• Copertina ANIMA SPADA ANIMA LIBRO

  • Il Prof. Marco Giaconi e Pio Filippani Ronconi
  • di
  • Federico Prizzi
  • Mi ha fatto molto piacere leggere l’intervista al Prof. Marco Giaconi sul sito Pangea. Ringrazio il Prof. Giaconi non solamente per i contenuti, ma perchè l’avventura editoriale, che vide la mia collaborazione con due amici fraterni: Sandro Giovannini ed Emilio Del Bel Belluz, è stata ricordata. Mi riferisco al libro Anima-spada, anima-libro - la vita dialogante di Pio Filippani Ronconi pubblicato nel 2010. Esso rappresentò il primo volume di una collana letteraria della Novantico Editrice, da me curata, intitolata Laurus. Una collana che raccolse una serie di testi dedicati a uomini che nella loro vita avevano vissuto appieno sia l’esperienza militare, soprattutto di tipo bellico, che quella letteraria. Uomini la cui anima era stata appunto forgiata dalla spada e dalla penna. Per questo fu scelto di chiamarla laurus. Perchè, oltre a essere il lauro il simbolo della vittoria e del prestigio letterario, è anche quello del rinnovamento della vita e dell’immortalità. Una pianta solare, il cui simbolo profondo era, ed è, quello di lotta contro l’oblio.  Attraverso la lettura di questi libri, infatti, volevamo invitare i lettori ad abbeverarsi con noi alla fonte della Mnemosine, della Memoria. Questo perché anche nella crisi indotta dalla modernità, occorre fissare sempre il nostro sguardo su quanto ci è stato tramandato, cogliendo quelle epifanie storiche e letterarie tradizionali che possano illuminarci e anche consolarci, nel nostro quotidiano. Ciò certamente, non per cercare uno sterile revanchismo o per farci eludere o ignorare la Crisi che attanaglia la nostra società. Bensì, come atto di speranza.  Infatti, mangiando anche noi le foglie di lauro, come la Pizia dell’oracolo di Delfi, potremo intravedere il futuro, vivendo però il presente con una consapevolezza diversa da quella dell’uomo comune. Ridaremo così fuoco alla musica originaria, ma ri-esprimendola secondo quell’esperienza del Sacro che noi oggi possiamo comunque ancora vivere. Sono, inoltre, profondamente grato a Sandro Giovannini per avermi dato ancora una volta spazio attraverso la pubblicazione di questo breve scritto sul sito delle Heliopolis Edizioni. Sandro è sicuramente uno dei più raffinati e poliedrici intellettuali del pensiero Tradizionale italiano. Artista colto e pragmatico, la cui modestia e generosità, come ricordai nella mia prefazione al libro, “si evince anche dalla sua, purtroppo, ferrea volontà di non prefarre questo libro, ma di esserne semplicemente uno dei tanti autori”. Questa volontà, e chi conosce Sandro lo sa bene, scaturisce da una profonda fedeltà a una idea, a una sua personale visione del mondo e della vita. Una visione superpersonale e impersonale che caratterizzò anche Letteratura-Tradizione, la straordinaria rivista creata da Sandro. La quale è sempre stata caratterizzata da uno spirito compartecipato, dove si incontravano scritti e opinioni diverse, spesso opposte. Una pluralità di espressioni, di idee e di studi, che non ha mai avuto paragoni in nessun altra rivista letteraria italiana, soprattutto se dedicata alle Scienze Tradizionali. Ciò lo dimostrò anche con il metodo rivoluzionario della continua rotazione dei direttori letterari. Rotazione che aveva proprio l’intento di osservare la Tradizione da punti di vista sempre nuovi e mai uguali a se stessi. Pertanto, a questo metodo unico nel suo genere, non poteva collaborare che uno spirito rivoluzionario come Pio Filippani Ronconi. Il quale ne curò gli speciali in due numeri: il n.6 “Mito - Fiaba - Tradizione” (Aprile 1999) e il n.7 “La ventura del Guerriero” (Luglio 1999). Speciali, che furono interamente riprodotti nel libro-testimonianza Anima-Spada - anima-libro, la vita dialogante di Pio Filippani Ronconi a perenne memoria per le generazioni future.
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  • Alleghiamo - qui di seguito, per intero - l'interessante intervista di Andrea Bianchi a Marco Giaconi:
  • DIALOGO CON MARCO GIACONI SU PIO FILIPPANI RONCONI
  • E IL BUDDHISMO ESOTERICO
  • intervista a Marco Giaconi
  • a cura di Andrea Bianchi
  • (da http://www.pangea.news/marco-giaconi-pio-filippani-ronconi/ di venerdì 10 aprile 2020)
  • Caro Professor Giaconi, rieccoci a parlare di caviale iraniano. Come si passa a un tavolo iraniano dal discutere di caviale a capire la politica di prima mano?
