• Mario Carli Antisnobismo

  • A proposito di
  • Antisnobismo
  • di Mario Carli
  • (Prefazione di Claudio Siniscalchi, Aspis Edizioni, 2020)   
  • Sandro Giovannini
  • a
  • La prima cosa che m’appare lietamente gravida d’ulteriore riflessione leggendo l’informatissima Prefazione di Claudio Siniscalchi al libro di Mario Carli, è in relazione ad un famoso articolo di Volt del 1925 su “Critica fascista” che disegna, tra le prime, una mappa della cultura del fascismo in cinque aree. L’area a cui s’autoassegna (perché Volt se ne sente autorevole parte), ovvero l’“estrema destra”, è quella che trae origine dal futurismo, dal dannunzianesimo, dall’arditismo, reputandosi inoltre la più pura ed intransigente incarnazione dello spirito antiborghese e rivoluzionario. Non è certo la tesi interpretativa che storiograficamente (in re e non in sé) e col passare dei decenni, ha poi preso il sopravvento (a manca e persino a destra) rispetto al giudizio comunque, in genere sommario, su tutte le componenti del movimento, poi regime. Lo stesso Siniscalchi, nella Prefazione, dimostra ad abundantiam che solo per affrancarsi dal turbine demolitorio e tabuizzante delle complessive letture storiografiche pregiudizialmente e/o comunque di risulta antifascista venute ad assommarsi nei decenni del secondo dopoguerra, si è dovuto attendere moltissimo ed in ogni caso - al meglio persino nei pochi casi d’onestà intellettuale - s’intende bene che un velo d’assoluta caligine al proposito è rimasto depositato nel fondo valle interpretativo, probabilmente per ogni tempo a venire. Le analisi storiche e le interpretazioni storiografiche s’affermano sempre sul dopo, su bocce epocali apparentemente ferme, per contare i punti della partita appena definitivamente finita (che poi però fa parte di un girone selettivo mai concorrenzialmente concluso…). Punti e partite altrimenti inafferrabili, seppur fior d’interpreti e di esegeti delle strategie del gioco passato od in corso, s’affannino meritevolmente a cercare di dipanare psicologie delle visioni del mondo e visoni delle mondanità degli autorevoli, con le loro precipue e forse genetiche caratteristiche ideologico-caratteriali, progressive, devianti, trasformative, pragmatiche, etc., 
  • Ma non ho spiegato ancora perché, ad una attenzione non troppo tesa, potrebbe sfuggire il mio sottolineato moto di sorpresa. Che quelle tre o quattro caratteristiche precipue che avrebbero potuto definire od autodefinivano la cosiddetta “destra fascista” fossero poi, magari quelle che in altri contesti e momenti relazionali nazionali od internazionali, potessero anche essere reputate, a ragione od a torto magari più frequentemente di altre, di “estrema sinistra”. Ovviamente ambiguità quasi necessitate di allora, in quei primi anni molto più fluidi e polivalenti e non certo del dopo, appunto, a gioco più o meno stabilizzato od a bocce del tutto ferme. Così accompagnandoci per mano a capire che, definire esaurientemente ogni percorso secondo il suo svolgimento fattuale e senza scorciatoie interpretative o riassunti di risulta, è impresa oltremodo ardua. Complicata ancor più se si vuole tracciare un percorso paradigmatico oltre ed ultraindividuale percorrendo onestamente le molte variazioni di visione del mondo di cui, ad esempio, Carli è stato, progressivamente ma indubbiamente, un protagonista per certi versi archetipico e comunque uno sperimentatore inesausto. Infatti parte giovanissimo da Firenze nel primo decennio futurista con la collaborazione assidua alla “Difesa dell’arte”, “…animata da spirito garibaldino, socialisteggiante, antimonarchico e anticlericale” (pag. X), di taglio anarco-individualista, antidannunziana e persino in parte antimarinettiana, pur sempre ecletticamente avanguardista, rivista diretta da Settimelli, poi fedele amico di una vita d’avventure culturali, all’“Italia futurista” di Settimelli e Corra del 1916 e quasi contemporaneamente fondando con Marinetti e Settimelli “Roma futurista”. Giornale del Partito politico futurista”. Poi, da futurista integrale e conseguentemente “nazionalista modernista” è interventista e sul fronte volontario come ardito, da soldato semplice fino a capitano, pluridecorato. Promuove, il 1 gennaio a Roma, ed il capitano Ferruccio Vecchi ripete il 19 gennaio a Milano con sede a casa di Marinetti, l’Associazione fra gli Arditi di Guerra, programmaticamente legate al futurismo politico, con il trimestrale “L’Ardito”, sezioni poi rifluite nell’Associazione Nazionale Arditi d’Italia, che ha avuto vita lunga e problematica. Poi San Sepolcro, l’apertura della sede del fascio a Roma, e l’avventura fiumana, ancora ufficiale in servizio, con la rivista “Testa di ferro”, prima a Fiume e di