• Svarto
  • di
  •  Teodoro Klitsche de la Grange
  • adelchi
  • Religione e letteratura ci hanno tramandato tanti esempi di traditore da Giuda in giù; e il traditore – in generale - è il complemento abituale di chi detiene potere. Ma spetta a Manzoni di aver tratteggiato con Svarto il tipo ideale dei traditori all’“italiana”, tante volte riapparso nella storia del paese.   In primo luogo per la motivazione del tradimento: se Jago è tale per invidia, Günther e Hagen per denaro, Svarto tradisce per fare carriera.   Già nella presentazione del personaggio, cioè il monologo di Svarto nel I atto dell’“Adelchi” Manzoni ce lo spiega chiaramente.   Infatti il longobardo dice:

 

  • “Un messaggier di Carlo! Un qualche evento,
  • Qual ch’ei pur sia, sovrasta. – In fondo all’urna,
  • Da mille nomi ricoperto, giace
  • Il mio; se l’urna non si scote, in fondo
  • Si rimarrà per sempre; e in questa mia
  • Oscurità morrò, senza che alcuno
  • Sappia nemmeno ch’io d’uscirne ardea…..
  • Se in questo tetto i grandi
  • S’adunano talor, quelli a cui lice
  • Essere avversi ai re; se i lor segreti
  • Saper m’è dato, è perché nulla io sono

  • È conscio di essere una nullità e che senza una “buona” occasione, lo rimarrà:
  • “Chi pensa a Svarto? Chi spiar s’affanna
  • Qual piede a questo limitar si volga?
  • Chi m’odia? chi mi teme?”
  • Non è temuto né odiato (né amato): non suscita alcun sentimento. Ma ha un rovello interiore incontenibile: diventar “qualcuno”

  • “Oh! se l’ardire
  • Desse gli onor! se non avesse in pria
  • Comandato la sorte…Oh! quanto
  • Stupor vi prenderia, quanto disdegno,
  • Se ci scorgeste mai che un sol desio
  • A voi tutti mi lega, una speranza…
  • D’esservi pari un dì!”
  • Ma Svarto capisce bene qual è il vantaggio di essere oscuro rispetto a chi sta…sotto i riflettori:

  • “A tutti voi
  • Io leggo in cor; ma il mio v’è chiuso”.
  • E convince i duchi longobardi ad affidargli la missione di trattare l’accordo con Carlo Magno proprio sfruttando la propria “invisibilità”
  • “Io v’andrò. Duchi, m’udite.
  • Se alcun di voi quinci sparisce, i guardi
  • Fieno intesi a cercarlo; ed il sospetto
  • Cercherà l’orme sue, fin che le scopra.
  • Ma che un gregario cavalier, che Svarto
  • Manchi, non fia che più s’avvega il mondo,
  • Che d’un pruno scemato alla foresta”
  • Poi, nel III atto Svarto raccoglie i frutti della missione: dopo la rotta dei longobardi alle chiuse, Carlo lo nomina conte di Susa, dandogli quello che s’aspettava: il prezzo del tradimento. Ma non la propria stima (a Svarto ed ai Duchi traditori) infatti in disparte dice al franco Rutlando:

  • “Rutlando, ho io chiamati
  • Prodi costor? Pur troppo. Errato ha il labbro
  • Del re. Questa parola ai Franchi miei
  • In guiderdon la serbo. Oh! Possa ognuno
  • Dimenticar ch’io proferita or l’abbia”, pentendosene quindi subito. Immediatamente dopo entra in scena il longobardo Anfrido, morente e sorretto da due Franchi, e Rutlando così lo presenta    “Ecco un nemico… Il solo che pugnasse, è costui”... Carlo ammirato esclama “Rutlando,  Ecco un prode” e ad Anfrido   “O guerrier, perché gittavi
  • Una vita si degna? Che, a noi cedendo,
  • Guerrier restavi e non prigion di Carlo?”.
  • Anfrido conferma la propria fedeltà ad Adelchi: e Carlo risponde al moribondo:
  • “Tu porti
  • Teco la nostra stima. È il re de’ Franchi
  • Che ti stringe la man, d’onore in segno,
  • E d’amistà. Nel suol de’ prodi, o prode,
  • Il tuo nome vivrà”.

  • C’è poi il monologo, nel IV atto dell’Adelchi, di un altro traditore, ma più tormentato, Guntigi. Il quale a differenza di Svarto, che tradisce senza remore, ne ha qualcuna. In primo luogo tra il desiderio di conservare quello che ha (diversamente da Svarto è un duca) e il giuramento di fedeltà, residuo di una certa nobiltà d’animo e dell’onore di ceto. Ma il timore di perdere ciò che possiede lo fa tradire: se Svarto è un traditore in carriera, Guntigi è versipelle per conservare ciò che ha. L’uno certat de lucro captando; l’altro de damno vitando.
  • Diversi per nascita, fortuna, funzioni, Svarto e Guntigi hanno in comune d’agire per l’interesse (personale): entrambi – diversamente da altri tipi di traditori che lo fanno per un motivo ideale (o ideologico) o comunque per l’interesse degli altri – lo fanno per il loro tornaconto. Il primo per progredire, l’altro per non scendere.

