Heidegger Junger Bompiani


  •  Il
  • "colloquio"
  • Heidegger, Jünger, Evola
  • di
  • Giovanni Sessa

Di fronte alla spaventosa crisi sistemica che attanaglia quelle che furono le liberal-democrazie, sia in termini di rappresentatività politica che in termini economici, molti hanno rilevato l’urgenza di costruire Altre Sintesi teoriche, che consentano di individuare un’effettiva via d’uscita dallo stato presente delle cose. Ebbene, perché ciò accada, uno degli snodi speculativi che va di certo affrontato, è quello relativo al senso e al significato che nella contemporaneità assume la Tecnica. Tema questo, la cui centralità è stata evidenziata da alcuni tra i più rappresentativi maîtres à penser del Novecento.
 
 

   
Una recente pubblicazione ci induce a riannodare le fila del discorso in argomento. Si tratta del volume del filosofo Martin Heidegger intitolato Ernst Jünger, pubblicato da Bompiani nella   collana “Il pensiero occidentale”. Nota introduttiva e traduzione si devono a Marcello Barison. Il testo raccoglie, per la prima volte in edizione italiana, tutte le testimonianze del confronto critico che il filosofo svevo intrattenne con l’autore de Il lavoratore, nel lasso di tempo che va dal 1934 al 1954. Vent’anni davvero decisivi per il pensiero e la storia d’Europa. Un primo merito che va ascritto a questo libro è relativo alla traduzione: Barison è riuscito a trasporre in un italiano sintatticamente elegante e comprensibile le asperità del linguaggio heideggeriano, mostrandosi degno continuatore dell’azione svolta, in questo stesso senso, dal suo illustre predecessore, Franco Volpi. Il lettore può facilmente verificare la qualità del lavoro, confrontando la traduzione con il testo tedesco a fronte.
  
Gli scritti heideggeriani raccolti nel volume sono, inoltre, particolarmente significativi: Annotazioni su Ernst Jünger, redatto tra il 1934 e il 1940, Colloquio su Jünger, il testo di una conferenza che il filosofo tenne nel gennaio 1940 per colleghi dell’Università di Friburgo, Forma, manoscritto del 1954 pubblicato in Appendice, nonché tutte le glosse che Heidegger ci ha lasciato a margine dei libri dello scrittore che più lo interessarono, tra i quali Il lavoratore e Foglie e pietre. Nell’Appendice il lettore troverà anche un manoscritto dell’inverno 1939, intitolato Lettera ad un singolo combattente.
    
Il colloquio tra i due intellettuali ebbe inizio, lo ricorda lo stesso Heidegger, nel 1932, anno della prima edizione de Il Lavoratore. Il filosofo seppe trarre dalle pagine jüngeriane, elementi esegetici essenziali per la comprensione di ciò che è, dell’essenza della modernità. Individuò, in Jünger e nelle sue posizioni, l’unica plausibile prosecuzione novecentesca del nietzscheanesimo. Ciò gli permise di cogliere lo spirito, l’essenza del secolo XX, nella volontà di potenza cristallizzatasi per la prima volta nella Grande Guerra, conflitto di materiali e tecnologia, tempesta d’acciaio per il nostro continente. Essa risulterà anche per Heidegger l’imprescindibile chiave d’accesso all’età contemporanea, epoca eminentemente filosofica. La volontà di potenza di Nietzsche, ultimo metafisico, nel secolo XX si farà nel Gestell, nell’Impianto tecnico-scientifico di controllo e manipolazione della natura e dell’uomo, storia e mondo. Più in particolare, dopo un’iniziale adesione alle tesi jüngeriane sulla Tecnica, pur continuando a riconoscere allo scrittore l’appartenenza a quella categoria antropologica che Quirino Principe ha definito degli uomini a sé, Heidegger iniziò a prendere le distanze dalle sue posizioni in argomento.  
    
Infatti, il realismo eroico di Jünger si limitava a salutare con approvazione gli eventi tecnici e storici della propria epoca, fallendo innanzi al compito non più eludibile (che anche oggi resta tale ed invariato): il passaggio dal definitivo compimento della metafisica nella Tecnica, in direzione di un’altra storia, di un’altra modernità. Il tema tipicamente heideggeriano del Nuovo Inizio, risulta eluso dalla prospettiva jüngeriana. Elemento questo in grado di spiegare come le opere successive dello scrittore, a partire da Sulle scogliere di marmo, abbiano recuperato la visione religiosa, entro certi limiti la stessa prospettiva cristiana. Così Heidegger in merito: “Non appena nell’elementare lodato a gran voce, non si mostri alcuna via d’uscita e rimanga soltanto la misera approvazione delle pretese del tempo presente come ultima verità…allora compaiono gesti di lode verso ciò che è cristiano” (p. 49).  Tale atteggiamento è palese nel trattato Sul dolore, da cui si evince il legame, inevitabile e saldo, del lavoro universalizzato con il dolore.
  
Non è casuale che, di Jünger e de Il lavoratore, si sia interessato Julius Evola, esponente di primo piano del pensiero di Tradizione nel secolo scorso. Egli ha scritto sul tema un saggi o pubblicato nel 1943 su Bibliografia fascista, nonché il noto volume del 1960, L’Operaio nel pensiero di E. Jünger. Nei due scritti, Evola fa riferimento alla necessaria “mutazione” interiore che dovrebbe intervenire nel tipo dell’ “Operaio”, affinché questi possa effettivamente farsi interprete di una trasformazione epocale, capace di superare lo scacco nichilista del presente. Il riferimento è ad aperture all’alto, ad un’idea trasfigurante in grado di ridestare energie e potenze sopite in un mondo che ha assunto la forma del cantiere globale, ma che ha smarrito la capacità della vera creazione. Ci pare, pertanto, che dalle pagine di questa raccolta organica di scritti, sia possibile rilevare una sintonia tra le lettura heideggeriana e quella evoliana rispetto all’opera di Jünger: non solo riguardo alla necessità di andar oltre la dimensione puramente attivistica e vitalistica propria de Il lavoratore, ma anche in relazione alla critica degli aspetti “religiosi” delle ultime produzioni dello scrittore tedesco.
   
Ciò è ulteriore prova della posizione di rilievo del pensiero di Evola nell’agone speculativo del secolo XX, ma anche conferma di come la comprensione del problema della Tecnica sia oggi essenziale per descrivere e superare il contemporaneo. Pensiamo che tratti salienti del presente siano l’ : “…universale mobilitazione, l’insofferenza di ogni confine, la liquidazione di ogni ethos. …La de-sostanzializzazione di ogni potere politico” (M. Cacciari, Il potere che frena, Adelphi, Milano 2013, p. 82). Al fine di sviluppare gli anticorpi capaci di determinare una positiva reazione teorico-politica allo stato presente delle cose, riflettere sulle tematiche proposte dal libro qui brevemente presentato è, pertanto, esigenza non più rinviabile.