• Eraclito Conflitto 3

  • Nemesi  può attendere
  • qui… dove si puote ciò che si vuole   
  • di   
  • Sandro Giovannini
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  • “Per avere una patria bisogna essersela meritata…”
  • (G. Boni, Arse verse, citaz.
  • da: “Giacomo Boni, il veggente del Palatino
  • di Sandro Consolato, Politica Romana, N° 6, 2000-2004)
  • Spero che la Potenza Divina non si adonti e mi perdoni la blasfemia, sapendo che qui, nelle tre volte umanissime del si puote (non nella sostanza), i nomi sono purissimi (pur, a volte, putissimi) accidenti (=il contingente aristotelico) e vorrebbero non sollevare (…e non solo per furbizia ma almeno per poter solo approcciare un percorso mentale) come perlopiù e purtroppo accade, riflessi narcisistici e motilità pavloviane. Stiamo quindi all’empireo, terrestrizzato dal ragionamento, ma non quello romano, genialmente relazionale, quanto quello greco, coinvolgentemente umano troppo umano…    Ancora: prima di entrare nella dialettica dobbiamo tentare di sgombrare il campo da uno sbarramento spinato pregiudiziale. Esistono, ancora e per fortuna, degli stimati e geniali amici, che costantemente ci richiamano tutti (…od almeno i non insuperabilmente ingabbiati nella propria stessa visione del mondo), alla necessità di “cercare di parlare” con una platea più ampia dei soliti cinque o cinquanta corrispondenti che sappiamo potrebbero convenire, più o meno, con le nostre tesi di fondo. E questi stimati amici non sono di quelli che si potrebbero definire, propriamente, moderati, magari offendendoli ed offendendoci, nel confondere superficialmente il controllo estremo dell’argomentazione, la signorilità del gesto critico e la riflessione mai semplicistica a livello di visione, in carenza di visione o di carattere. Anzi, direi che sono sicuramente tra i non molti che ultimamente si possano veramente stimare, per lucidità, progettualità e coraggio intellettuale. Quelli che consentirebbero con le nostre tesi quindi, dicevamo… più o meno.  Perché necessariamente consapevoli di una lunga serie di illustri conoscitori, della terenziana quot homines tot sententiae… 
  • Infatti sempre più divergono talmente tanto le premesse dalle quali si parte (per via induttiva o deduttiva, poco importa) per poter instaurare un qualsiasi percorso logico che è quasi impossibile non scontrarsi, fin dalle primissime battute, con un moltiplicarsi esponenziale delle ipotesi deviative e/o contrarie. Possiamo poi ben riflettere che questo non nasca solo dal confronto con l’a(A)ltro, ma sia consustanziale all’uomo. (1) Cosa aggravata problematicamente dalla propria non assolutezza (a partire dall’io), proprio per la caduta verticale, nei più, di una vera fede, (in questo nostro ragionamento fede come sistema pregiudiziale di riferimento ontologico), senza peraltro neanche far cessare spesso i suoi effetti di spegnimento dell’hybris da ideazione e di ricondizionamento verso l’umiltà orgogliosa dei confronti, solo perché ci si ritiri - formalmente - da una fede, qualsiasi essa sia. Questo persino quando un “io assoluto” pretenda per sé tutta e unica la via di ricerca e si prospetti un cammino, sbarazzandosi (o tentando di farlo) di qualsiasi cosa che non appaia riscontrabile nel proprio univoco ambito rappresentativo.(2)   Anche nei casi più clamorosamente elevati, di tale ambito, permane la continua presenza dell’ombra di Altro. O di Qualcosa d’altro. Perché vivendo nell’epoca del nichilismo inverato (per tutti, anche per quelli che non ci credono), il vero problema e non solo a livello esperienziale personale ma proprio teorico/filosofico, come dice Benn, è cosa fare del proprio nichilismo, cosa farne in termini di stile di vita e di stile di pensiero, ovvero come orientarsi coerentemente nell’epoca dello svelamento. (3) Di conseguenza, esempio in corpore vili, personalmente preferisco parlare di lealtà piuttosto che di verità. Sembrerebbe un escamotage ma può partire, invece, da un difficile lavoro su di sé. Il fatto che si dia (per me) più credito alla lealtà che alla verità, non potrà comunque mai significarmi (apparente paradosso del non credente che non può credere, in assoluto, neanche in se medesimo), che la verità (magari in veste traslucida di Alto o di altro) non esista o non sia (comunque, parzialmente o totalmente) attingibile. Insomma, è come se la verità fosse un sistema planetario dove è ben probabile essere risucchiati in un universo parallelo, per la tangente accelerata in curvatura e la lealtà un non ben battuto sentiero selvoso non facilmente riconoscibile dall’attenzione inesperta, che però forse non risolve se non il non perdersi del tutto. Cosa che ci darebbe, comunque, spazio e tempo, pur nella nostra spaventosa limitatezza, per ricercare ancora.
