il monte della sapienza Duomo di SIENA

 


LUCA VALENTINI
Oltre la Filosofia,  la Sapienza!

 

colui che si centra nella radice silenziosa e lucente
della propria interiorità,

che è anche interiorità cosmica (…), 
e coglie la perfetta armonia dei contrari in sé e fuori di sé, 
senza essere trascinato eccessivamente dalle emozioni,
dai pensieri, dalle cose,

dimora nella Sapienza”
(Angelo Tonelli, Sapienza ritrovata,
Arcipelago Edizioni, p. 11)

Diversi e stimati ricercatori si sono impegnati recentemente con vero merito nell’approfondimento di tematiche inerenti alcuni aspetti filosofici, filologici e dottrinari della Tradizione Arcaica, nelle sue molteplici declinazioni. In alcuni di essi, però, oltre ad approfondimenti di indiscusso valore, si sono accompagnati riflessioni ed analisi che stonano alquanto sia col dato tradizionale, sia con l’interpretazione di autorevoli studiosi, italiani ed internazionali, di similari tematiche legate al mondo classico. Nello specifico, ci è dispiaciuto alquanto che alcuni fuorvianti riferimenti alla misteriosofia antica ed alla sua culminazione massima, cioè ciò che devesi intendere per Conoscenza o Sapienza Divina, siano passati assolutamente sotto silenzio.

 

