• Il consumatore 2

  • Nuovo colonialismo e media coloniali
  • di
  • Tim Anderson
  • (da American Herald Tribune 11.IX.2018)
  • Le sette guerre in Medio Oriente degli ultimi due decenni segnano una nuova era coloniale, guidata da un impero in rovina. Ma essendo oggi la colonizzazione  bandita, e con le popolazioni altamente alfabetizzate di oggi è di conseguenza necessaria una copertura ideologica fornita da un complesso di media coloniale incorporato, sostenuto da settori delle ONG ben pagati.
  • Questo complesso di media coloniali è necessario per riciclare i nuovi miti coloniali, in modo tale che le viziose invasioni predatorie  divengano "interventi umanitari", le guerre terroristiche per procura  "guerre civili" guidate da manifestanti pacifici e le nazioni bersaglio indipendenti semplicemente "regimi" illegittimi ovviamente guidati da cattivi "dittatori". Ecco perché vediamo le narrative durature, anche se difficilmente plausibili, della resistenza palestinese alla pulizia etnica, in qualità di puro "terrorismo"; l'invasione e l'occupazione dell'Afghanistan come guerra per i "diritti delle donne" (grazie a George W. Bush e Amnesty International) e le ripetute false flag su prodezze di armi chimiche in Siria (semplicemente pretesti per ulteriori interventi), fino alle azioni di un “presidente mostro” che è (per qualche ragione inspiegabile) “genocida della sua stessa gente”.  I media coloniali potrebbero essere caratterizzati come agente incorporato nel settore dei media di massa, che cerca di normalizzare la guerra imperiale e sostenere i miti degli interventi coloniali (di fronte a ragioni e prove sostanziali), demonizzando stati indipendenti e voci dissidenti.  Alcune critiche sono permesse, sempre purché non sostengano la resistenza. Questo settore ha iniziato a includere le corporazioni giganti che controllano meglio ciò che era stato un tempo un social media ben più diversificato. Mentre il peso delle relazioni politico-economiche globali si sposta verso est - e mentre il potere industriale e finanziario statunitense scivola e il dollaro è minato - Washington ha cercato di recuperare il suo manto imperiale. È un ultimo atto, audace e sanguinario. A differenza degli europei, gli Stati Uniti hanno sempre ammantato i propri progetti imperiali col linguaggio della "libertà". Il fatto che questo tema sia persistito attraverso i regimi di schiavitù, conquista e acquisto di intere nazioni, rappresenta un risultato piuttosto soddisfacente, sia nel risultato finale della persuasione popolare che nella retorica verbale. Questo leggendario doppiogioco può essere visto al lavoro oggi, nelle guerre contro la Palestina, l'Afghanistan, l'Iraq, il Libano, la Libia, la Siria e lo Yemen. Queste guerre accompagnano i tentativi di isolare la Russia, la Cina e l'Europa occidentale, che il paranoico impero americano vede come suoi veri concorrenti. La grande strategia di Washington nelle guerre in Medio Oriente prende in prestito i tradizionali obiettivi imperiali. Il primo di questi è quello di escludere potenziali concorrenti "di grande potenza" dalla regione ricca di risorse , o piuttosto di dettare i termini del loro impegno. Il secondo è distruggere qualsiasi volontà politica indipendente nella regione, dividendo i popoli con l'aiuto dei suoi principali agenti regionali, i regimi settari e arretrati dell'apartheid israeliano e dell'Arabia Saudita medievale. Mentre gli interventi statunitensi nelle Americhe si sono estesi per due secoli, il primo grande intervento di Washington in Asia occidentale fu il colpo di stato del 1953 in Iran, che impose una dittatura appoggiata dagli Stati Uniti fino alla rivoluzione iraniana del 1979. Essendo un grande paese centrale e dichiaratamente indipendente, la Repubblica islamica dell'Iran rimane l'obiettivo principale di Washington e dei suoi vassalli regionali. L’Iran infatti ha sia la capacità che la volontà di guidare una coalizione indipendente contro il progetto di Washington per un "Nuovo Medio Oriente". Molti in Medio Oriente considerano Israele il principale nemico. Tuttavia questo dà troppo credito alla colonia sionista. Come hanno recentemente sottolineato i leader della resistenza in Libano e Yemen, la coda sionista non agita il cane imperiale. Israele contribuisce davvero ai media coloniali e ai miti dei social media, ma in realtà la sua repressione in patria mina molto di ciò. Il medium coloniale americano-centrico rimane primario.  Entrambi i principali partiti politici sono radicati nello stesso "eccezionalismo" ipocrita, utilizzato per giustificare grandi crimini. Gli stessi grandi gruppi di investimento che dominano il governo degli Stati Uniti gestiscono anche i media coloniali. Eppure negli ultimi anni è stata la "forza intelligente" dei liberali "eccezionalisti" che si è dimostrata più efficace nelle guerre di propaganda odierne, attirando il sostegno di quegli occidentali che amano considerarsi "salvatori" dei poveri popoli del mondo. Questo liberalismo coloniale attinge direttamente dal liberalismo coloniale britannico della metà del XIX secolo. "Civilizzare" e "salvare" i nativi sono tornati di moda.