  • Con estrema facilità. Mentre si trasvola da uno Shami, polpette di carne e farina di ceci, ai Nun Berenji, biscotti di riso, si lancia lì una osservazione su un fenomeno secondario, come può essere la coda a un cinema, e da lì l’interlocutore, che capisce che vuoi iniziare a parlare di cose serie, entrerà da solo in medias res. Il resto viene sempre da solo, ma è importante che l’ospite conosca bene le regole del galateo locale, essenziali, e soprattutto un pochino, ma se è di più è meglio, della tradizione sapienziale e esoterica sciita. Mai entrare da soli nell’argomento “serio”, è un atto cafonissimo, per loro. Ma, soprattutto, citare i poeti. Hafiz in particolare. Avranno grande piacere, gli astanti iranici, a sentire che sai che la tradizione del Graal cristiano viene “dal calice-che-vede-il mondo” Giam, di proprietà dell’omonimo re iranico. Per chi, come me, sapeva anche citare Bausani, l’iranologo principe dell’accademia italiana, c’erano applausi silenziosi, anche se Bausani era un Baha’i. La loro rivoluzione, nel 1979, ha subito scorticato vivo, senza por tempo in mezzo, il governatore della banca centrale iraniana, che era appunto un Baha’i.
  • Chi erano gli uomini giusti per farlo?
  • Un grande generale dei carabinieri, di cui non farò il nome, qualche studioso serio, ma in collegamento con le Strutture, alcuni grandi imprenditori, spesso anche coltissimi di cose sapienziali, ma di solito anche i boiardi di Stato, come li definì molti anni fa lo stupidino “Espresso”, qualche grande diplomatico che, in un caso, in Iran ci ha anche trovato una bellissima moglie. Tutta gente che, con il regime degli ayatollah, parlava direttamente, senza filtri (quasi tutti parlavano bene farsi) e si facevano rispettare moltissimo. Come ai tempi in cui, a Beirut (allora il Centro mediorientale del SISMI era lì) il colonnello dell’Arma Stefano Giovannone poteva entrare, senza particolari controlli, nella stanza privatissima di Yasser Arafat, a Ramallah. C’è stato anche chi, tramite Pyongyang, ha fatto liberare alcuni giornalisti francesi. Poi, alcuni ragazzi che sapevano bene la condizione locale, e che facevano da portaordini. Sono pochi quelli che sono davvero rispettati e, talvolta, perfino amati dall’avversario. È solo un problema di carisma soggettivo e, soprattutto, di brevitas. Molti, tra questi esperti di Iran amici dell’Iran, e rispettati come tali, erano stati allievi, all’Orientale di Napoli, di Pio Filippani Ronconi che, ricordiamo, fu ospite d’onore dello ShainSha Pahlavi durante la festa dei duemilacinquecento anni dell’impero persiano, nel 1971. I Pahlavi amavano molto Filippani Ronconi.
  • Lo immaginavo che saremmo arrivati a lui, a Pio Filippani Ronconi. Ce lo sintetizza con una frase lancinante?
  • Un uomo che aveva avuto l’illuminazione dell’Azione e talvolta le confondeva, l’Illuminazione e l’Azione. Ma che è stato un Maestro impareggiabile di ascesi e di sapienza. Pure se “dritto tra le rovine”, per dirla con Evola.
  • Lei ha assistito ai suoi funerali a Roma nel 2010? L’ha mai incontrato di persona?
  • No, non ho assistito ai suoi funerali in rito ortodosso, a Roma, lo conoscevo pochissimo, ci ho parlato, e solo di ascesi, due sole volte. Avevo però amici all’Orientale di Napoli che lo seguivano e lo veneravano, ma non l’ho mai frequentato stabilmente. Non vado mai ai funerali degli amici, comunque. Anche se non potevo comunque considerare Filippani Ronconi un amico personale.
  • In vita cosa fece degno di essere ricordato? In guerra e in pace…
  • Un grande maestro per la meditazione, le sue tecniche, i suoi fini, poi c’era la percezione, comune a tutti quelli che lo avvicinavano, del suo carattere straordinario, modellato in infinite prove, più sottili di quelle, ben note, politiche, inoltre gli studi, alcuni ancora da leggere, per esempio, il suo Regalità Iranica e Gnosi Ismailita, ancora essenziale per capire il nesso tra “nascosto” e “visibile” nell’iniziazione sciita, poi ancora quello su Zarathustra e il Mazdeismo, mentre è ancora rivelatore il suo testo sul Buddhismo, oltre al successivo Le vie del Buddhismo, ancora essenziale per la meditazione che diviene naturalmente azione. Ho poca stima per tutta la tradizione di Scaligero e del suo gruppo, troppo steineriana, che Filippani Ronconi frequentò, ma non bisogna nemmeno dimenticare la presenza di Filippani Ronconi nelle SS italiane. In gran parte fu una tragedia personale, anche se non bisogna nascondersi l’errore del Nostro nel confondere un regime da sempre piccolo-borghese, cialtrone e criminale, con l’Imperium che avrebbe raddrizzato l’Europa. Errori tipici dei mistici, questi. Ma anche errori indotti dalla situazione: chi si meravigliava, giustamente, della fuga di un Re, che aveva lasciato senza ordini le Forze Armate e la stessa società italiana, con il grido truffaldino di un truffatore, Badoglio, “la guerra continua”, con ben due Armistizi con gli Alleati che non avevano prodotto, come sarebbe stato ovvio, nemmeno un cessate il fuoco, ecco, chi è andato verso la Repubblica Sociale e le SS italiane ha, almeno, l’attenuante di conoscere, diversamente dai savoiardi, cos’è l’onore. Che è tutto.