  • Vedete?
  • Qui, quasi senza accorgermene ho compito uno sbarramento pregiudiziale (…di metodo personale) pur volendo sinceramente incominciare a sgombrare il campo, come sopra premettevo, per rendere più ampiamente praticabile il percorso logico. Trovandomelo addosso perché, appena approcciatomi alla necessità di allargare la visione, esso si è riconfigurato, in base alla mia esperienza esistenziale.  Pertanto procederei con un forte rimensionamento della pur meritevole speranza che possa includere qualcosa di più di una meno scontata pregiudizialità. Potremmo forse dirci che, acquisire consapevolezza nel campo di tale pregiudizialità, non sia, allora, del tutto inutile, pur non essendo mai risolutivo.
  • Venendo al quia…
  • Qualcuno osserva (persino sgomento) parabole dorate che hanno morso tutto dalla vita (…e lungi da noi ogni invidia, non ne saremmo stati comunque capaci od atti… per vocazione): riconoscimenti sperticati, collusioni teoricamente avverse spesso affascinate, denaro in ogni caso più che bastante, prestigiose cariche istituzionali, incensi accademici, successo raffinato, diffuso, persino grossolano, amori prevedibilissimi di donne e uomini, per interi decenni d’usualità e criptopolitiche spesso concretissime ma sempre ammantate da una cortina di lateralità spavalda, alternativa, cassandresca ed a volte ribalda, persino di gossip il più becero, passando epocalmente ma brillantemente dai contigui del terrore ai rinnegati del terrore (alla Caillois), ridotte in pochi mesi (qualcuna persino in pochi giorni) in cenere, spietatamente schiacciate da una spaventosa potenza di fuoco amico e nemico, poco platealmente messa in mostra fino a qualche anno fa.  La parte più interessante (inquietante) di quest’azzeramento non si riconosce nella delegittimazione becera, copiosa ma facilmente svelabile, ma in quella sedicente colta. Altri intellettuali, precedentemente allineati e coperti sulle posizioni di questi dissidenti, si smarcano improvvisamente buttati giù da cavallo, come da folgore paolina, tra sconcerto, rabbia e rivelazione. Perlopiù, ovviamente, di ex-sinistra. A leggere i loro sconnessi interventi, ove l’unica logica/illogica presumibilmente decente è quella del tradimento (di non si sa quale idealità), si riesce a fare un illuminante florilegio di sottigliezze barbine, di sgangherate incongruenze e di sentimentalismi ex-barricadieri. Questo avviene per i caduti da cavallo. Per quelli invece che - a loro dire - li hanno fatti cadere, qualsiasi siano poi storicamente le contraddizioni evidentissime in cui ormai si sono trovati a vivere tali - a vario titolo - dissidenti, essendosi immessi ormai decisamente nella lettura di una regia diversamente occulta o diversamente condizionata anche delle conseguenze post-pandemiche, si staglia, innegabilmente, una per molti inquietante rotta, in linea con le enigmatiche convergenze parallele di una volta, con altre ben diversamente strutturate e conseguenti visioni del mondo.