  • Perché Svarto (e in misura minore Guntigi) è il “tipo ideale” del traditore all’italiana – compresa l’Italia post-moderna? Perché ne ha tutte le caratteristiche principali: in fondo Svarto – e i suoi cloni – li potete incontrare tante volte, anche in un film di Sordi (e non solo).
  • Il longobardo è oscuro, ambizioso, amorale e soprattutto privo di qualsiasi inclinazione al bene – e all’interesse – pubblico. È tutto volto al privato (proprio). La distinzione tra pubblico e privato in lui è completamente assente; non la sente e non la capisce perché ne è privo: neppure ne sospetta l’esistenza. Guntigi, che un po’ di quella ancora ha, ne è l’espressione meno potente; è con Svarto che il “Franza o Spagna, basta che se magna” diviene – ante litteram – la confessione di fede del versipellismo nazionale.   L’amoralità del longobardo è tale in senso radicale. Questa non consiste in quello che si rinfaccia in genere ai politici (e alla politica) che non è assenza di morale, ma assenza della morale comune, ma comunque è morale (come scriveva Croce- anche se spesso tra l’una e l’altra si fa confusione).  E con  essa, dato che la morale politica è essenzialmente la dedizione al bene comune, Svarto ha l’indifferenza all’interesse della comunità. Altra caratteristica che si può riscontrare nelle opere (non - ovviamente - nelle parole) di tanti personaggi della storia moderna e della cronaca recente.   Poi l’oscurità: anche qui se pensate agli ultimi trent’anni di storia italiana c’è tutto un pullulare di personaggi talvolta di modesta estrazione sociale, ma, per lo più, politici di serie B che, dopo tangentopoli, hanno fatto carriera nella “seconda repubblica”; a distanza di tempo ottenendo soprattutto l’effetto di far rimpiangere quelli detronizzati. Anche se non tutti sono traditori (nel senso di Svarto) molti hanno cambiato casacca, idee, partiti e probabilmente padroni (raramente palesi, per lo più occulti) con noncuranza. Quanto all’ambizione molti ce l’hanno ma per lo più i traditori post-moderni somigliano a Guntigi più che a Svarto.  La loro bandiera è - come diceva Longanesi - il Tricolore con su scritto “Tengo famiglia”. E a differenza di Guntigi che sottolinea il proprio coraggio nell’affrontare il rischio del tradimento, di rischi ne corrono pochi o nessuno: per cui neppure del coraggio si possono ammantare.
  • Manzoni, col personaggio di Svarto ha ricordato caratteri (e conseguenze) del tradimento (politico), che attengono all’essenza del rapporto e del “politico” in genere.    In primo luogo la considerazione del traditore: è utile, ma degno di disprezzo. Il nemico si affronta in battaglia, ma lo si riconosce come combattente legittimo. È una conseguenza collaterale della distinzione romana (e romanistica) tra nemico e criminale. Il nemico, partecipe di una comunità che si fonda sul rapporto di protezione (dal capo al seguito) e di correlativa fedeltà (dal seguito al capo), si rispetta, il traditore no: lo si giudica.  L’ultima scena dell’Alexander Nevsky di Eisenstein, dove il condottiero russo salva i prigionieri teutonici, ma il traditore viene linciato dal popolo ne è una rappresentazione cinematografica quanto mai espressiva. Il traditore rompe il rapporto (protezione/obbedienza), quindi è in se infido e non lo si può considerare un vero seguace (né, ovviamente, un suddito leale). Anzi usa l’intrigo e l’inganno mascherandosi da fedele: è un ipocrita, il peggiore dei sudditi possibili, come faceva notare Molière a Luigi XIV, perorando la causa del suo Tartuffe.

  • In secondo luogo la ricordata indifferenza all’interesse comunitario (il bonum commune), e la considerazione solo di quello proprio. Un traditore siffatto è inutile alla creazione e mantenimento di un qualsiasi ordine politico: questi divergono per tante cose, ma convergono nella necessità che vi sia un bene comune che vada perseguito. Al contrario di un traditore “ideologico” che crede in una società e una sintesi politica altra da quella che combatte, e quindi può divenire il più fedele dei sudditi di un diverso regime politico (come capitato tante volte nel secolo scorso, della guerra civile europea/mondiale), gli Svarto sono inutili, anzi dannosi a qualsiasi ordinamento, perché tutti si fondano sullo scopo di realizzare il bene comune (variamente inteso).   Infine la modesta estrazione del longobardo mostra come l’ambizione, che in sé non è un dato negativo, possa diventarlo. E ancor più, che il tradimento è tanto più pericoloso quando è perpetrato da coloro che fanno parte della cerchia del potere e/o dell’aiutantato del potere (Miglio) cioè dei seguaci del capo “inseriti” nell’organizzazione politica. Svarto non fa parte del “volgo disperso” ma è un cavaliere longobardo: quindi aiutante del potere.  Manzoni nell’Adelchi ha creato un dramma che ai giuspubblicisti ha dato vari spunti ai quali, da ultimo, occorre aggiungere – anche per l’attualità – Svarto; l’Adelchi si può considerare come il dramma dell’unità e dell’indipendenza politica degli italiani: alle quali gli Svarto (sotto qualsiasi soprabito) sono stati – e sono – quanto mai nocivi.