  • Quanto alle letture di prima mano di suoi libri o articoli, cosa gliene rimane oggi?
  • Molto a me, ma moltissimo a tutti se li si leggesse ancora. Mi viene soprattutto in mente “Anima Spada, Anima Libro”. Una storia perfetta del rapporto tra iniziazione “guerriera” e apertura alla Verità spirituale, che si raggiunge, proprio come se fosse una guerra, dopo che si sono superate prove non certo più facili di quelle stesse guerriere. Oggi la gente vuole solo l’“olio lenitivo” che Nietzsche vedeva colare sui “cinesini”, gli uomini futuri, tutti omogenizzati verso il basso, nella democrazia dell’imitazione, talvolta obbligatoria, dell’umanoide. Una sua lezione, alla quale assistetti, casualmente, all’Orientale, parlava di Zarathustra, che il povero Nietzsche aveva infatti letto poco e male. Ronconi ci parlò del fatto che l’uomo realizzato, colui che si rende consapevole del fatto che la situazione esteriore è simbolo di quella interna (non dico interiore, qui la cosa è più ampia) inizia, che lo voglia o no, ma lo vuole sempre, dopo che se ne accorge, il suo viaggio verso la terra dei primordi, lo spazio che è solo luce. Che cos’è Allah, anche nell’“esteriorità” letterale del Corano? “Luce su Luce”. Nel mondo di luce, che si può sperimentare con l’iniziazione profonda, legata alla Tradizione, un giorno dura un anno e la morte non v’è. Ed è qui che si sperimenta la dualità del mondo, dell’essere dell’anima. Sul buddhismo, Filippani Ronconi aveva spiegato, a un ben altro livello che quello sul buddhismo usa-e-getta della pop-culture, che esso è un lunghissimo cammino, che non si ferma nemmeno con la morte soggettiva, verso l’ascesi, termine chiave per lui, e la meditazione, una prassi (ripeto, prassi) che deve liberare l’uomo dal male, e da tutta l’inutilità che ci portiamo addosso dalla cosiddetta vita materiale, e oggi sappiamo davvero di cosa si tratti. Mi rimane molto dalle letture, vecchie e nuove, dei testi di Filippani Ronconi. Ma anche dai pochissimi incontri che ebbi con lui. Un Maestro si vede subito. Un banale professore, si vede dopo, solo quando ti ha tradito.
  • In estrema sintesi, in quale ambito operativo Filippani Ronconi diede i suoi migliori servigi? Immagino in ambito estero se è vero che in politica interna si rischiava di rimanere impastoiati…
  • Fu un ottimo canale con l’Iran, che ben conosceva e con cui aveva rapporti strettissimi, sia nel popolo che nelle classi dirigenti. Dopo la rivoluzione degli ayatollah, continuò ad essere rispettato in loco e, da uomo dei servizi, sia italiani che atlantici, ebbe ruoli di rilievo nelle trattative con tutto il mondo iranico e, talvolta, con quello indiano. Era rispettato e riconosciuto da tutti, poteva aprire tutte le porte. Tendo qui a trascurare la sua partecipazione al famoso convegno dell’Istituto Pollio all’Hotel Parco dei Principi, dove peraltro allora si mangiava malissimo, sulla “guerra non-ortodossa”. Il suo intervento è geniale, ma totalmente impratico. I suoi rapporti, stabili, con il Servizio furono da esperto, selezionatore, tramite volontario e prestigioso con mondi lontani.
  • Quanto alle sue conoscenze di buddhismo, cerchiamo di fare chiarezza. È vero che la sua espressione storicamente più compiuta, anche se territorialmente circoscritta, è il buddhismo tibetano e non quello indiano?
  • Per Filippani Ronconi era probabilmente il buddhismo tibetano, anche se non amava l’organizzazione esplicita e evidente di una dottrina iniziatica, che deve rimanere, appunto, materia per iniziati. La Potenza vive solo di nascosto, come recitava un portachiavi, trovato chissà dove, che stava sempre sulla sua scrivania di casa. Però, tutta la Sapienza di Filippani Ronconi era volta soprattutto all’Iranismo iniziale, tra il Mazdeismo e le tradizioni di Zarathustra, che poi si trasferiscono, era questo uno dei suoi ultimi interessi, nello sciismo.
  • Se vedo bene, Filippani Ronconi era in dissidio con Evola per quel che riguarda il Tantra.
  • Il Tantra, quello della Grande Liberazione, spiega le tecniche meditative tali da superare sia la natura che il famoso Kali-Juga, l’“età oscura”. Con il sadhana, la disciplina spirituale, si compiono opere di conquista del mondo, e ciò ci fa ottenere i siddhi, i vari poteri magici che attengono all’uomo che ha superato la semplice condizione umana. L’uomo del Kali-Juga è in stretto contatto con il suo corpo visibile, che gli sembra esterno, come si può ben vedere in questa età oscura, l’attuale. Nei Tantra c’è, per Filippani Ronconi, un rovesciamento di tutte le pratiche repressive proprie della meditazione, per favorire la Liberazione, ma per Evola il Tantra era solo una parte dello Yoga, quello “della potenza”, e quindi si interessava poco degli aspetti autentici e autonomi del Tantra. Che dipende secondo Evola, ma non è vero, dalla meditazione buddhistica e Yogi.