Se vogliamo iniziare la nostra disquisizione riferendoci a ciò che debba intendersi per Sapienza – e ciò ci aiuterà meglio a comprendere successivamente la vera natura dei Misteri Antichi –, dobbiamo, riferendoci all’incipit che abbiamo voluto inserire nel presente scritto, affermando che Essa deve essere intesa assolutamente come una condizione dello spirito, l’identificazione per quanto perfetta possibile dell’interiorità umana col mondo siderale del Divino, la riscoperta del Sacro nell’aurificazione della pietra grezza che in sé dimora. Ciò ci conduce a rappresentare il Sapiente, come un realizzato, come un Vivente eternamente presente, specchio cristallino dell’Ente – Uno, da cui promana la molteplicità fenomenica. Tale rappresentazione si differenzia categoricamente da quelle che hanno posto in similitudine la Sapienza con il Sapere oppure la Sapienza con la Devozione. Essa non è, come ci ricorda sempre Angelo Tonelli (in Sulle tracce della sapienza, Moretti e Vitali Edizioni), un insieme di contenuti veri e saggi, non è una sistematica organizzazione del pensiero, essa scaturisce dal Sé, mentre la filosofia dall’ego. Essa è la sperimentazione interna del Divino, indi è oltre la razionalità pensante, è oltre la dimensione della Pistis, della Fede, del misticismo devozionale, umido e femmineo. Se la Devozione è basata su una passività dogmatica, il Sapere è fondato su un’astrazione non sperimentale: la Conoscenza è, al contrario, attiva identificazione, è agente trasmutativo permanente.
Se in Proclo, più volte citato ed anche abusato, ritroviamo il riferimento alla Fede, come riferimento alla cultualità gentilizia, come ci ricorda un certo Werner Beierwaltes (Proclo, i fondamenti della sua metafisica), istituzione vivente dell’esegesi platonica contemporanea dell’Università di Monaco di Baviera, la funzione relativa alla realizzazione teurgica viene affidata invece al Silenzio legato alla Mania, all’Estasi, come coglimento supremo dell’Uno. Ciò viene confermato dalla testimonianze del discepolo di Proclo, Marino (Vita Procli, 28), il quale ci riporta della systasis teurgicaattuata dal suo maestro, cioè la congiunzione, anche tramite un patto, con una divinità, nella cui applicazione le varie azioni magiche rappresentavano la graduale purificazione dell’anima dell’operatore. Se tali componenti coesistono in uno degli ultimi Ierofanti dell’Età Arcaica, come Proclo, e non sono ben distinti come in Giamblico e Damascio, ciò non deve indurre nessuno a porre similitudini assolutamente improponibili.  Tutto ciò ci riporta ad una dimensione, come appare con solare ovvietà, che davvero potrebbe collimare sia con la Devozione sia con il Sapere. Se l’erudizione intellettiva e filosofica può rappresentare una valenza solare rispetto al lunare dogmatismo del devoto, entrambi rappresentano ciò che nella dottrina ermetico – alchimico è il doppio lunare rispetto alla trasmutazione identificativa: l’ego, inteso come coscienza psicologica, è Sole rispetto allo stato di trance passivo del credente, ma entrambi si dissolvono dinanzi alla realizzazione del Sé. In merito, sempre Angelo Tonelli nel suo scritto sulla Sapienza già citato, come Pierre Hadot nel suo saggio sulla filosofia antica, differenziano il filosofo dal Sophos, dal Sapiente, differenziano l’anelito (philein), del pensatore ma anche del devoto, dalla Conoscenza, che è presenza fondante e contemplativa in sé e di sé:
Mi sforzo di ricondurre il divino ch’è in noi al divino che è nel tutto” (Plotino, Vita, 2, 25).
Si determina, pertanto, una sublimazione del rapporto col Divino, che non è più teologico, cioè raziocinante ed interpretativo del Sacro, non è più religioso, cioè di ricollegamento dualistico, ma di immedesimazione diretta magico – teurgica. L’etimologia dal greco ϑεουργία, come composto di ϑεός «dio» e ἔργον «opera», infatti, indica non un approccio degli uomini in senso cultuale al mondo degli Dei, ciò non differenziandosi in nulla dalle pratiche gentilizie del paganesimo antico, ove sussiste una separazione evidente e spesso devozionale tra orante e Nume invocato. Al contrario, si sperimenta una perfetta identificazione tra l’operatore sciamanico e la Divinità, quasi a suggellare una reale incarnazione che elimina e supera magicamente la dualità religiosa, per affermare tutta la potenza di pratiche il cui complesso noi definiamo vera e propria Teosofia dell’Azione, in quanto attua quella palingenesi che conduce verso la Sapienza. Tale realizzazione è Silente e Misterica, come viene ricordato da Damascio in merito all’ineffabile trasfigurazione di Platone (Il principio totalmente ineffabile tra dialettica ed esegesi in Damascio di Valerio Napoli, presentazione di Francesco Romano, collana Symbolon, CUECM Catania, p. 444ss), perché attua la sperimentazione di un’alchimia interna, fisiologicamente occulta, come riporta l’insegnamento magico egizio – partenopeo:
…se comprendi precisamente che il tuo spirito, nel fodero di carne, è suscettibile di ogni miglioramento, fino a diventar come divinità dell’Olimpo e Nume maggiore, puoi attendere ad entrare in rapporto colle nature che sono più in alto che le divinità dei cieli” (Giuliano Kremmerz, La Scienza dei Magi, Il Mondo Secreto, vol. I, Edizioni Mediterranee, p. 114).
