• Heidelberg romantica
  • Heidelberg romantica
  • Romanticismo tedesco e nichilismo europeo
  • di
  • Giampiero Moretti
  • (Editrice Morcelliana, Brescia 2013, pp. 272, euro 20,00)
  • a cura di
  • Giovanni Sessa

  •  Il destino dei libri è imponderabile. Un autore non sa mai effettivamente per chi scrive, a chi effettivamente, con le sue pagine e i suoi pensieri, si rivolga. Di fronte a sé, oltre la pagina bianca, ha un pubblico anonimo e senza volto. La fortuna di un libro è data dall’incontro con il lettore “giusto”, animato da empatia e rispetto per il testo. Saper suscitare interesse partecipato è ciò che distingue lo scrittore di vaglia da chi non lo è. Alla prima categoria appartiene Giampiero Moretti, docente di Estetica all’Università di Napoli “L’Orientale” e germanista di rango. Lo testimonia, tra le altre opere della sua produzione saggistica vasta, diversificata e di primissimo livello, il volume Heidelberg romantica. Romanticismo tedesco e nichilismo europeo, da qualche tempo ripubblicata in nuova edizione dall’Editrice Morcelliana. Quali le ragioni di questa nuova edizione ampliata, riveduta e corretta?...

 

  • Non solamente la necessità di tornare a presentare, alla luce della più aggiornata bibliografia, un’opera significativa della germanistica contemporanea. Il libro, infatti, è qualcosa di più: si tratta, a nostro modo di vedere, di un classico in argomento, non soltanto per la profondità dei contenuti, ma anche per il tratto affabulatorio della prosa di Moretti.
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  • L’autore si impegnò nella stesura della prima edizione del volume fin dal 1981, anno nel quale iniziò il soggiorno biennale a Friburgo che gli permise di approfondire, attraverso fonti dirette, lo studio del Romanticismo tedesco. Ciò lo indusse a porsi oltre le impostazioni ermeneutiche degli autori allora ritenuti imprescindibili al fine di decifrare l’anima della Romantik: Blumenberg, Marquard, Frank e perfino di quegli studiosi che si riconoscevano nella prospettiva strutturalista. Infatti, fino a quel momento, e la cosa è davvero rilevante, Schlegel e Novalis erano stati interpretati quali precursori dell’idea moderna di soggettività. Solo Alfred Baeumler, nel 1926, inascoltato (anzi vituperato, ma non solamente per questo giudizio storico!) aveva richiamato l’attenzione del mondo letterario europeo, sull’esistenza di una doppia anima del movimento romantico in Germania. Lo aveva fatto in un volume intitolato da Winckelmann a Bachofen (l’edizione italiana è curata da Moretti ed è contenuta nell’antologia Dal simbolo al mito, Milano 1983) nel quale rilevava l’esistenza di due realtà romantiche, l’una facente capo a Friedrich Schlegel e definita “Romanticismo di Jena”, l’altra, insospettata, nata dall’occasionale incontro di Creuzer, Görres, Arnim e Brentano ad Heidelberg e destinata a trasmettersi in eredità ai Grimm e a Bachofen. Ecco, il libro di Moretti è costruito su questa traccia lasciata da Baeumler, anzi l’approfondisce, la dilata in una serie di analisi e rimandi intellettuali, al fine di rendere evidente la frattura spirituale che divise radicalmente i due “romanticismi”.
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  • L’iter dell’autore è complesso e articolato e si snoda nelle analisi organiche e dettagliate della “stazioni” che, dall’interno, costituiscono i momenti salienti della formazione dell’animus romantico tedesco. Così, mentre nella prima parte Moretti attraversa criticamente la produzione dell’antesignano dell’Heidelberg romantica, Josef Görres, e prosegue presentando l’opera di Friedrich Creuzer, dei fratelli Grimm e, soprattutto di Johann Jakob Bachofen, teorico dell’originario Matriarcato, nella seconda parte del volume compie l’esegesi del pensiero tedesco da Herder a Friedrich Schlegel e giunge a prospettare il problematico rapporto di Nietzsche, latore della frattura rivoluzionaria nel secolo XIX, con il romanticismo. Nel terzo capitolo viene affrontato il tema, a nostro giudizio, più rilevante e di strettissima attualità, dell’intero libro: prossimità e distanza di Romanticismo e nichilismo.
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  • L’incipit del volume è una presa di distanza dalle analisi di Baeumler. Infatti, mentre i romantici di Heidelberg nel riportare alla luce il mito ne determinarono una positiva valorizzazione, il filosofo vicino al nazionalsocialismo, richiamandosi peraltro impropriamente alle posizioni della Filosofia della Mitologia di Schelling, distinse nettamente la temporalità storica da quella mitica. Lesse, cioè, in modo assolutamente paradossale gli studiosi di Heidelberg, appiattendone il pensiero su tesi di filosofia della storia e non, come avrebbe dovuto, di simbolica della storia. Per questi autori la distinzione di storia e di mito non arrivò mai a significare, come accadde nelle concezioni dialettico-idealiste degli jenesi (al riguardo non si sottovaluti la pervasiva formazione hegeliana di Baeumler) una rinuncia alla misteriosa vigenza del mito nella storia. Il mito, nella loro prospettiva, resta