  • E su Nagarjuna? Che idee si era fatto riguardo l’apoteosi del nichilismo buddhista, quello che capisce che l’unione dei contrari non è l’uno e l’altro, ma né l’uno né l’altro?
  • Per Nagarjuna, che accetta tutti i criteri del buddhismo del Grande Veicolo, vale il criterio, fondamentale, dell’“impermanenza” di tutte le cose, con un argomento para-logico che ci ricorda alcune teorie di Severino: se affermiamo che esiste A, implicitamente affermiamo anche non-A, ma per Nagarjuna si va anche oltre: i fenomeni, tutti i fenomeni, sono del tutto “vuoti”, privi di una qualsiasi loro identità, nessuno di essi ha una natura indipendente dagli altri, esiste dunque solo il “vuoto”. Ma se il mondo esterno è sensibilmente reale, allora non si può non procedere, per Nagarjuna, con una sorta di dialettica negativa in cui il mondo è insieme reale e irreale, e quindi si utilizza un tetralemma per cui si tende a distruggere la realtà di ogni concetto, di ogni costruzione mentale. Per poi ricostruirla in un altro ambito. Anche la ricostruzione mentale di tipo buddhista. La Liberazione propugnata dal Buddha è proprio la scoperta dell’impermanenza. Ma, per Evola, questa instabilità del mondo è il punto di arrivo della Rivelazione che solo la Potenza dell’Uomo Differenziato può arrivare a possedere; per Filippani Ronconi è invece la Rivelazione, del Vuoto, anche dell’Uomo come tale.
  • Insomma il nichilismo di Nagarjuna è una discesa vertiginosa nella distruzione dell’Io. Come si concilia questa pratica, dove la via supremamente scelta è la compassione, con una vita attiva di violenza (al limite)? Come la mettiamo insomma con il fatto che tutto il Tibet è protetto da Avalokitesvara, dalla forma del Buddha più compassionevole di tutte?
  • Avalokitesvara (il signore che guarda in giù) è un bodhisattva che opera ai limiti dell’India, verso l’Himalaya, ma che è stato avvicinato, da alcuni studiosi, alla tradizione iranica, è la figura della Misericordia, ma è una figura dalla “mille braccia e undici volti”, la sua decima testa è demoniaca, solo per spaventare i demoni, ma egli può anche apparire solo come un demone. Il buono e il cattivo, nel senso terrestre del termine, non hanno alcun rilievo nel buddhismo Mahajana. Nel Tantrismo, l’unità nella dualità di Avalokitesvara è l’unione di una figura maschile e di una femminile, il che certifica l’autonomia totale del “signore che guarda in giù” dalla massa degli umani non-illuminati. Per capire il tema lamaista tibetano, è sempre bene ricordare il passaggio di Milarepa dalla magia nera a quella bianca, perché la potenza è una sola, ma il suo modo di uso, per l’illuminato, è uno solo, ed egli deve saper usare quindi anche la “via mala” per liberare gli “esseri di quaggiù” anche prima di arrivare alla sua personale liberazione.
  • Come mi avrebbe risposto Filippani Ronconi se gli avessi detto che si arriva alla compassione togliendo completamente l’io e la sua vanagloria?
  • Forse Le avrebbe dato ragione. L’Io, per Filippani Ronconi, era solo un impedimento o, per meglio dire, un errore di prospettiva. Tutto ciò che può venire di buono dall’uomo, anche se è già illuminato, viene da qualcosa che è ben più reale dell’Io, e ben più profondo, ma non nel senso dell’inconscio freudiano, quell’Io che è solo lo specchio dell’impermanenza.
  • Se togliamo l’io e ci rimane ‘solo’ l’insieme di relazioni tra cose che non ci sono (quindi le relazioni e basta) non finiamo nella stasi? Cioè, una volta entrati in quest’unica e universale corrente compassionevole e interdipendente, come si permane attivamente dentro l’illuminazione?
  • Le relazioni sono però ancora quelle tra l’Io, che non c’è già più, e le non-cose del cosiddetto mondo esterno. Per rimanere nell’illuminazione, bisogna mantenerla, ovvero compiere delle pratiche meditative, e non solo, anche fisiche, respiratorie, di movimento dei muscoli, eccetera per permettere a questo flusso di immagini (non pensieri) che sembra arrivare dall’esterno, liberamente e senza vincoli. La compassione deriva dal fatto che proprio l’Illuminato è dentro questo flusso da solo, e che comunque non può liberare se stesso dai residui corporei, psichici, para-razionali senza liberare, contemporaneamente, gli altri dagli stessi vincoli. Tat-Twam-Asi, “così sei tu”…
  • In tempi di guerre batteriologiche cinesi - domanda secca. Come la vedeva Filippani Ronconi in tema Zen? Che poi è il modo usato dai Giapponesi per chiamare il Buddhismo cinese (Chan), arrivato dall’India e non dal Tibet…
  • Per quel che mi ricordo dalle letture dei suoi libri, Filippani Ronconi vedeva molto bene lo Zen, anche se rideva, lo si capiva tra le righe, del modo in cui era stato utilizzato dalle controculture giovanili pop e rock, due tra le più evidentemente contro-iniziatiche pratiche dell’occidente. Non si entra nel flusso meditativo “giusto” per liberare i propri istinti sessuali dalla “repressione”, roba che farebbe ridere fino alla morte un Illuminato orientale.