  • Tali dissidenti hanno inaspettatamente provato, per lo più per la prima volta e giustamente scandalizzandosene ma finalmente sulla loro pelle, cosa significhi stare in minoranza epocale. Prima non serviva - evidentemente - granché, metterlo in atto, al potere, ma quando i suoi figli discoli e viziati si permettono rumorosamente di protestare… la faccenda cambia. La scossa grossissima l’ha data - ultimo ma veramente primo scombussolato atto di un rivolgimento straniante all’interno di un sedicente processo secolare - il manifesto contro la Cancel culture… Ora che noi si sia accolto tale manifesto come una tardiva ma in parte utile resipiscenza rispetto a derive epocali e sconvolgimenti non più negabili o minimizzabili nella loro violenza realmente eversiva dei residuali istituti identitari e su scala planetaria come sommovimenti sostanzialmente concordanti con la governance globalista, non significa che si possa essere consonanti con quei firmatari che rimangono ancora, non poco residualmente, quanto meno, reticenti. Nessuno può ovviamente pretendere che dei conculcati progressisti divengano formalmente dei pacificati reazionari, cosa che non ci darebbe poi alcuna soddisfazione reputandoci noi dei sostenitori di una diversa modernità e quindi contrarissimi alla stolida e perdente conservazione di scorie storiche e residui sociali (fatto sempre sacrosanto, ovviamente, per quanto possibile, il foro interiore e familiare). Ma chi non è in grado di compiere una profonda e coraggiosa revisione esistenziale (e necessariamente di visione del mondo) non sarà neanche in grado, credibilmente, di prospettare eventuali scenari di fuoriuscita dalla crisi epocale.
  • Non che il potere (non certo quello degli impotenti… contraddizione in termini per chi osi ragionare e qui s’indeboliscono le visioni semplicistiche sul complottare di coloro che non hanno esperienza e conoscenza seria al proposito (è quasi impossibile far comprendere a costoro che la realtà, di norma, supera di gran lunga la fantasia) e fatti sempre salvissimi i centinaia di servizi segreti, che pur qualcosa istituzionalmente devono pur… metterci dentro), (4) non abbia più o meno sempre operato nella storia, con inganno, ipocrisia e violenza dissimulata, (…la traccia metafisica, innegabilmente, anche sopra il costrutto teologico, in Dante, del si puote…).  La differenza è che ora, per la prima volta nella storia in modo così performante e lo aveva anticipato la profetica fantasia dei tanti grandi visionari della storia letteraria e filosofica, i tanti panopticon e tra questi i più “letteralmente” prossimi a noi, quelli alla Huxley od alla Orwell, (5) ci sono mezzi tecnologici che rendono possibile la virtualizzazione sopra ed oltre ogni materialità. La materialità, come è giusto, è rimasta ai grezzi, anche se non guasta mai, di necessità… Non che tale virtualizzazione sia però invisibile. Anzi. Tale visibilità si conforma ai segni (agli strumenti) dei tempi, in fine velocior, tutto passando dall’oracolare, sapienziale e poi filosofico dell’apparentemente Oscuro “…non dice non occulta ma dà segno”, (6) alla più nuvolosa ma beffarda evidenza dell’esperienza anche comune e massiva delle Verità segrete esposte in evidenza. Qui non si tratta di prendere, quindi, più o meno alla lettera la visione spengleriana della storia (occidentale), in qualità di revisione critico filologica di un processo storiografico autodefinitosi all’inizio del Novecento, con ben precise caratteristiche sociali economiche e strategiche e con tutti gli altri famosi precedenti e susseguenti in un tempo che ormai sembra potersi protrarre quasi all’infinito, quanto di capire nel tempo della globalizzazione avverata il caso della questione. Ovvero, il declino, la decadence, e le sue tempistiche… persino il suo stile di reinterpretazione… non già con uno schianto ma con un lamento alla Eliot o con uno schianto non con una lagna alla Pound. (…Ma la battuta oggi potrebbe rendersi davvero circolare).   