seguito a Milano. “…Il fallimento politico congiunto - per diverse ragioni - di D’Annunzio e Marinetti lo obbliga a ricercare una strada nuova (…) …Si chiude così la seconda stagione della vita di Mario Carli. La prima (1909-1914) l’ha trascorsa da letterato ed agitatore d’avanguardia, (…) …la seconda , invece (1915-1920), l’ha vissuta da rivoluzionario, da ‘esteta armato’.” (pag. XVI)  Dopo “Noi arditi” 1919 ed “Il nostro bolscevismo” 1920, manifesti vari, romanzi, novelle… “…La terza stagione (1921-1925) della vita di Mario Carli si inaugura con l’uscita a Milano, nel 1922, del primo numero de ‘Il Principe. Settimanale dell’Idea Monarchica’, fondato da Carli e Settimelli. E’ un salto politico notevole:…” (pag. XXIV). Ed oltre al salto politico è un bruciare le tappe di successivi riposizionamenti, che in altro personaggio (meno geniale di lui) ed in altri tempi (meno convulsi ma anche meno anticipatori di futuro), sarebbero stati del tutto improponibili. Per lui inizia quindi, decisamente, il cammino dentro il fascismo.   L’approdo definitivo di Carli, una sorta di riposizionamento ideologico all’interno della nuova dimensione del tumultuoso movimento in via di trasformazione in regime, è la fondazione, nel marzo del 1923, de “L’Impero” diretto assieme a Settimelli, con il sostegno politico e finanziario ed inizialmente anche programmatico, di Mussolini.   “…La testata si segnala da subito per l’elogio della ‘monarchia assoluta’ e per le venature anticlericali ed ‘aristocratiche’. La necessità di una ‘aristocrazia nuova’ era stata indicata da Alfredo Oriani nel capitolo conclusivo della ‘Rivolta ideale’. ‘L’aristocrazia sta nel carattere - aveva scritto - giacché la sua è unità di azione’. Per Carli il fascismo è la nuova aristocrazia, l’intelligenza rivoluzionaria agli ordini di Mussolini. ‘L’Impero’ si segnala inoltre per l’aggressività del linguaggio, scagliato all’indirizzo dei retaggi del giornalismo intellettuale liberale. Da subito il quotidiano invoca con risolutezza: ‘…l’intolleranza contro i nemici del fascismo opponendosi alla politica del disarmo messa in atto dal governo nei confronti dello squadrismo e battendosi contro qualsiasi ipotesi di compromesso con le altre forze politiche’. Carli considera ‘L’Impero’ la trincea dell’estremismo fascista, nella quale combattono in prima linea futurismo e classicismo, rivoluzione e conservazione. (…) Mussolini, constatata la scarsa attitudine alla disciplina di Carli e Settimelli, favorisce la nascita di un nuovo quotidiano romano, ‘Il Tevere’, mettendoci alla guida un giornalista di totale fedeltà, Telesio Interlandi, caporedattore de ‘L’Impero…’. (pag. XXV- XXVI)
  • Direi che è illuminante ripercorrere le vicissitudini de “L’Impero”, dal 1923 al 1930 anno di chiusura, dall’arcimussolinismo, al “Fascismo intransigente. Contributo alla fondazione di un Regime”, 1926 (=fascismo integrale), sino al “Codice della vita fascista”, 1928, al “…censimento degli scrittori fascisti, omettendo il nome di Gentile...) (1930), esclusione clamorosa se si pensa che nel 1925 Gentile aveva promosso il Manifesto degli scrittori fascisti… (M. Carli, Manifesto di professori, in “L’Impero”, 23 aprile 1925), (pag. XXVIII) fino alla “…‘Antologia degli scrittori fascisti’ (a cura di Mario Carli e Giuseppe Attilio Fanelli, Bemporad, 1931), “…nella quale figurano 150 autori divisi in tre gruppi:…‘scrittori politici, scrittori artisti e scrittori che tengono dell’una e dell’altra categoria, mantenendo naturalmente ben distinte le due attività’. All’interno di ciascun gruppo, inoltre, Carli e Fanelli distinsero gli autori fra rivoluzionari e conservatori…’ Anche stavolta Gentile non è presente, e la sua assenza suscita una valanga di polemiche. Fanelli, due anni dopo in un urticante pamphlet, si sarebbe scagliato direttamente contro le ‘…mistificazioni dell’idealismo gentiliano’, elencando le innumerevoli cariche ricoperte dal filosofo, ritenuto una potenza organizzativa, lontana però dallo spirito autentico della ‘rivoluzione fascista’…”. (pag. XXIX). Il 1928 ha quattro volumi: Colloquio coi vivi, Codice della vita fascista, Giuseppe Bottai, Cervelli di ricambio, nel 1929 Arditismo (revisione del saggio Noi arditi del 1919) ed Antisnobismo (una “frustata alla modernità”), ove raccoglie perlopiù provocazioni sue e risposte polemiche legate strettamente alla concezione (ed al suo stile) nel leggere, selezionare, e tentare di modificare una mondanità (“soprattutto romana”, pag. XXXIX), ricevuta in eredità dall’epoca liberale precedente. Per chi ha poi avuto la fortuna di leggere il fondamentale testo di Quilici padre (Nello Quilici, Origine sviluppo e insufficienza della borghesia italiana, Nuovi problemi, SATE, Ferrara 