  • Parliamo infine di karma: è difficile per un occidentale, ossessionato dalla ipersostanzialità del sé e dal proprio narcisismo senza compassione per altri che non sia lo specchio dello smartphone, capire che cosa sia il karma e, conseguentemente, la necessità di liberarsene: lo si è capito così male che si pensa che esso sia noi stessi che ora siamo noi.1, noi.2, noi. 3 fino a un infinito di segno positivo: terribile, soprattutto per l’universo. Giusto?
  • Il karma è una relazione di causa-effetto, automatica e involontaria, che si instaura per ogni azione che venga compiuta in natura o che venga eseguita da noi o da altri. Dal karma si passa al samsara, la ruota del ciclo della vita e della sua rinascita, che non si vede mai intera nella realtà dei singoli fenomeni, ma è il primo scalino, nel suo riconoscimento, della Illuminazione. Il tema del karma, come lo si dice nella tradizione buddhista indiana, è che “se vuoi capire le cause del passato, guarda i risultati che si manifestano nel presente, e se vuoi capire quali risultati si manifesteranno nel futuro, guarda le cause poste nel presente”. È ovvio che qui l’Io stabile, immobile, Sovrano, Unico, degli occidentali non ha alcun rilievo. La macchina del karma riguarda, evidentemente, anche l’Io-palo (lo chiamava così Carlo Emilio Gadda) dell’occidente di Narciso.
  • In realtà il karma è la catena delle premeditazioni, azioni, effetti e conseguenze che hanno una forma ad albero dove vi è un tronco e innumerevoli ramificazioni. Questo tronco per i buddhisti tibetani è formato come da una catena di dodici anelli ed è giocoforza che le sue ramificazioni oltrepassino la durata fisica di una singola vita e si trasmettano ad altre. Per usare un’immagine: dal tronco principale, quello che ci riguarda immediatamente, una somma di eventi si riflette in via percentuale su una somma di eventi posteriori. Tanto più diretta è la linea genetica che collega quel gruppo di azioni con il gruppo di azioni successivo, tanto più semplicemente da un grumo si passa all’altro. Dico bene?
  • Si, dice bene. Forse, non sempre “in via percentuale”, come dice Lei, perché questo non lo possiamo sapere, nel momento in cui accade. Ciò che trapassa da una vita ad un’altra è, comunque, la possibilità della sua uscita dal ciclo delle nascite e delle morti, anche temporanea, quindi dal karma, e quindi ancora la sua possibile illuminazione.
  • Faccio un esempio concreto: anche il grumo che siamo ora sta fondando il grumo che siamo ora, cioè pochi secondi dopo che stiamo parlando. Il karma perciò è questa interferenza tra grumi. Tenuto conto, però, che si tratta di riflessioni non alla portata di tutti, anche i buddhisti semplificano il discorso declinandolo in una sorta di teodicea molto simile a quella cristiana. Della serie: bambino, se fai il male incontrerai altro male, se fai il bene, la tua felicità aumenterà. Mandando così a spasso tutta la storia del ‘veicolo inferiore’… e con questo arriviamo al Tantra: più sgamati, i buddhisti del livello tantrico (quello esoterico di Evola e Yourcenar) affermano, infatti, che tutto ciò non è così ovvio e quindi occorre pensare tre volte prima di agire. Meglio concentrarsi sulle motivazioni, renderle finemente chiare e poi tentare. Ma abbiamo subito una sorpresa: distruggiamo pure ogni impulso ma tanto come ci muoviamo un disastro viene sempre fuori. Tanto sono intricate le cose… non è così Professore?
  • No, non è l’interferenza tra i grumi, ma l’infinita serie, che però noi possiamo sentire e prevedere, di tutti i passaggi tra un grumo e l’altro. La teodicea buddhista non riguarda però tutti, ma solo gli Iniziati, che sperimentano, proprio come farebbe un occidentale nel suo laboratorio, la realtà dell’uscita dal karma. Ma ciò si conquista con una sintesi di volontà e sapienza (non con l’intelletto del razionalismo occidentale) e quindi il Tantra evoliano e di Marguerite Yourcenar si volge al lavoro interno per la preparazione alla distruzione dell’Io, più che alla sua realizzazione nella Liberazione.
  • Quando si sente dire che una farfalla sbatte le ali a San Francisco e a Tokyo viene un terremoto, i buddhisti del Sutra del diamante, quelli del livello tantrico, dicono che è proprio così, ed è soprattutto colpa vostra. Forse alla fine tutto questo non importa se agiamo in nome dell’azione. Basta tenere a mente che, quando le relazioni si ingarbugliano, gli effetti diventano cause e le direzioni si invertono, così come le logiche. E siamo punto daccapo allo Zen. Credo che Filippani Ronconi mi avrebbe bocciato. Però magari gli avrei strappato una risata in questa goffa divulgazione dei misteri orientali…
  • Non credo che l’avrebbe bocciata. Anzi, si sarebbe divertito di questa rielaborazione, molto soggettiva, del sistema dello Zen e del suo rapporto con il karma. Un saluto a Lei e ai lettori.

