SullImpero

  • Aristotele,
  • “Sull’Impero.  
  • Lettera ad Alessandro”,
  • a cura di Filippo Cicoli e Filippo Moretti,
  • presentazione di Giuseppe Girgenti,
  • (Mimesis, Collana: A lume spento,
  • diretta da Luca Gallesi, 2017, pp. 122, € 9,00).
  • Recensione di
  • Michele Ricciotti

 

  • Gli studi aristotelici hanno nell’ultimo anno ricevuto ulteriore linfa vitale grazie al lavoro di studiosi impegnati a difendere la “classicità” di un’opera, quella dello stagirita, che con l’affermarsi di talune tendenze filosofiche contemporanee rischia sempre più di venir soffocata nella stretta morsa di un’immagine da manuale volta a rintracciare nel grande allievo di Platone poco più che un anticipatore della logica contemporanea. Tra i lavori che recentemente hanno contribuito a restituire l’autentica potenza del pensiero aristotelico va senz’altro menzionata la nuova traduzione della Metafisica a firma di Enrico Berti ed edita per Laterza. Più modesta, ma assolutamente rilevante, è l’operazione di due giovani studiosi, curatori di una dibattuta Lettera ad Alessandro, in libreria per i tipi di Mimesis.

 

  • Il volume si pone come un’integrazione del pionieristico lavoro di Francesco Ingravalle, che aveva portato ad una prima pubblicazione della lettera ad Alessandro edita sempre per Mimesis (Lettera ad Alessandro sul governo del mondo, Mimesis, Milano-Udine 2013), priva però del testo latino, e rappresenta una vera novitas rispetto alla canonica letteratura accademica. Non è un caso che il volume venga pubblicato in una collana, diretta da Luca Gallesi, non nuova a pubblicazioni “non conformi” (tra gli altri titoli della collana troviamo opere di autori “maledetti” o comunque per lo più estranei alla cultura ufficiale quali Bachofen, Sombart, Rensi, Spann, nonché la prima traduzione del Tao te Ching di Lao Tse a cura di Julius Evola).
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  • L’opera, pur offrendosi come un volumetto breve ed agile, presenta una struttura ricca ed articolata. La Presentazione di Giuseppe Girgenti ricostruisce la vicenda “editoriale” della lettera ad Alessandro, dando conto anche delle principali voci di studiosi che hanno assunto posizione intorno alla questione dell’autenticità - dunque dell’effettiva “aristotelicità” - del testo.  La prima parte del volume è costituita da una Premessa a firma dei due curatori, una nota editoriale, una Introduzione cui segue la traduzione italiana della lettera, a sua volta seguita dalla versione latina del testo, edita intorno alla fine del XIX secolo e curata da J. Lippert sulla scorta della versione araba (la più antica, l’originale greco non essendoci pervenuto).  La parte seconda precede una breve bibliografia ragionata e consta di tre saggi integrativi a firma dei curatori.
  • Soffermandosi per un momento sul contenuto della breve epistola, va notato che da essa emerge chiaramente un’idea di virtù tipicamente aristotelica, per non dire classicamente greca, che viene definendosi come quella disposizione che consente di ben amministrare la polis. A proposito del reggitore dello stato, l’autore della lettera ad Alessandro afferma che «è necessario che quest’uomo sia intelligente e probo, che non solo eccella per prontezza, giustizia e virtù, ma anche in potenza e forza militare, per condurre con forza il popolo alla legge» (p. 37). È del tutto evidente come, alla base di queste riflessioni, volte ad istituire uno stretto legame tra virtù, giustizia e legge, vi sia un modo di concepire l’etica che rimanda al significato originario del termine ethos (che indica appunto l’abitazione, il luogo dello “stare”) piuttosto che ad un orizzonte piattamente morale. Non stupisce, allora, che una tale concezione “classica” del rapporto tra etica e politica si trovi riaffermata, passando attraverso la mediazione latina, nella grande stagione rinascimentale italiana e in particolare nel Machiavelli.  Degna di nota anche la riflessione intorno alla tirannide, considerata come degenerazione di un “principato” retto da chi ha saputo ordinare lo stato secondo i principi che governano la propria anima, in accordo con la lezione platonica.