Perché è poi quello che governa la visione di chi, pur non affaccendandosi apparentemente in problemi filosofici ma in quelli eminentemente geostrategici, (…ma non sono gli stessi?) ora riguarda il mondo rischiare perigliosamente di passare da una dominanza certa a delle co-dominanze probabili. Cosa che invererebbe alquanto, sia pure in grande ritardo e stravolgendone molti dei presupposti e delle finalità, la profezia di Spengler, ma rendendo contemporaneamente solo una metafora (forse valida per tutti) la fine della storia occidentale, sempre ricorrente. Ma ancor più dell’infinita storia sulla decadence (sempre in chiave occidentale… e sì che abbiamo visto ben altri continenti riemergere incredibilmente da precedenti fine della storia!!) è il continuo richiamo ad una possibile fine della storia, tutta in lettura filosofica col dio che muore e poi con l’uomo che muore e poi con la natura che muore.  The outcome of moderrn thought. Ci sono state sempre e permarranno sempre le più diverse e ricorrenti letture filosofiche, sotto la pressione delle varianze geostrategiche, ma al di là delle diverse carature teoriche del pensiero al proposito, nella grande/politica e nella cripto/politica, ciò che conta è tentare di appropriarsi (comunque ed a dritto od a rovescio) del succo della narrazione vendibile per imporne un’utilizzabile dominanza.
  • Ora, per rimanere all’interna dia-tribale sull’incultura della cancellazione e su tutte quelle affini ed afferenti, stante lo svelamento incessante ed in parte inarrestabile, sia pur minoritario, degli irriducibili e la tracotanza immediata, rafforzata dalla caduta definitiva delle remore psico-sociali, dei persuasi, ancora molto ci si tiene, filosoficamente, dietro le quinte, o si ripetono stancamente le retoriche di una sedicente democrazia che non c’è più, sempre che ci sia mai stata… Mentre la quinta essenza negativa, la pesanteur, (7) è allo scoperto, meravigliosamente terrificante, nella sua capacità spavalda di sospingere le masse globalizzate, verso un crinale oltre il quale potrebbe esserci anche solo il baratro, molti intellettuali (e tra questi filosofi, sociologi, costituzionalisti…) occhieggiano (ancora!) per vedere fino a che punto i processi in essere possano definirsi come decisivi o mantengano ancora infide riserve di indecidibilità… Insomma si parva…, come in Italia si manifestò in moltissimi fin agli ultimi mesi della calda estate del ’43
  • Si crede forse che per dire questo noi si abbia la verità nella saccoccia? (soprattutto verso il futuro?) No. Noi siamo solo degli straordinari osservatori, molto ben addestrati dalle battiture mai finite, i marginal/differenziati (o emarginati - tanto nulla cambia nella sostanza - come più o meno ci definivamo già dagli anni Settanta del secolo scorso), dall’impotenza attiva ed a volte sfrenata e sempre serpeggiante e spesso capaci di vedere e non solo guardare, di anticipare e non solo seguire, di creare uno stile e non solo portare le mode altrui e proprio per questo paradossalmente salvaguardati e posti, alla fine di un percorso che rovinosamente trascina tutto e tutti, nella condizione - in parte generazionale in parte ciclica - di poter meglio comprendere. Questo percorso esemplare, al di là dei nostri stessi meriti, ci pone ora in una condizione stranissima ed unica: potremmo avere la rabbia del revenant, ma l’abbiamo già consumata nei decenni precedenti, a vuoto, e quindi ora siamo, come direbbe (sbagliando?) il vulgo, “risolti”, …almeno al proposito della rabbia, prova n’è che s’arrabbiano - squilibrandosi spesso oltremisura e decenza - o le new entries o gli altri, gli ex-persuasi… i dissidenti sopra descritti e che magari da chi dissentiva da decenni si pratichi troppo spesso - evitare comunque le mode! - un’ironica superiormente incongrua, inconsapevolmente applicata anche alle cose sacrosante.   Quindi non abbiamo quella rabies.    Magari quella metafisica/metapolitica.
