale tendenza al piacere, che viene costantemente repressa dalle esigenze della vita ordinaria in società e dagli ostacoli della realtà. La scienza e la filosofia non sono altro che aggiustamenti razionali, con i quali si cerca di sopperire ad una perenne delusione. Le ideologie politiche e forse anche le religioni sono ulteriori prodotti di questa insoddisfazione. Gli universi immaginari provengono da queste fonti e costituiscono un mondo ideale che può dare spiegazione a quello terreno ovvero fornire modelli di comportamento e di azione alla maniera delle utopie classiche.   Il fantastico rappresenta dunque la manifestazione della VERA realtà, percepita direttamente e non filtrata dal velo dei pregiudizi che hanno retto e infestato la modernità? Se realistico e fantastico non sono dimensioni contrapposte, ma visioni del mondo che è UNO, autori come Bergier vogliono riportare l’uomo a quell’unità perduta da lungo tempo. “Bruscamente, le porte accuratamente serrate nel secolo XIX sulle infinite possibilità dell’uomo, della materia, dell’energia, dello spazio e del tempo, stanno per volare in pezzi. Le scienze e le tecniche stanno per fare un formidabile balzo, e la natura stessa della conoscenza sta per essere rimessa in questione. Ben altro che un progresso: una trasmutazione. In questo diverso stato del mondo, la coscienza stessa deve cambiare stato. Oggi, in tutti i campi, tutte le forme dell’immaginazione sono in movimento. Tranne nei campi dove si svolge la nostra vita storica, sbarrata, dolorosa, con la precarietà delle cose superate. Un immenso fossato separa l’uomo dalla vicenda dell’umanità, le nostre società dalla nostra civiltà. Noi viviamo su idee, su morali, sociologie, filosofie e infine su una psicologia, che appartengono al secolo XIX. Siamo i nostri bisnonni. Guardiamo i missili salire verso il cielo, la nostra terra che vibra di mille nuove radiazioni […]. La nostra letteratura, i nostri dibattiti filosofici, i nostri conflitti ideologici, il nostro atteggiamento di fronte alla realtà, tutto questo dorme dietro porte che sono appena saltate. Giovinezza! Giovinezza! Andate a dire a tutti che le aperture sono fatte e che, ormai, l’Esterno è entrato”. Sono parole che Bergier e Pawlson pronunciarono ne “Il mattino dei maghi” oltre mezzo secolo fa, ma rimangono di stringente attualità – data la mancanza di coraggio nell’aprirci a quelle infinite distese del cosmo interiore che potrebbero finalmente dissipare la paura dell’ignoto e spalancare nuovi e vasti orizzonti.
  • Le idee su cui si è fondata la civiltà moderna sono logore. Nata dal fervore di idee nell’Europa del secolo XVIII, fiorita nel XIX, ha sparso i suoi frutti in tutto il mondo nella prima metà del XX, ma ora sembra allontanarsi da noi. Il punto di rottura è vicino. Noi ci poniamo, ora come moderni attardati, ora come contemporanei del futuro. La nostra coscienza e la nostra intelligenza ci dicono che non è affatto la stessa cosa. 

  • (Pubblicato su "L’Intellettuale Dissidente" il 2 novembre 2018)