• Giuseppe Rensi 2
  • Giuseppe Rensi
  • ed
  • Andrea Emo
  • Protestantesimo e Modernità
  • di
  • Giovanni Sessa

Andrea Emo

  • Da tempo andiamo affermando la centralità, nel dibattito teoretico europeo del Novecento, della filosofia italiana. E in essa, di alcuni autori che, per ragioni diverse, hanno finora avuto un’attenzione critica non adeguata alla loro rilevanza speculativa. Di tali intelligenze scomode e coraggiose, estranee alle appartenenze accademiche “forti”, fecero parte Giuseppe Rensi ed Andrea Emo. Uomini e pensatori diversi per indole ed atteggiamento nei confronti della vita, che condivisero un profondo interesse per il Protestantesimo, da entrambi letto quale essenziale matrice del Moderno.
  • Rensi, ricorda Fabrizio Meroi in uno scritto puntuale ed informato, si confrontò con il pensiero protestante per oltre un trentennio[1]. Il filosofo veronese esordì, in tema, con un articolo apparso su “Critica Sociale” il 16 dicembre del 1906, intitolato Il nuovo protestantesimo[2]. Nel medesimo lasso di tempo, egli iniziò la collaborazione alle pagine di “Coenobium”, rivista ascrivibile all’ambito della religione riformata, grazie alla chiamata di Enrico Bignami e Arcangelo Ghisleri. Fu redattore-capo del periodico sino all’esplosione del primo conflitto mondiale, quando il suo interventismo conflisse con il neutralismo pacifista di Bignami. Sotto il profilo speculativo, il pensatore stava superando le scorie della iniziale adesione al positivismo ed era sul punto di sposare la causa idealista. La vocazione di erudito e di curiosum, in senso classico, che connotava la sua personalità, lo induceva a contrastare l’adesione a qualsivoglia religione rivelata. Si interessò, allora, di mistica e di spiritualità orientale, sulla scorta di una profonda spinta etica che accompagnò il suo iter speculativo anche nella fase propriamente scettica. Le tesi espresse nell’articolo citato sono influenzate da tale contesto di riferimento.
  • Ne Il nuovo protestantesimo, Rensi sostenne che le ricerche storiche e dogmatiche di ambito protestante svolgevano una funzione stimolante per il rinnovamento del cattolicesimo stesso. Più in particolare, il protestantesimo moderno avrebbe radicalizzato la dimensione soggettiva del fatto religioso, ciò colpiva sia la reductio cattolica del Cristianesimo alla Chiesa, che l’identificazione luterana della fede con la Bibbia. Interpreti per eccellenza di tale atteggiamento di pensiero nell’ambito riformato, erano allora Louis-Auguste Sabatier ed Étienne Giran. Quest’ultimo negava, a dire di Rensi, non solo la natura divina del Cristo ma la stessa sua “superiorità” umana. Il protestantesimo contemporaneo, rileva acutamente il pensatore, ha la propria base teologica nella rivelazione permanente: “E’ un assurdo pensare che la rivelazione di Dio sia operata in un libro[…]essa invece è permanente, e solo si compie sempre in modo atto ad essere compresa dalle menti di ciascuna epoca[3]. A tale posizione teorica è consustanziale la tesi della “cancellazione della tradizionale distinzione tra credenti e negatori[4]. Per cui, paradossalmente, la vera credenza è l’incredulità, la vera religione è l’irreligione. Rensi ritiene che tale lettura induca il Cristianesimo a farsi “assoluto”, a divenire semplicemente “spirito religioso”, in quanto la religione, come qualsiasi altro elemento del reale, ha uno sviluppo dialettico che conduce alla negazione, alla distruzione. La cosa, naturalmente, era letta in termini positivi dal filosofo. Commenta Meroi: “Il protestantesimo liberale[…]e il cattolicesimo modernista[…]assurgono alla statura di manifestazioni ottimali ed auspicabili[…] in quanto del cristianesimo stesso rappresentano la negazione”[5].