  • L’epistola, come ben sottolinea Moretti nel suo saggio integrativo, si colloca all’interno della tradizione letteraria che vede per protagonisti il filosofo, colui che sa, e l’uomo di governo. Tale insopprimibile tendenza ad intervenire nella politica da parte del filosofo, poi ribattezzata “sindrome di Siracusa” (il riferimento è ovviamente al platonico tentativo di indirizzare la politica del tiranno siracusano Dionigi) è ravvisabile in testi quali lo Ierone di Senofonte, il De clementia di Seneca, lungo una via che conduce direttamente al Principe di Machiavelli (inutile ricordare come tale strettissimo legame tra filosofia e politica non venga meno nel ’900, si pensi al rapporto di Martin Heidegger con il regime nazionalsocialista o di Giovanni Gentile con quello fascista, per fare solo due tra i nomi più noti).
  • Il saggio di Moretti passa rapidamente in rassegna questi classici della filosofia politica leggendoli come figure di un vero e proprio itinerario fenomenologico volto a chiarire sempre di più il complesso rapporto tra sapere e potere e disvelandone, da ultimo, la natura intrinsecamente aporetica. Aporeticità dovuta allo scoprirsi sempre impotente di un pensiero che anela all’affermazione di sé, che anzi porta a compimento tale affermazione proprio riconoscendo il suo costitutivo limite.
  • Cicoli ripercorre i nodi concettuali in un ben riuscito sforzo di attualizzazione delle principali questioni sollevate dall’autore della lettera che, seppur legata ad una situazione contingente e storicamente ben determinata - la vittoria di Alessandro a Gaugamela e la necessità di gestire nuovi territori e nuove popolazioni - squaderna tematiche decisive per la riflessione politica o, più precisamente, teologico-politica fino al XX secolo e ancora tutt’altro che esaurite. Segnatamente, si insiste sul rapporto tra impero e popolo quale viene profilandosi lungo le pagine (pseduo?) aristoteliche, il popolo rappresentando per l’autore della lettera quella materia che necessita di essere in-formata da un principio ordinatore che ne dica l’unità. L’impero viene tratteggiato come un tale principio, ed il principe come colui che con ferma virtù e una adeguata paideia amministra gli urti e gli sconquassi dovuti agli alterni umori delle genti governate non meno di quelli della natura. Cicoli conclude infatti la sua riflessione affermando che qualora il sovrano non fosse in grado di assolvere alla sua funzione di reggente, ecco che non resta che affidarsi all’imprevedibilità della natura, le cui calamità «porteranno in prima istanza terrore e morte ma anche la possibilità di un nuovo inizio» (p. 88).  
  • Il saggio che chiude il volume tenta di ravvisare una continuità tematica e concettuale nel pensiero aristotelico, comprendendovi l’epistola. Il merito dei due curatori è a questo proposito rinvenibile nel difendere l’autenticità del testo senza fare ricorso ad eccessive quanto autoreferenziali puntigliosità filologiche, ma analizzando il nucleo propriamente filosofico della lettera e mettendolo in relazione con le principali opere aristoteliche, segnatamente l’Etica Nicomachea, la Politica e la Metafisica, ravvisando un filo rosso che le collega, sì da poter stabilire una volta per tutte che se «raggiungere la certezza della paternità aristotelica del testo è impossibile», ciò non toglie che si possa «tentare di individuare nello spirito del testo chiari assunti o idee tipiche di Aristotele» (p. 16). È evidente che se tali sono le - a nostro avviso più che legittime - conclusioni, diviene una questione secondaria stabilire se le pagine dell’epistula siano state effettivamente vergate dallo stagirita, assumendo invece una questione di primo piano cogliere lo spirito che le informa e le anima.