  • I due numeri di
  • “Letteratura-Tradizione”  (1)  
  • diretti da
  • Filippani Ronconi
  • di
  • Sandro Giovannini
  • I due numeri di “Letteratura-Tradizione” diretti da Filippani Ronconi per me furono assieme i più difficili e più facili da coordinare in qualità di caporedattore. Infatti stabiliti i due rispettivi e collegati temi ed i collaboratori (su sua primaria indicazione e qualche mia proposta), dedicati ai due Speciali, restava da acquisire suoi scritti ed i due specifici editoriali a sua firma, oltre ovviamente alle altre collaborazioni, che però divenivano ben più comprensibilmente disponibili... Per i testi interni di Filippani Ronconi c’era solo l’imbarazzo della scelta avendomi riempito di articoli al riguardo d’ogni genere, editi ed inediti, sui quali poi, amici grandi e cari come Allasia e Marcigliano mi avrebbero dato molte dritte per ordinamento e risistemazione... Per gli editoriali d’apertura degli “Speciali”, Filippani Ronconi invece avrebbe preferito poter vedere una sorta di complessiva risultante ma avendogli io opposto che i tempi non ce lo avrebbero consentito, decise per il secondo “Speciale” di scegliere un suo scritto molto centrato sul tema. Per il primo invece decise che avrei dovuto scriverlo io a sua firma. Gli dissi allora che potevo forse - come facevo usualmente da anni - anche decentemente coordinare, ma non mi sarei mai potuto permettere di sostituirlo. A tal punto ribadì decisamente che avrebbe comunque firmato lui il mio scritto. Rimanemmo infine d’accordo che avrebbe firmato il suo primo editoriale da “Direttore Letterario” secondo l’usualità già collaudata della rivista, straordinariamente, assieme all’editore Walter Stafoggia, caro amico e proprietario finanziatore di “L-T”, che usciva sotto l’egida della sua casa editrice e che meritava pienamente questo prestigioso abbinamento. Ero rimasto sorpreso ovviamente della cosa, ma avendo qualche dote intuitiva capii subito che costituiva anche una sorta di esame sottile che ci stava facendo, o che (più sicuramente) ci aveva già fatto, ma senza quella tipica forzatura “da maggiore a minore”, che reca con sé sempre, inevitabilmente anche se a volte inavvertitamente, una leggera nota stonata... perché poi era proprio lui che s’offriva in tal modo al possibile errore (...nostro, ovviamente) con un atto di generosità inusitato. E così fu, per cui, incredibilmente, nella sua sterminata rassegna articolistica, v’è pure questa strana soluzione... Riporto per precisione le frasi finali ed illuminanti dell’Editoriale di apertura del 6 numero:
  • « ... “Mito - Fiaba - Tradizione”, un percorso che ci fa presente il fiorire su questo campo del reale della forma che viene dal mondo sottile: il fiore è forma reale ed è cantato dal poeta e dal musicista. Il fatto che ora sia anche un portato letterario, che ci dia bellezza come ombra del reale autentico, unisce i due mondi in una sola possibile (se è possibile) esperienza. Noi ne godiamo esteticamente, ma la drittura che ci forma è segno di una dimensione alta, nella quale riposa il nostro ardire.” Firmato: Pio Filippani Ronconi, Direttore Letterario e Walter Stafoggia.
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  • ... “Questo numero è guidato da un grande uomo: Pio Filippani Ronconi, che ci onora per la scelta fatta, più per Sua magnanimità che per nostro merito, ma che dimostra che il testimone si passa, si può passare, e che il valore culturale di questo esempio (da tutti doverosamente riconosciuto) e la testimonianza umana (riconoscibile da chi è onesto), in casi eccezionali, ancora supera la cappa traslucida dell’omertà corretta...” Firmato: Walter Stafoggia, Direttore Responsabile ed Editore”...»
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  • Diciamo che anche l’abbinamento dei due Speciali per i numeri non era del tutto prevedibile perché “Mito - Fiaba - Tradizione” per il primo e poi “La ventura del Guerriero” per il secondo, sarebbero potuti apparire a prima vista non proprio direttamente collegati, ma l’indicazione fu sua senza tentennamenti, come se volesse rimarcare il doppio binario della levitas e della gravitas che costantemente debbono guidarci nella vita e nelle lettere, come parallele che si corrispondano all’infinito. Ma ovviamente anche all’interno delle stesse due dimensioni scelte. (2)   Mi riconfortava però riscontrare in lui come in altre “grandi anime” (ed uso appositamente tale traduzione per non caricare semanticamente troppo il tono e renderlo più idealmente prossimo alla complessa semplicità dei nostri incontri di lavoro per preparare i due Speciali, che avvennero nella sua bella casa dell’Eur), “grandi anime” che pur avevo avuto il privilegio di conoscere di persona, una massima disponibilità all’ascolto che non sempre invece avevo trovato in altri, pur stimabilissimi. E’ per questo che “Anima Spada - anima libro” che nel 2010, a pochi mesi dalla sua scomparsa, per NovAntico Editrice (Pinerolo, TO, 20 Euro), riprese quei due Speciali di “L-T”, (n.° 6, Aprile 1999, n.° 7, Luglio 1999) con ulteriori ampliamenti ed arricchimenti in una specifica Appendice (parte III), il tutto dovuto alla entusiastica curatela di Prizzi e di Bel Belluz, ebbe il sottotitolo “la vita dialogante di PFR”. Non a segnare, secondo la mia visione, una sua finta apertura al lavoro altrui od uno scontato omaggio ad una dialogica di tipo meramente razionale (3), quanto un’autentica curiosità d’apprendimento senza limiti capace in ogni incontro, pur senza scontata pietosa benevolenza, di trarne ogni lievito possibile, ogni potestà (obiettivamente verificabile) verso il meglio... Comunque si confermava che l’inusitato metodo scelto per “L-T”, ovvero dell’alternanza dei direttori per gli “Speciali”, in qualità di garanzia contro il narcisismo piccolo borghese della guida proprietaria, forse era stata la chiave di (s)volta per una accettazione convinta che all’inizio potevo ben prevedere rifiutata, sia pur cortesemente...