  • Ma questo non significa che il nostro zoccolo duro non si presti per gli anni a venire a fornire nerbo e struttura alle più impensabili avventure. Diciamo impensabili e diciamo avventure, ragionandoci sopra. I piani ed i progetti infatti si fanno con i dati alla mano: quante divisioni ha il Vaticano, etc, etc… (e sono infatti proprio difficili… li azzeccano in pochissimi), ma poi una Solidarność qui, una rabbia impotente di fondo là, uno scoramento dell’intelligence in aggiunta, il buon lavoro di fondo delle intelligenze avverse, una scivolata nell’illusione plasticata ma luccicante, uno scatenamento della finanza dappertutto, una presa d’atto del fallimento nei cuori più o meno avventurosi e/o impavidi, una molla troppo a lungo tesa che si rompe negli apparati di convincimento, delle inenarrate sofferenze per subite mitologie grandiose e pur parcellizzate ed esaurite a dismisura e mille altre innumerevoli frane conseguenti… qualche Altra cosa e… tutto precipita miserevolissimevolmente. Da un attimo all’altro. Quindi, da parte nostra, s’ammira davvero e potentemente quei veramente pochi che sanno ancora lucidamente ragionare sulle cose complicate del mondo. Potremmo fare i nomi di coloro che - a parer nostro - hanno conoscenza intuito e equilibrio per non seguire le carrette del pensiero scontato e che non parlano solo per partito preso o sono insuperabilmente avvolti ed accecati dalla polvere del tempo. Che pur si è levata alta e minacciosa.   Ma appunto, teste pensanti devono trovare gambe per camminare e noi vediamo ultimamente che la potenza inarrestata del cervello automatico s’infiltra dappertutto.
  • Non soddisfa il nostro lucido progettare??? Può darsi, ma voi considerate le vere, immani, forze in gioco. Dopo un inevitabile reseat ce ne saranno altri sempre più duri ed efficaci. Oltre ogni nostro giudizio di valore. Al di là di chi manovra dietro c’è chi capisce dietro ed ormai pure davanti, magari tardi… ma è questa la grande lezione dell’oggi (ed ancor di più del domani). Tutti siamo più o meno deficitari, a parte i progetti ed i sogni, ma funziona il cervello automatico (il trascinamento epocale) per chi se lo può permettere (per noi no, sicuro) e la guida automatica, non sarà cesarea, ma per aggiunta comporta molti meno rischi per l’elitaria classe globalista ed elimina soprattutto le derive narcisistico individualistiche gruppettare, sempre deviabili ma con grande spreco e ritardo e quindi operate e/o cavalcate solo in stato d’estrema necessità, quando la marea del dissenso arriva a livelli giudicati (dal potere) insostenibili. Per il potere è enormemente più conveniente (oltreché ormai connaturato) un cervello ed un pilota automatico della guida carismatica a cui s’aggrappano sempre (disgraziatamente e costretti… ce lo insegna la storia) coloro che affogano. La lezione potentissima è questa: inganna mai frontalmente ma sempre lateralmente e subdolamente, metti tutta la tua potenza nel sembrare buono e dedito al bene (necessario) comune, consenti con gli istinti più profondi (ed anche infimi, spregevoli, persino schifosi - sono sempre disponibili- ) degli uomini (e dei popoli) ma ammantandoli d’altissimo spirito (quello, ad esempio, di considerare la vita umana, purchessia, la cosa più importante) …ne avrai ragionevolissime e plebiscitarie risposte di consenso. I discorsi iperuranici (non parliamo nemmeno dello stato etico) saranno inevitabilmente perdenti (non ovviamente in sé… ma in re), perché opera comunque la maya in divinis (ed il ciclo non sapremo mai quando possa davvero svoltare - non