il sempre possibile. Lo studio di Moretti mette in chiaro come il tema centrale per questi studiosi fosse la ricerca dell’origine nonché la discussione del suo ruolo nella storia del cosmo-natura e dell’uomo. Il loro cammino principiò da una visione della natura totalmente estranea alla sensibilità illuministica, quantitativa ed utilitarista, e giunse al recupero di alcuni motivi della filosofia rinascimentale neoplatonica, sopravvissuti alla marea montante razionalista grazie a Leibniz e, in parte, a Spinoza. Al centro di tale dibattito si pose Herder che rappresentò il medium tra il vitalismo dello Sturm und Drang e la tematizzazione dell’origine in Görres. Egli pensò il “bello” oltre gli schemi settecenteschi e l’esaltazione della forma di Goethe e Schiller. Il “bello” appariva ai suoi occhi come particolare manifestazione della natura in quell’attività umana che è l’arte.  La dimensione della natura e, più in generale, del “fare” umano, (in ciò, oltre l’arte, è da intendersi la storia), sono lette come provenienti dal medesimo luogo.  Del resto, la vita e l’esperienza creativa trovavano sintesi nell’analogia, tratto connotante in profondità il reale.
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  • I romantici, ponendosi sulla scia di tali intuizioni, formularono l’ipotesi di un’iniziale rivelazione divina comune a tutti i popoli. Insomma, ad Heidelberg, da Görres a Bachofen, gli esponenti del pensiero romantico svilupparono l’idea herderiana di organismo, inteso in senso cosmico sacrale. La modernità si annunciò successivamente, quando Nietzsche abbandonato l’ordinamento simbolico del cosmo con il suo correlato gnoseologico, il pensiero analogico, fece si che il dionisismo romantico di fatto incontrasse la dimensione nichilista. Lo si evince nella terza e più significativa parte del volume in cui l’autore, dopo aver presentato l’essenza del nietzschianesimo, si interroga sul debito romantico in autori quali Spengler, Klages e Baeumler. La conclusione cui Moretti perviene è la seguente: il nichilismo non è implicito nella Romantik. Esso si mostra solo con la rottura dell’ordine simbolico romantico. Per primo Spengler ne Il Tramonto dell’Occidente, per influsso di Dilthey e dei neokantiani, pervenne a presentare la diversità radicale che opporrebbe la morfologia della storia a quella della natura. Egli separò, nonostante i richiami formali a Goethe, ciò che i romantici avevano unito. Il mondo storico è interamente pensato all’interno dell’orizzonte soggettivista nietzschiano. Nelle pagine del Tramonto, suggerisce il nostro germanista, viene meno quell’idea di tradizione che aveva consentito ai pensatori di Heidelberg di interpretare analogicamente il mondo senza scadere nell’irrazionalismo. Pertanto, la civiltà mitica è secondo Spengler inattingibile per i moderni. Profondità e origine non hanno più senso nella sua opera. Egli colpisce al cuore la pretesa heidelbergeriana di sacralizzare il divenire. Il femminile è ridotto a fattore a-storico, mentre in precedenza era considerato (Bachofen) sovrastorico e destinale.
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  • Klages, contrapponendo anima e spirito, rappresenta un tentativo di ripresa della linea romantica, in particolare bachofeniana. Ma anche in lui il rapporto con l’origine è mediato dal pervasivo influsso di Nietzsche. Solo nella coscienza umana avverrebbe, a suo dire, l’incontro tra le due potestates cosmiche, vita e volontà di dominio dell’oggetto. Si fece così latore di una disciplina dell’anima (grafologia e caratteriologia), che potesse consentire di pre-vedere il destino della comunità e dei singoli. Dissentiamo da Moretti su un punto: è vero, il Romanticismo tentò la sacralizzazione dell’esistente come tale, ma non tutti gli esponenti della Romantik tentarono la conciliazione di paganesimo e cristianesimo. Anzi! Nietzsche, in questo senso, non fece, nella sua critica al cristianesimo, che sviluppare tesi romantiche. Nella medesima prospettiva si muove Klages che, pertanto, non è in contraddizione, con la sua esaltazione del mondo pre-cristiano e con il recupero di tematiche bachofeniane. Baeumler, invece, e qui l’autore coglie perfettamente nel segno, conduce la posizione nietzschiana alle estreme conseguenze nichilistiche, nel momento in cui definisce riduttivamente la coscienza a campo d’azione della volontà di potenza. Jünger nell’Arbeiter proseguirà questo tipo di percorso intellettuale ed esistenziale.
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  • Riflettere sul Romanticismo e soprattutto sul suo retaggio nella contemporaneità implica, come mostrato con persuasività di accenti da Moretti, un confronto serrato con il nichilismo. Forse, tornare ad interrogarsi su questo aspetto, può essere utile anche a quanti guardino al pensiero di Tradizione in termini di risoluzione della crisi aperta dalla modernità. L’approccio attivo all’idea di Tradizione di Evola, nonostante i ripetuti dinieghi, ci sembra dover molto all’idea dell’origine sempre possibile maturata ad Heidelberg.


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