• Lo sguardo velato...
  • di
  • Vitaldo Conte
  • Sguardo velato
  • Resta velato nella misura in cui lo spirito umano si sottrae.
  • Velato, di fronte alle opposizioni che, vertiginosamente,
  • si rivelano, nel fondo per così dire inaccessibile che è,
  • secondo me, l’estremo del possibile.
  • G. Bataille
  • La Mistica Arte, nelle sue molteplici apparenze e maschere – visibili e di pensiero –, è sempre stata, in ogni epoca, “luogo” e “costruzione” di espressioni. Nel suo interno movimento, al di là dell’immagine scelta, ha evidenziato presenze innovative, talvolta “estreme” (per risultati e significati) nella ricerca di essenze oltre, anche nelle sue valenze di desiderio.
  • La pulsione a spiritualizzare l’esistenza e la materia stessa può ricercare, nella sua esperienza artistica, un’immagine che può essere espressa in una riconoscibile raffigurazione ma anche in una significante astrazione. Non a caso nelle Sacre Scritture c’è l’indicazione di non fare scultura e immagine “delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto terra” (Deutoronomio, 5,8). Di questa istanza diversi artisti si sono fatti interpreti: Mondrian, uno dei pittori del XX secolo maggiormente sensibile alla teosofia, ha trovato nell’astrazione neoplastica il suo ideale di purezza e assoluto.
  • Un’immagine d’arte, intrinsecamente mistica, ricerca il sacro nel corpo del suo stesso procedimento e linguaggio usato. Anche la sua astrazione, fino alla rarefazione monocroma, può permettere una visibilità creativa che si protende analogicamente verso un oltre e i limiti “ultimi”. In questi si disperdono i confini non solo tra il visibile e l’invisibile ma anche tra sé e l’altro.
  • Parlare – oggi – di arte astratta può significare poco: molta dell’espressività contemporanea (tranne qualche persistente risvolto di figurazione) può considerarsi un’astrazione linguistica. I sacri personaggi che “volano” spesso nei quadri non sono forse un’oltre della loro stessa immagine visibile?   Le autentiche visioni della mistica creativa sono sempre emozionanti, in quanto si riappropriano della propria componente poetica. Queste espressioni, nell’arte contemporanea, anche quando ricorrono a una icona riconoscibile, risultano talvolta “celate” da un velo o da una maschera simbolica. Possono divenire un linguaggio che “entra” nei territori dell’anima e della psiche con i loro percorsi e rituali. Per “arte mistica” si può intendere tutta quell’area dell’arte che attinge al sacro come archetipo dell’inconscio, dove risiede insieme al profano e con tutte le altre dualità connesse. Come nota Jung l’inconscio non è solo una forza naturale, cieca e crudele: è anche sede del luminoso e demoniaco, del sovraumano e dello spirituale. Le tracce dei “di-segni” dell’inesprimibile possono essere molteplici come le direzioni di uno sguardo.
  • Negli sguardi del sacro come arte c’è la volontà insita negli artisti di confrontarsi, attraverso il proprio lavoro, con l’oltre e la morte. È un insopprimibile desiderio (origine di ogni operazione artistica) di esistere in eternità: la scrittura e l’arte si alimentano di questa pulsione per esorcizzare il senso dello smarrimento e della perdita.    La rappresentazione di qualsiasi sguardo sul sacro passa attraverso una sua ipotetica visione, che non implica un modo specifico di espressività o di tecnica più opportuna per poterla realizzare.   L’arte sacra, negli ultimi tempi, ha vissuto una profonda decadenza: gravata da esigenze di committenza e insegnamento. Un’opera d’arte per essere sacra non basta che abbia come soggetto una iconografia religiosa: dovrebbe agire sull’immaginazione e interiorità dei fedeli. L’arte iconica (a soggetto religioso) ha rischiato e rischia frequentemente di sconfinare nel devozionale e didascalico. Lo scollamento dell’arte dalla committenza ecclesiastica, esploso nella prima metà del Novecento, ma già incipiente sul finire del secolo precedente, non è tuttavia causato dal distacco dell’arte dalla spiritualità. Questo colloquio è stato svilito da operazioni esclusivamente commerciali di cui spesso i mercanti d’arte del sacro si sono serviti. Non si richiede che l’artista debba essere obbligatoriamente un uomo religioso: molti artisti “dannati”, nel corso dei secoli, hanno sentito, infatti, la necessità di esprimere opere con soggetti sacri. Diversi di questi autori, che si ritenevano fuori dalla verità spirituale, si sono dimostrati invece intensi testimoni di questa.