Dopo aver tentato di circoscrivere l’ambito sapienziale secondo un’ottica tradizionale, passeremo a definire il vero ambito della Misteriosofia, che, essendo il viatico trasmutativo nell’Antichità, verso la Conoscenza, non presenta alcun connotato religioso o filosofico, ma essendo di pura natura iniziatica, tale elemento fideistico lo supera e lo sublima. In merito, va considerata la possibilità nell’era antica ma anche in quella presente, che un necessario collegamento vi sia stato o vi sia tra dimensione religiosa e dimensione iniziatica, come nel caso del citato Proclo, come nel caso di Giuliano Imperatore, come, oggigiorno, nell’ambito del Sufismo, ma sempre tenendo ben presente la diversa gradazione spirituale di ambiti contigui ma profondamente diversi.  Come riporta un Victor Magnien (I Misteri di Eleusi, Edizioni di Ar), nel percorso misterico la componente devozionale e fideistica era la soglia dei Piccoli Misteri, già oltrepassata nel Grande Magistero, senza accennare a livello ulteriori di dignificazione che ad Eleusi, per esempio, conducevano ben oltre l’Epoptìa, fino ad altri tre gradi palingenetici: Holòkleros, Iniziazione Sacerdotale, Iniziazione Ierofantica o Regale. Tale inquadramento è rintracciabile anche nella mistagogia mithraica, in quella orfica, fino ad arrivare ad uno dei centri emanatori più importanti della Tradizione Ieratica d’Occidente, cioè la Sapienza Ermetica Egizia. Oltre il Magnien, anche Angelo Tonelli nella sua recente pubblicazione dedicata ai Misteri ed alla tradizione iniziatica greca (Eleusis e Orfismo, Edizioni Feltrinelli), conferma pienamente tale orientamento, come, parimenti ritroviamo identità di vedute in Raphael, nel suo Orfismo e Tradizione iniziatica (Edizioni Asram Vidya). L’iniziazione regale assume, pertanto, tutt’altro che un connotato filosofico - religioso, ma si profila essere come l’esperienza diretta in cui esperire la Sapienza che unisce il Tutto nell’Uno, non perché lo si crede fideisticamente oppure lo si congettura filosoficamente, ma perché lo si sperimenta interiormente, lo si ricorda internamente, come già ci ha ammonito precedentemente Plotino e dal quale riprendiamo un riferimento che convalida tutto il ragionamento che stiamo cercando di esplicitare:
Iniziando questa ricerca, noi obbediamo al precetto del dio che ci comanda di conoscere noi stessi. Se vogliamo cercare e trovare ogni altra cosa, è giusto che ricerchiamo chi è colui che ricerca…” (Vita, IV, 3, 1, 1).
Il famoso passo di Aristotele “Ouk mathéin allà pathéin”, tratto da De Philosophia, è necessario, in realtà, interpretarlo con le stesse parole dell’allievo di Platone, che ci dirigono verso una direzione ben precisa:
Gli iniziati [tous teloumenos] non devono imparare [mathein] qualcosa, bensì subire una modificazione [pathein] ed essere in una certa disposizione [diathenai], evidentemente dopo di essere divenuti capaci di ciò.    […]   Ciò che appartiene all’insegnamento e ciò che invece appartiene all’iniziazione. La prima cosa invero giunge agli uomini attraverso l’udito, la seconda invece quando la capacità intuitiva [tou nou] subisce [pathontos] la folgorazione [ellampsin]: il che appunto fu chiamato anche misterico [mystêriôdes], e simile alle iniziazioni di Eleusi. In queste infatti l’iniziato [ho teloumenos] risultava modellato [typoumenos] rispetto alle visioni, ma non riceveva un insegnamento (verbale) [didaskomenos]”.
Ciò ci riconduce non ad una differenziazione tra Dioniso ed Apollo, i quali, lo ripetiamo non sussistono senza la sperimentazione del primo che, ad Eleusi, si trasmuta nel secondo, ma alla diversità che all’inizio abbiamo posto, tramite gli scritti di Angelo Tonelli, tra Filosofo e Sapiente, tra Sapere e Sapienza, tra ciò che si astrae e ciò che si conquista alchimicamente nella propria interiorità.
Non è casuale, infine, che in Ur 1927 in uno scritto di Ea (Evola) “Sul carattere della conoscenza iniziatica” si ritrovi la seguente espressione:
“Così è noto il detto, che negli antichi Misteri non si andava per ‘apprendere’, bensì per raggiungere, attraverso un’impressione profonda, un’esperienza sacra”.
L’esperienza interiore, quindi, diviene elemento essenziale per chi sa invertirne la polarità: elemento di costrizione e di privazione per il profano, ma, allo stesso tempo fondamentale per la pratica dell’Arte, per il suo inizio ed il suo svolgimento. A tale pratica, però, si può solamente alludere, essa può essere velatamente e numenicamente visualizzata, ma sfugge dagli aridi confini delle definizioni, delle categorie, delle preghiere, perché il proprio principio è la cessazione delle rappresentazioni sensoriali, è la rescissione dei vincoli col mondo profano, è la conquista più ardua per chi ha intrapreso l’Opera, è il Silenzio dell’Arcano. La Sapienza Misterica, come conoscenza effettiva ed irradiante, è, pertanto, la realizzazione e la conquista dell’Eudaimonia, come insegnato dal Platonismo e come lo stesso apprese dal mondo delle secrete iniziazioni.
In tale prospettiva il Platonismo (primordiale del Maestro, medio con Plutarco e Apuleio, neoplatonico da Plotino a Damascio e Prisciano) si deve assolutamente considerare un percorso sapienziale di reale ascenso, di anamnesi, accompagnando la propria componente di Theoria intellettuale con una Praxis esperenziale di natura magico – trasmutativa, indi, per usare un gergo arcaico e più confacente, di natura misterico – teurgica. Pertanto, il riferimento ideale, quindi eternamente vigente, alla Filosofia può continuare a determinare un percorso sapienziale, quando, come nell’antichità, esso si sappia ricollegare ad una pratica operativa interna, secondo i canoni dell’ermetismo magico, così come inteso dal Gruppo di Ur. Riferirsi ad Esso, senza tale dimensione interiore ed esperienziale, non riduce la Filosofia nell’ambito dell’astrattismo, ma coloro che la enfatizzano.