  • Note:
  • 1) Sui due numeri di “L-T”, contributi di: Michele Beraldo, Mario Bernardi Guardi, Giovanni Antonio Colonna di Cesarò, Andrea Marcigliano, Claudio Mutti, Claudio Risé, Pio Filippani Ronconi, Paolo Aldo Rossi, Walter Stafoggia. Nel libro, “Anima spada - anima libro”, NovAntico Editrice, Prefazione di Federico Prizzi ed Introduzione di Claudio Bonvecchio. In aggiunta Appendice al libro, contributi di: Emilio del Bel Belluz, Pio Filippani Ronconi, Sandro Giovannini, Alfonso Piscitelli, Federico Prizzi.
  • 2) A proposito della dialogica o meglio della vita dialogante di PFR, anche in garbata polemica con chi non gradì del tutto il sottotitolo : “...Nella sua scrittura è presente costantemente, come nella sua vita, il secondo termine inaspettato ed inaudito che ci fa crescere, traendo verso l’alto anche quando tratta di cosa quasi indicibile, del sacer, nella logica che aprendoci gli occhi ad una luminosità supera ci istruisce e ci rende intatta la nostra responsabilità di uomini liberi con un ardore dinamico e realizzatore e non ci riduce invece alla miserabile e sempre oscuramente coltivata facoltà di scegliere fra finte alternative, tutte gradite ad un padrone invisibile e potente. Il secondo termine inaspettato ed inaudito, è anche il saper rendere produttiva opposizione (…saper rendere due di uno…), tra “…un mare uguale ove manca l’orizzonte; se qualche fatto affiora sulle sue onde placide, il mito se ne impossessa e in questa trasfigurazione esso è sottratto ancora alla legge del tempo” (come il suo maestro Tucci definiva sinteticamente, ancora nel 1940, lo spirito atavico dell’India, nel suo “La crisi spirituale dell’India Moderna”) ed all’opposto “…quando non ci si butta nel turbine della vita per vincerla e dominarla e ad essa sopravvivere con l’opera, quando le imprese in cui le passioni umane si esauriscono e muoiono non sono infilate nel rosario del tempo, non nasce storia”, dimensione - sempre da Tucci così definita - già antico/occidentale e moderna ed ora, nel mondo globalizzato, sostanzialmente planetaria. Quindi, da una parte, la costante del tempo ciclico, con il buddhismo ed alle sue spalle l’immemoriale codice vedico e dall’altra l’evenienza del tempo lineare dei monoteismi semitici ed ancora le tradizioni iraniche del madzeismo e mitraismo e quelle di fondazione storico-mitiche grecoromane. Le matrici ontologiche agiscono nella scelta di una esemplarità: non si diviene infatti esegeta delle due nature a caso, o solo per corrispondere ad una pur reale chiamata vocazionale, o solo per una pur auspicabile scelta lucida. Ma solo perché l’uno genera il due ed il tre le ‘diecimila cose’ come recita il Tao? O solo per ripercorrere l’antico pensiero greco “Se non fosse in effetti per Dioniso che fanno la processione e cantano l’inno fallico, svergognatissime azioni compirebbero; ma è lo stesso, Ade e Dioniso, per il quale delirano e fanno baccanali.” (Eracl. DK, fr.15) ?   Ma il pensiero tradizionale sul principio ternario e sulla soluzione sintetica, non è sostanzialmente corrispondente alla logica che governa ora la fisica molecolare e l’astrofisica? E la distorsione (per l’intreccio) che crea il linguaggio del mito e si rifà ai simboli come a cippi di segnalazione in itinere, non allude anche al fatto che ogni linguaggio, da quello comune, a quello algebrico, a quello geometrico, a quello musicale, a quello rituale - solo per avanzarne alcuni fra tanti - può contenere anch’esso un viatico alla comprensione? Anche perché è stato autorevolmente dimostrato a che livello di logoramento il linguaggio, tentando disperatamente di collegarsi al trascendente, sia trascinato, qualsiasi esso sia. Il linguaggio, nella sua vita storica regge con difficoltà estrema l’astorico, e nella sua vita pratica l’impratico e soprattutto sospetta del rigore logico avvicinandosi alle rarefatte atmosfere, producendo più facilmente una sonante ritmica illusionista, che in qualsivoglia regione ha le sue declinate ragioni, e questo nel migliore dei casi. Il mito, necessitato al compito del racconto irriducibile del sacro, esprimendo il basale rapporto mentale di correlazione fra etnoreligione e vita reale diviene poi, a sua volta, un prodotto nella e della storia, conoscendone ogni interrelazione e trasformazione, pur mantenendo la traccia di un’unità essenziale, sempre, secondo natura, espressa in modo relativo. (...)” ...dalla terza parte della mia Introduzione all’Appendice (pag.150,151, parte III del libro cit. “Anima spada - anima libro”, ora anche in S.G., “...come vacuità e destino”, saggi letterari e metapolitici, NovAntico, 2013).