spetta a noi se non la consapevolezza di esserci dentro). Chi nega poi non solo il ciclo, ma la ciclicità, allora merita davvero di essere portato via dalla corrente. Ma, purtroppo e per tutti, oltre al demerito proprio aggiunge la disgrazia allargata. Questa nuova versione di uomo/massa spera, molto a breve raggio, di scansarla e che saranno magari i nipoti a subirla, e lui potrà continuare allegramente a fesseggiare ed a malrazzolare. Pure vero. Ma il potere, che come gli squali è sempre in frenesia alimentare e capta ogni microparticella di sangue ben alla distanza, capisce benissimo la ciclicità, se pur s’atteggi a linearista, e prova ne è che sa piegarsi - nell’immediato e non certo nel lungo periodo - e solo quando è inevitabile, al vento (che sembra soffiare dove vuole), per quel tanto che basti… magari pensa persino in ritardo - essendo molto più stupido (c’è bisogno di vera intelligenza nella guida automatica?) di quanto normalmente si creda. Ma ultimamente accelera, approfittando magnificamente di tutte le occasioni di disgrazia e forza e spinge e decelererà a bisogna, a seconda del collaudo resistenziale, e provvede(rà) sempre sapientemente a pentole e rane.
  • Questo - da parte nostra - implica resa? Mai. E non quia absurdum… (…quia impossibile).  Il rivolgimento ci sarà, comunque, prima o poi.   E… non per usare una formula, ma perché è inutile qui ripetersi a iosa, un’altra modernità… è perseguibile. Se ne parla e ne parliamo, da tanto, con parole inascoltate ma sincere. Implica diffondere consapevolezza crescente, complessa ma penetrante (…la retorica riscalda i cuori ma non le menti, la lucidità il contrario), rendendo ancora più performante il nostro motore immobile. Conservatori di futuro.
  • Note:
  • (1) “Invero ogni essere è altro da sé, e ogni essere è se stesso. Questa verità non la si vede a partire dall’altro, ma si comprende partendo da se stessi”. Zhuangzi, Milano, 1980, II, 23. “…Cosicché ‘ciò che è’, senza alcun dubbio, innumerevoli volte ‘non è’, in innumerevoli circostanze…” Platone, Sofista, 259 a-b.)
  • 2) Martin Heidegger, Che cosa significa pensare, Sugarco, 1979, Vol II, pag 54: “Ogni discussione tra interpretazioni differenti di un’opera, anche di un’opera non filosofica, è in realtà una reciproca meditazione sui presupposti da cui ciascuna delle interpretazioni è guidata, è una collocazione di questi presupposti – un compito questo che si lascia stranamente sempre ai margini, nascondendolo dietro ai più generici luoghi comuni... (...) Ma si viola il senso di ogni interpretazione quando si crede che ci sia soltanto un’interpretazione incondizionatamente valida, e quindi assoluta. Assolutamente valido è, nel migliore dei casi, soltanto l’ambito rappresentativo all’interno del quale anticipatamente si colloca il testo da interpretare. La validità di questo ambito che viene presupposto può essere assoluta, soltanto se la sua assolutezza poggia su una incondizionatezza, che non può essere che quella di una fede. L’incondizionatezza della fede e la problematicità del pensiero sono due ambiti la cui differenza è abissale”.
  • 3) Nell’introduzione di Calasso alla nuova versione Adelphi, Doppelleben, di Benn:; «...”Quel che conta è ciò che uno fa del suo nichilismo”. Segue il colpo duro: “Lo stile è superiore alla verità, porta in sé la prova dell’esistenza”…» Per questo farei un parallelo tra stile e lealtà, la lealtà divenendo così una delle tante omonimie possibili dello stile, cosa che non esclude a priori la verità, ma la pone sub condicione (…verificabile ma incerta).