1932), forse il migliore studio che sia uscito in tutti quegli anni sul problema, può meglio inquadrare, dal punto di vista, ovviamente di una riflessione documentata, ponderata ed organica, ciò che tante riflessioni, pur diversamente crismate, compivano principalmente sul piano dell’intervento ideale, ideologico, polemico. Quindi senza per questo nulla togliere alla verità ed alla forza interpretativa, poetica ed emozionale e direi più ampiamente comunicativa, di diversi ed afferenti talenti. Carli, nel 1930, dà termine all’avventura de “L’impero” e pubblica L’italiano di Mussolini. Romanzo dell’era fascista; nel 1931 Carducci e la nuova Italia e L’antologia degli scrittori fascisti. Nel 1934 Il mio cuore tra i reticolati, chiude la sua vita di scrittore, tra nostalgia della giovinezza e tenuta ideologica. Nominato console nel 1932 muore nel 1935. Mario Dessy (Milano 1902 - Roma 1979), suo ammiratore ed amico, sansepolcrista, futurista e direttore della seconda serie mensile della rivista marinettiana “Poesia”, dall’aprile al dicembre del 1920 (9 numeri in 5 fascicoli), apre, oltre la presenza dei futuristi storici, a molte nuove e diverse componenti italiane ed europee: Valentine de Saint-Point, Helene Picard, James Joyce (A Memory of the Players in a Mirror at Midnight); Ezra Pound (The Study in Aesthetics); Corra, Marinetti, Buzzi, Julien Ochsé, Camille Mauclair, Angel Cruchaga Santa Maria, d'Annunzio, Ada Negri, Alexandre Mercerau; Pedro Prado, Fred G. Bowles, Louis Payen, Jean Cocteau, Jorge Luis Borges, etc... Compare anche un profilo di Ezra Pound di Carlo Linati, seguito da alcune poesie. Ogni mensile presenta inoltre un profilo di uno scrittore italiano con un ritratto in riproduzione illustrata applicata su carta: Paolo Buzzi, Emilio Settimelli, Bruno Corra, Mario Carli. Dessy nel 1939 sposa la moglie di Carli ed omaggia la figura dell’amico scomparso con Mario Carli, la poesia, l’Italia, Le stanze del libro, Roma 1943. In limine. I due fondi Carli e Dessy sono ora conservati collegati, dal 2010, al Mart di Rovereto…  
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  • Si fa presto a dire “Stato Etico”, oggi, con quell’inflessione tasmasica di disprezzo che automaticamente gronda da ogni parlato. Residuati dallo “Stato di Diritto”, contraltare logico del primo, per una serie di scivolamenti epocali solo accelerati dalla globalizzazione, ma insiti nella struttura vivente del capitalismo capace di vampirizzare ogni sistema formale, ormai disprezziamo l’alto costo del primo ed abbiamo perso la garanzia minimale del secondo. E siamo in via di ridivenire conseguentemente dei sudditi all’interno delle nuove continentalità autoreferenti in nuova violenta lotta per la supremazia, come sempre…
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  • Ebbene, partiamo dall’oggi per ribaltare l’apparente incongruenza logica di una critica al peggio della cultura borghese di allora… perché questo avevano già intuito, e bene, coloro che, nel costume di ogni giorno, s’opponevano alla prima americanizzazione strisciante, quella che si presentava anche con i toni del “…colera simpatico che noi lasciamo passare sulla nostra terra”. (pag. 28) La vera rottura della autoctonia avveniva, necessariamente, seppur potentemente contrata, già negli anni Venti del secolo scorso e se per tanti versi “…non è stata priva di utili insegnamenti” (pagg. 28, 29) era solo perché chi riconosceva necessaria una più o meno sottile levitas per ribaltare la “vecchia musoneria nostrana”, non poteva proprio non farlo essendo stato il portatore del virus interventista, volontarista, fiumano. Aggiungeva quindi ad un interesse per la diversità tipica di ogni vero pensante uno specifico caratteriale che gli aveva fatto sperimentare molto di più di ciò che i normali borghesi si sarebbero potuti permettere. Ma facendolo in un quadro chiaro ed evidente di visione del mondo. E se la festa della rivoluzione, vestiva alla fine i panni paradossalmente poco colorati ma stilettanti del me ne frego, non era affatto smemorata delle poste epocali, gravide di spasmodica attenzione in (e per) quel gioco sacer.  Quel virus odiava per cromosomi e plasmidi la pompa del borghese panciuto, benpensante e timoroso del primo anteguerra o degli smilzi o sfatti post-aristocratici fatui della mondanità residuale, che poi abbiamo visto ambedue parodiati genialmente nel secondo dopoguerra dal grande Totò, paredri inevitabili e dolorosi dell’altra satira contro la tromboneria di troppe smargiassate del fascismo/regime ammazzato dalla guerra e del risibile trombonismo Vota/Antonio Vota/Antonio, democratico immaginario, normalizzato dalla pace ed in odore inquinato di boom economico.