  • Accanto alle opere di figura, indispensabili per esempio al culto cristiano (crocifisso, immagini della Madonna e dei Santi), le opere non-figurali possono avere anch’esse sui fedeli un’azione religiosa coinvolgente, come accade per la poesia e la musica. La non-figurazione è dunque un’ipotesi per esprimere una forma intrinsecamente mistica, coinvolgente la propria visione interna, favorendo nel contempo un’azione attuale di “arredo” spirituale. Il soggetto dell’arte non deve essere solo un pretesto: per farlo diventare opera d’arte necessita di un autentico linguaggio-pensiero. Ciò accadeva anche quando il committente decideva il soggetto: tra le innumerevoli Madonne con il bambino, dipinte nei secoli passati, poche sono, infatti, quelle che hanno sublimato il soggetto grazie a un linguaggio-pensiero d’arte.
  • La mistica, come spazio di un movimento segreto, diviene perturbante creazione anche nelle sue espressioni “celate”, in quanto c’è il rischio di ritrovarsi davanti all’immagine del proprio stesso sguardo riflesso. Senza velo non può esserci svelamento, né verso il volto del sacro né verso il volto del desiderio profano: senza misteri da scoprire entrambi i campi s’impoveriscono, mancando la pulsione della conoscenza.
  •  
  • Il sacro nello sguardo velato è un linguaggio che “entra” nei territori dell’anima e della psiche con i suoi simboli. Non a caso “prendere il velo” è stato ed è sinonimo di una donna vicino al rito delle nozze, in cui la componente del mistero e sogno si unisce con il pudore del non rivelarsi ancora totalmente allo sguardo dello sposo: “Quanto sei bella, amica mia, / quanto sei bella! / Gli occhi tuoi paiono colombi /attraverso il tuo velo” (Il Cantico dei Cantici).   Il velo, negli antichi testi sacri, vuole superare il dato reale per proiettarlo nella trascendenza assoluta, in cui il mistero dell’infinito, eterno e impalpabile, sfugge in continuazione, attraverso i mille volti di un’essenza. La stessa parola “rivelazione” indica una parzialità di conoscenza di qualcosa che rinnova il proprio velare. Il velo, nascondendo il mistero sacro, segna il limite tra il campo dell’umano e quello del divino.   Il velo, che nasconde il sacro, è un “passaggio”. Lo sguardo velato del divino costituisce un imprevisto specchio di svelamento per le nudità interiori dell’essere. Questo volto rivolge il suo sguardo verso qualcuno: la sua nudità è rivelazione, che può esigere l’artificio di un velo per nascondere, a chi non è ancora “dentro”, la propria essenza. Desiderare il divino implica una relazione intima, talvolta lacerante, anche di passione, che può esigere un velo di protezione.
  • La visione di un’apparenza dello sguardo divino può essere, talvolta, sufficiente per suscitare la follia nell’uomo, possedendolo senza che ne abbia coscienza. Lo sguardo nudo del dio necessita di un velo perché non può essere incontrato “davanti”: “per accostarsi ad esso occorre accettare di affrontarlo e di cadere simultaneamente sotto la fascinazione del suo sguardo, con il rischio di venire strappati a se stessi e proiettati nell’altrove. (…) vedere la figura del dio significa essere invasi da una potenza estranea, posseduti da un delirio che, se non vi distrugge, quantomeno vi trasforma dall’interno” (J. P. Vernant).
  • Il sacro, come sguardo celato, riguarda naturalmente Raimondo de Sangro (1710-71), singolare personaggio dagli svariati interessi: filosofo, letterato, scienziato, studioso del soprannaturale, inventore eccentrico. A lui si deve la sistemazione della Cappella sepolcrale dei Sansevero, nel centro storico di Napoli, a cui dedicò gli ultimi venti anni della sua vita, affidandosi ai migliori scultori del tempo. L’immagine d’insieme della Cappella è, come è stato rilevato, quella di “un piccolo scrigno d’arte, avvolta in un alone di fascino e di mistero”, che rappresenta la sua testimonianza spirituale. Gli artisti idearono opere emblematiche per il secolo, usando artifici ed estremi tecnici di marmo, per raffigurare volti e corpi coperti da un velo, anch’esso marmoreo. Sono le cosiddette “statue velate”: Il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino, La Pudicizia di Antonio Corradini, Il Disinganno di Francesco Queirolo. In queste statue il piacere eclettico dell’artificio barocco – “vertigine carnale” (J. Baudrillard) della simulazione – risponde alle esigenze segrete di “nascondere”, appunto, il volto del Sacro all’inizio di un percorso spirituale.
  • Queste “statue velate” costituiscono un marmoreo blocco unico con il tutto, che risponde a una esigenza segreta, criptica: “gli umori corrodono il marmo” troviamo scritto. Il Cristo velato simboleggia il trionfo della vita sulla morte: sintesi sublime di morte e rinascita che è presente in diverse e antiche iniziazioni pagane. Il velo, elemento tipicamente esoterico, ha dunque una funzione e un invito: quello di velare un segreto e un limite dell’oltre. Il segreto può essere – a portata di sguardoper a chi è pronto a svelarlo con il proprio interiore guardarsi, divenendo “fedele” di fede e d’amore. Lo sguardo velato può diventare così Mistica Arte.