  • 4) cfr. S. G. La fantasia del complotto, su “Rivista online Heliopolis”, sezione “Altri scritti…” www.heliopolisedizioni.com
  • 5) cfr. Meraviglie dell’impossibile e Nuove meraviglie dell’impossibile. Critica antologica di de Turris e Fusco, proprio per repertare, anche da un angolo visuale apparentemente specialistico, l’estrema complessità esoterica, filosofica, simbolica, letteraria, persino di cultura scientifica, che s’attorce attorno alla capacità profetica e che, a vario a difficilissimo titolo e con gli esiti più diversi ed imprevedibili, sempre s’agita nella storia del pensiero.
  • 6) Eraclito, DK, 54: ‘connessione inevidente è superiore all’evidente’, questo passaggio logico vale più di un trattato serio sull’occultismo oltreché d’occultismo.   La stessa evidente superiorità d’una armonia raggiunta, come nella paideia pitagorica, in Eraclito è, invece od ancor più, il suggerire la sottostante perenne e fluida tensione di elementi non risolti e solo placati nell’apparente transeunte, raggrumato, stato superficiale. Qui potremmo aggiungere, ma meno perentoriamente, che tra il: “non dice”, “non occulta”, a mezza strada, ovvero al centro del rapporto, il “segno”, dato, diviene la corda, del-nel, labirinto, quella non antinomica (=si sale e si scende), che dà forma al labirinto come mito dei miti o dell’universo (almeno impassibile, se non feroce... sorta di dedalo, ove al centro si trova il Minotauro) e, nella medesima origine, quella che libera dal dedalo stesso come filo di Arianna, proiettando il labirinto, fuori e verso le stelle, da un’iniziale spirale, all’avvolgente corrispondenza gravitazionale...
  • 7) Il paradigma pesanteur, che ritorna in molti miei scritti, è tratto anche da alcune suggestioni su di me operate dalla lettura de “La pesanteur et la grâce”” di Simone Weil. Vorrei sottolineare che… “Tutti i movimenti naturali dell'anima sono controllati da leggi analoghe a quelle della gravità fisica. La grazia è l'unica eccezione”. Anche se credo più alla prima frase che alla seconda, perché reputo che anche la grazia non faccia eccezione alla legge del tutto, ma che ne sia, eventualmente, intrinseca. Ma potremmo, per non restare necessariamente confinati ad una visione rivelazionista, mettere al posto della grazia  il destino, la volontà, o qualche altro indecidibile favore che ci venga comunque dall’Alto o da Qualcosa e così trovarci al richiamo (alla e) sull’invariabile sorda resistenza nel lavoro su di sé  e sulle rinvenibili diversità di reazioni, rammemorazioni, evocazioni, proiezioni, utili a contrastare la resistenza posta dal pensiero automatico, che crea la Forma dell’esistente.   Per giunta se riflettiamo, senza empiti di caratura animica, sul fatto che come nel foro interiore così nell’illimitata vicenda umana - se la pesanteur collima necessariamente con la forza (mai ovviamente derubricabile a mera violenza, assumendo la pesanteur varie carature quante sono le potenzialità dell’intelligenza applicata alla forza) e questa forza è quella che illumina con la sua luce (pur livido neon) ogni atto della storia umana (…“L’Iiade, il poema della forza”, o “Sull’Iliade” di Rachel Besspaloff, personale vicenda parallela a quella della Weil…), allora ancor più tra vacuità/ nulla/ maya/ pesanteur/ forza/ grandezza/ destino/ grazia (e/o fortuna), felicità da appagamento, bellezza (dello stile) che salva - anche nella sconfitta - (Ettore… Enea… Venezia salva) si conferma e s’accentra tutta la suprema illusione e la suprema realtà (…di decisione, di volontà, di nobiltà nella sconfitta, d’azzardo nella vittoria, di accettazione non passiva del Fato, di