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  • E’ l’approccio iniziale all’idealismo, realizzato sotto il segno dell’immanentismo, a determinare gli aspetti salienti dell’ esegesi rensiana. L’incontro con il neo-hegelismo anglossassone trascendentista, lo indurrà, in seguito, a correggere tale approccio. Il Protestantesimo si trasformò, nella nuova fase, in“oggetto di una valutazione[…] che ne rispetta l’effettiva configurazione religiosa[6]. Durante gli anni Venti, dopo esser pervenuto al momento scettico, il veronese sostenne lafilosofia idealista poter conciliarsi, sotto il profilo religioso, solo con il Protestantesimo. Tali forme di pensiero sono unite dall’idea della realtà quale perpetuo divenire. Per tale ragione, a differenza del Cattolicesimo, la religione riformata non è riuscita nel corso della storia a tacitare e controllare, in senso catecontico, l’impulso di “sovversione e negazione”, che la costituiva ab origine[7]. Interessante, per le obiezioni rivolte alla religione protestante in sé, è la prefazione rensiana alla traduzione italiana dell’Athéisme di Felix Le Dantec del 1925[8]. In essa, oltre alla polemica contro il neo-protestantesimo di Giuseppe Gangale, si evince come il principio di critica, consustanziale all’originaria Chiesa riformata, di fatto venga negato dai neo-protestanti attraverso l’atteggiamento di rifiuto preconcetto, messo in atto nei confronti degli atei. Causa di ciò, il veritatismo gnoseologico, la credenza nell’assolutezza del vero, che si traduce in aperta discriminazione delle minoranze, che lo scettico Rensi non poteva di certo tollerare.
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  • Per un aspetto essenziale, Rensi si accosterà, durante lo sviluppo del suo pensiero, al Protestantesimo. Tale aspetto va colto nella suggestione paolina. All’inizio degli anni Dieci, egli fece più volte riferimento a Paolo al fine di costruire un’etica eteronoma. Trascendenza, uscito nel 1914, è il testo più sistematico del Rensi idealista-trascendentista. Le sue pagine si aprono con una citazione paolina rinviante alla costruzione di una morale fondata in Dio. Negli anni Trenta, invece, il ricorso a Paolo si manifesta nell’elaborazione del tema della “morale come pazzia”[9]. La follia è intesa come rinuncia ad ogni schema morale centrato sulla ratio, è “follia della croce” comportante la rivalutazione della grazia-predestinazione. L’interesse del filosofo per tali tematiche, lo indusse a prendere parte, nel 1933, al campo-convegno delle “Associazioni Cristiane dei Giovani” e a pubblicare un volume, Motivi spirituali platonici, con un editore di fede evangelica[10]. Nonostante tale prossimità, Rensi non fu un cripto-protestante ma, probabilmente, come rileva Meroi, un “ateo” tra credenti.
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  • La filosofia di Andrea Emo, ascritta dalla critica alle ontologie negative, è una delle esperienze di pensiero più radicali, in senso etimologico, del Novecento. Il pensiero del nobile veneto si muove in direzione del Principio, ma lo scopre infondato. Per Emo, che nei Quaderni (ancora in parte inediti) si è lungamente confrontato con il tema della fede, essa viene di fatto a coincidere con l’esercizio della filosofia. Tale tesi pare antitetica a quanto Heidegger sostenne in Introduzione alla metafisica, sulla incompatibilità di filosofia e fede. In realtà, la fede emiana ha il tratto della impossibilità, in quanto caratterizzata in termini di negatività, perdizione e rinuncia. La storia è, a dire del filosofo, il luogo in cui si mostra la volontà di potenza che “si fonda su una fede[11]. Nel mondo degli uomini, il volere produce immagini, in quanto il nostro approccio al reale passa attraverso la dimensione rappresentativa. Ebbene, la religione, in quanto fede, esercita un’azione iconoclasta, “rivela il nulla, in cui la pura immagine consiste[12]. Nella prospettiva emiana la religione è l’altro volto dell’arte: questa metamorfizza il nulla immaginale in un positivo visibile, la fede custodisce la negatività dell’immagine come puro vuoto, la vacuità interiore testimoniata delle cattedrali gotiche e dell’Inferno dantesco. Queste le premesse generali dell’esegesi del Protestantesimo, prodotta dal filosofo veneto. Per Emo l’Umanesimo fu momento apicale della società cristiana, che produsse la Riforma quale suo parto più rilevante. Il Luteranesimo, infatti, nega “il valore intrinseco e permanente dell’opera operata[…]ciò che per gli antichi Greci significava tanto l’operare come pura attività, quanto l’opera come suo stante risultato[…] si manifesta come puro operare gratuito il quale non ha altro ‘scopo che sé’”[13].