  • Allora… il vero polemista, non quello finto funzionale al sistema, sarà sempre inattuale, sempre fastidioso ed urticante ed ormai ancor più odioso al “moralismo tartufaceo” della correttezza politica attualmente imperante che fa la persona seria ma non fa affatto sul serio se non d’avallare (seriamente, anzi tragicamente) ogni possibile scorrettezza con chi non segua l’agenda globalista. “…I moralisti se sono sinceri, applichino a se stessi i loro principi: noi che siamo ancora giovani e ci sentiamo equilibrati e sani, sappiamo rifiutare senza rimpianto la cocaina ma non sappiamo rinunciare alla danza, piacere del mondo, gioia di vivere e d’amare espressa in ritmi di bellezza.” (pag. 33)
  • Di fronte ad una impresa titanica come quella di cambiare il carattere di un popolo mitemente (…si fa per dire) devirato da secoli, ogni tipo di proposito come quello che segue, pur riferito al campo delle pure relazioni sociali: “…Questa frolla società che non sa tenere le distanze, che non sa scegliere i suoi ospiti, che non sa distinguere, che mette sullo stesso piano la gente di denaro e l’aristocrazia del sangue o dell’ingegno, questa società che straniereggia e snobeggia a tutt’andare, che insomma non si accorge di vivere in un’epoca di dinamica virilità italiana, merita delle durissime lezioni…” (pag.69) diviene, come si direbbe oggi una “missione impossibile”. Ma proprio adesso e da non molto platealmente, la vista ingombrata e depressoria delle rovine e delle macerie (e, per giunta, alla Augé, le rovine e le macerie, assommandosi, s’autoescludono) ogni potenzialità identitaria, ha di nuovo messo in forse l’assunto della ineluttabilità. Per la sua stessa vittoria, per la sua indubitabile affermazione. “…Vi sono dei contrabbandi sottili – quelli del tono e dello stile – che sfuggono forzatamente a qualsiasi occhio linceo di agente investigativo. Si tratta di riformare tutta un’educazione, tutta una coscienza collettiva, tutta la mentalità di una classe.” (pag. 105) Questo avviene nel bene e nel male. Oggi avviene nel male. Potentemente. Domani potrebbe ritornare nel bene.
  • Certamente quest’ultima affermazione/speranza non comporta alcuna riflessione sulle attuali e future dinamiche per favorire, per riformare, per contrastare, per opporsi, per creare, per determinare, per convincere, per dissuadere… ovvero per mettere in opera tutte quelle dimensioni prometeiche che non aspettano e non possono attendere un ciclo che non si sa quando e come possa nuovamente dispiegarsi, a mo” di un meccanicismo pseudo metafisico. E’ implicata allora (per noi) sempre una partecipazione costruttiva sia pur antiutilitaria e persino crismata dalla dépense e comunque dal sacrificio. Ovvero non siamo affatto nella potenzialità che pur ha avuto, in quel tempo, ora tanto odiato, Carli, ovviamente sempre più tentata che reale, quando scriveva ed operava le cose che scriveva ed operava. Quel tempo è definitivamente passato con i suoi attori di allora.
  • Come si può rivelare invece vivo l’ineliminabile - seppur imprevedibile - eterno ritorno, almeno a livello di credibile visione del mondo a cui si può adeguare - sempre per vocazione autentica - e quindi più che onorevolmente, ogni vita degna di essere vissuta. Coraggiosamente intelligente la scelta di Camilla Scarpa patrona della editrice.