scelta di felicità) del vivere nostro. Così, pur non potendo mai astrarre dalla visione del mondo, che diviene creatrice d’orizzonti illuminati e quindi di retta visione ma anche comprensibilmente d’attesa ed in questo di possibile ulteriore miraggio ed illusione, in parallelo in sostegno e persino a volte in sostituzione alla visione del mondo, appare (o potrebbe apparire ed agire) comunque Qualcosa… Non dobbiamo né possiamo escluderlo. “…Se in qualche modo abbiamo accesso ad una soglia di senso, ciò avviene poeticamente”, ha detto recentemente un famoso filosofo… in “La custodia del senso”, come a parafrasare (laicamente) C. Campo: “Si direbbe che la grazia sia la materia prima della Grazia e indubbiamente i santi avventurieri, i lucenti eroi di fiaba che con lieve cuore, con lievi mani gettarono la vita nell’Immutabile erano tagliati di quella stoffa”. Il poeticamente del filosofo essendo, in tale lettura, paragonabile allo strumento che ci fornisce una visione più acuta, straniante dal contesto grossolano ma rivelatoria di un penetrabile mondo sussistente. Ma è in qualche modo che apre la via, ontologicamente (e forse anche scientificamente), alla ricerca. Sono poi ben consapevole di aver distorto al mio fine la citazione di Vittoria Guerrini (=la liturgia della parola come parafrasi non esaustiva della liturgia della manifestazione), ma l’ho fatto convintamente… nell’esercizio di un itinerario esperienziale che riconosce le due dimensioni non dicotomicamente escludentisi. Come in qualche modo il Qualcosa, possiamo dirlo assieme a Kojève, non comporta tanto ciò che noi si possa (o non) escludere (individualmente), come se noi potessimo giungere ad una vera persuasione, da soli (la nostra è una solitudine naturale ma necessariamente molto affollata), al proposito. E non averne invece sottile percezione o comprensibilmente desiderio (“l’animale desiderante” nella linea hegeliana di qualcosa che può essere persino contro l’apparente natura animale superando o negando il primario principio di conservazione, ove s’innestano tutti i dubbi e le suggestioni e le teoriche dell’alternativa antiutilitaria. Un desiderio superiore e di superiorità, seppur contraddittoriamente dettato dalla paura della nullificazione con esiti spesso fuorvianti, ma forse - ancor di più - sospetto critico. Dimensione non facilmente liquidabile anche nell’orizzonte della più spinta ragione. Ma noi - che importi poco agli altri sentirselo affermare importando però abbastanza a noi metterlo in conto - come umani, possiamo anche avere la consapevolezza, residuale (o residuata) dalla stessa ragione, come repertato da lui, almeno a partire dagli stoici, in Essai d’une histoire raisonnée de la philosophie paiënne, (Gallimard, 1968, 1972, 1973). Cioè di essere, comunque, all’interno del teismo, (un teismo che potrebbe benissimo essere pure un deismo, sia pur ambedue, sui generis), ove se gli incorporei non hanno esistenza (perché non hanno la capacità di fare o di patire alcunché, almeno con le forme spesse con cui fanno o patiscono i corporei), hanno però la sussistenza, che rappresenta anche una forma logica della emergenza del sospetto del dubbio e del rimosso. Ciò che ha dato poi vera anima e corpo alle varie filosofie profetiche. Non certo alla storiografia filosofica. Sussistenza che offre al Qualcosa, di conseguenza, uno statuto ontologico (di coabitazione), in cui tutto ciò che esiste e sussiste viene ricompreso. Così sotto le più cangianti vesti metafisiche, in tutti gli spazi e tutti i tempi, “noi crediamo” che il Qualcosa, si manifesti, quanto meno (o più), come ineludibile dimensione dell’esperibilità.