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  • Nel secolo scorso, due forze si opposero, per Emo, al pieno esplicarsi dell’essenza della civiltà cristiana liberata dalla Riforma, il comunismo che ha instaurato una forma di servitù politico-economica senza precedenti, e la Chiesa cattolica. Il Concilio di Trento si oppose al principio della sola fides, lo spirito iconoclasta venne arginato e la verità cristiana che “si crea in quanto si nega”, relegata nella marginalità ereticale. Il cattolicesimo contemporaneo, dopo il Concilio Vaticano II, si è posto al passo con i tempi, divenendo la quint’essenza delle società liberal-democratica. La cosa paradossale è che, in tale itinerario, incontrò il protestantesimo, ridotto a moderno pelagianesimo “venendo incontro a quell’illuminismo democratico che[…] costituisce l’origine della mentalità dominante nell’epoca attuale[14]. Il totalitarismo contemporaneo, la democrazia epidemica della governance, nella quale il popolo è stato espropriato di sovranità e decisione politica, è la risultante dell’incontro tra cattolicesimo e pelagianesimo protestante. Pertanto, secondo il filosofo veneziano-patavino, il conflitto del nostro tempo va individuato “nello scontro tra una civiltà dei valori preesistente al Cristianesimo[…]e il Cristianesimo stesso[15]. Detto in altri termini, l’essenza del Cristianesimo, esplicitatasi con la Riforma, rappresentò il riemergere dei culti agrari e cosmici, il ritorno del “dio negativo” che muore e rinasce, in contrapposizione ai valori apollinei espressi tanto dalla religiosità olimpica classica, quanto dalla rigidità monoteistica ebraica[16].

  • [1] Cfr. F. Meroi, Giuseppe Rensi. Filosofia e religione nel primo Novecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2009, in particolare cap. II, Rensi e il protestantesimo, pp. 55-87.
  • [2] Cfr. G. Rensi, Il nuovo protestantesimo, “Critica sociale”, XVI (1906), n. 24, pp. 373-376.
  • [3] Ivi, pp. 374-375.
  • [4] Ivi, p. 375.
  • [5] Cfr. F. Meroi. Giuseppe Rensi, cit., p. 58.
  • [6] Ivi, p. 62. Tale posizione la si evince da G. Rensi, Prefazione del traduttore, in J. Royce, La filosofia della fedeltà, Laterza, Bari 1911, pp. V-XXIV.
  • [7] Cfr. G. Rensi, La religione nelle scuole [1920], in Realismo, pp. 11-16; Id., Il Papa [1922], in Reazione, pp. 11-16.
  • [8] Cfr. F. Le Dantec, L’Ateismo, prefazione di G. Rensi, Casa Editrice Sociale, Milano 1925.
  • [9] Per tutto ciò, cfr. F. Meroi, Giuseppe Rensi,cit., pp. 72-79.
  • [10] Cfr. G. Rensi, Motivi spirituali platonici, Gilardi e Noto, Milano 1933.
  • [11] Cfr. R. Gasparotti, Il cristianesimo e il dio negativo, in A. Emo, Quaderni di metafisica 1927-1981, a cura di M. Donà e R. Gasparotti, prefazione di M. Cacciari, Bompiani, Milano 2006, p. 1370.
  • [12] Cfr. Ibidem.
  • [13] Ivi, p. 1372.
  • [14] Ivi, p. 1373.
  • [15] Ivi, p. 1374.
  • [16] Su questo aspetto e più in generale sulle posizioni emiane, ci permettiamo di rinviare al nostro, La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di A. Emo, prefazione di R. Gasparotti, Bietti, Milano 2014.