  • 3) “...Questo solo già riferito ad una scelta ben precisa di merito e di metodo rispetto al sacro, ma estensibile, per la sua stessa paradigmaticità, ad altri e diversi piani. Infatti, sempre nel saggio inaugurale, Filippani Ronconi dice: “…Questa straordinaria capacità di conservazione è connessa ad un altro carattere della speculazione indiana e, cioè, che i sui teoremi non sono mere astrazioni speculative di genere logico-discorsivo, bensì esperienze viventi di genere “mistico”, cioè, a dire, che la realtà oggettiva che esse rappresentano è praticamente fondata su un’identità fra soggetto e oggetto della conoscenza concretamente sperimentata dal filosofo o dal pensatore. I nostri Antichi conoscevano bene questa immersione imaginativa nell’oggetto, per la quale postulavano un’esperienza del genere di “sonno vegliante”, un’esperienza - diremmo - di genere magico. A ben vedere, tutta la nostra storia antica offre svariati esempi di questo genere di conoscenza fondata sul dato ‘imaginario’”. Diciamo allora che, al di là di verità, suggestioni o congetture, in re, linee confessionali, scuole interpretative, disposizioni o predisposizioni personali, quello che ci interessa direttamente lo possiamo (dobbiamo) comunque sempre verificare nel corpo di una vita vissuta, storicizzata, con tutte le sue zone in luce ed in ombra. Perché comunque è in vita che dobbiamo risolvere il problema del dedalo e questo in tutte le culture religiose, qualsiasi sia e comunque si articoli, la dimensione, l’attesa, la proiezione, addirittura l’assenza dell’aldilà… Perché poi il mito vive nella cosa (intrecciata di texture macrocosmica e microcosmica) e l’eroe nasce nell’uomo, racconto non come prodotto di una favola, di un fantasticare magari utilizzabile ma insubordinatamente dispersivo, invece come specchio della realtà, che scopre e si scopre nella cosa, in una proiezione attivante (metaforicamente elettromagnetica), che riconosce il doppio scambio, continuo e produttivo, tra realtà ed immaginazione, cosa, quindi, salda e che non vacilla. Qui veramente Filippani Ronconi ha scritto pagine insuperabili, che dovranno essere ancora profondamente meditate, potendo usufruire di due registri concomitanti, la sapienza intuitivamente addestrata e l’esegesi comparativamente rigorosa. Ma al di là di capire e scrivere, qui si tratta di realizzare, proprio perché si interiorizza - e diviene quindi operativo - il sentire immediato, l’esperienza, che il reale è ineffabile e tale da non essere se non aggirato o circuito - essendo quindi solo suggerito od evocato - da parola o concetto (il… non dice e non occulta ma dà segno… eracliteo) Qui si è costretti a volgersi alle proprie più recondite risorse interiori, che, sia nel campo immaginativo che il quello esperienziale, debbono dare il frutto della risposta corretta. Che non sarà mai quella de l’uomo incapsulato nelle formule non sperimentate, negli schemi non inverati o nelle discipline meramente specialistiche. L’opposizione diretta e consapevole alla limitazione che depotenzia l’immensa forza delle interne polarità a favore di una maschera esterna utile - al meglio - solo come progetto di ricerca funzionalizzato, è una dimensione che vive da sempre nell’oriente ma che ha dimora nobile e severa anche nel nostro occidente. Spesso per ritrovare quel nostro abbiamo dovuto vagare - speriamo reversibilmente - per plaghe esotiche e rimanere affascinati e tratti da storie che pur avendo sovente la terribilità tragica delle cose vere ci risparmiavano magari lo stantio e la noia insuperabili del piede di casa, lasciando distrarre la nostra attenzione dall’impermanente ma incontenibile espansione dell’identico. Anche per questo “mito, fiaba e tradizione” e “la ventura dell’eroe” erano i due temi speculari, i due corni dialettici degli “Speciali” che “L-T” aveva programmato a direzione Filippani Ronconi. Egli aveva ben pensato sia alla matrice ontologica del reale, che si manifesta nel mondo immaginale interagendo efficacemente con il mondo sensoriale, sia all’esempio pratico di eccellenza, ove la ventura svela altezze vertiginose ed abissi vorticosi, e che questi fossero i due termini esemplari e dialettici. Non lo avrà neanche pensato, in buona sostanza, perché certamente avrà raggiunto questa scelta in modo del tutto naturale ed immediato.” ...idem: dalla terza parte della mia Introduzione all’Appendice (pag.153,154, parte III del libro cit. “Anima spada - anima libro”, ora anche in S.G., “...come vacuità e destino”, saggi letterari e metapolitici, NovAntico, 2013).