WALTER BENIAMIN

 

UMBERTO PETRONGARI
Riflessioni sul pensiero e sull'estetica
di Walter Benjamin

 


In questo articolo intendo parlare di Walter Benjamin come interprete di Karl Marx, e soprattutto delle conseguenze, sul piano dell’estetica, derivanti dalla sua esegesi marxiana.  Vediamo dunque, innanzitutto, cosa debba intendersi, stando al pensatore ebreo-tedesco, per ‘materialismo storico’, ovvero per ‘materialismo dialettico’ (non, ovviamente, nel senso del Diamat engelsiano).  Il materialismo marxiano-benjaminiano attinge da Eraclito.  Vediamo, innanzitutto, in cosa consistono le differenze tra il pensiero del presocratico di Efeso e quello dei milesi. 
 
 
Se prescindessimo dai risvolti tragici o pessimistici della filosofia di questi ultimi, otterremmo una nozione di ‘materia prima’ identica a quella di cui si fa menzione nei testi alchemici. Per i milesi il mondo è rappresentazione e non presenta tragicamente regole. La loro visione è pessimistica, poiché, contraddittoriamente, viene preso, al contempo, per reale. L’effetto è l’insorgenza di una corporeità, ovvero di organi di senso che sono, ad un tempo, enti sensibili dotati di esterna concretezza, coincidente con l’intima sensazione suscitata da tali enti, opprimente per l’uomo. Se non fosse per la dialettica, includente anche il principio di determinazione-negazione, quale legge cosmica, il pensiero di Eraclito, coinciderebbe con il pensiero dei milesi.  Il filosofo di Efeso, non parla soltanto dell’unione dialettica degli opposti, ma anche della loro coincidenza. Tutti gli enti coincidono fra di loro, per via della loro comune inesistenza. Affermando inoltre che il mondo non rappresenta un male in sé (pur costituendo certamente un male per l’uomo – un male relativo, dunque), intende negarne l’esistenza, ovvero l’assolutezza.    Anche nel comunismo, per Benjamin, non verrebbe del tutto superata la tragicità, il pessimismo, contenuti nella visione del mondo eraclitea.  La possibilità concreta di realizzare il comunismo, si lega poi, sul piano teorico, ad un’ulteriore radicalizzazione nichilistica della concezione del presocratico: oltre alla dialettica negazione dell’Altro, si tratta di negare anche se stessi.  Benjamin non esclude, fra l’altro, la possibilità di una sintesi dialettica. L’uomo può, cioè, eticizzarsi in modo utilitaristico.  La soluzione non viene tuttavia vista di buon’occhio da parte del suddetto intellettuale.  L’etica è infatti repressione, e laddove potesse dar luogo ad  un’auto-addomesticamento, l’uomo ci perderebbe di vitalità (all’incirca, come un bambino che, abituato dalla maestra a starsene buono e a braccia conserte in aula, non scorrazza più come scorrazzava prima, avendo perduto di vivacità).   La soluzione del problema esistenziale, per Benjamin, non può dunque consistere nella soppressione della corporeità materiale, fisiologica, dell’uomo, e della sua corporeità morale (ovvero, di ciò che è socialmente), quanto, piuttosto, in un alleggerimento sia dell’una che dell’altra.  A ciò concorrono scienza e tecnica moderne, che si accordano con la dialettica, prescindendo dunque dall’esistenza di un Soggetto trascendentale.  L’umanità che ha superato l’indigenza, non ha tuttavia superato l’appetito quale fastidioso impulso.  Veniamo dunque al piano dell’identità sociale dell’uomo, il che ci conduce a discorrere sull’arte.  La fine dell’utilitarismo etico, pone fine all’arte classica, in quanto è interamente e inconsapevolmente fondata su di esso. L’arte classica non sprona tanto – se non propriamente al gioco – al movimento, quanto piuttosto al sentimento e alla contemplazione (pur com-muovendo).  All’arte classica non è poi da contrapporre tanto l’arte d’avanguardia, quanto piuttosto, ad esempio, la musica di massa, la musica pop (il rock, la musica elettronica ecc.).  L’accentuato elemento ritmico, assieme al carattere ‘leggero’ di detta musica, si lega dunque al suo contrapporsi alla serietà, alla gravità, morale-sentimentale dell’arte tradizionale.  Molto più marcato sarà, tuttavia, il carattere vanesio e conformistico di quest’arte superficiale, rispetto all’altro tipo di arte.  L’arte decanta, celebra, dei modi d’essere sociali. L’artista è colui che crea dei modelli di comportamento, degli stili di vita. Sotto la spinta di un disagio di tipo conformistico, decide di farsi valere, di ottenere del riconoscimento. Attraverso degli espedienti retorici, porrà in buona luce il suo modo d’essere, in modo tale da persuadere almeno un’altro del proprio valore. Quest’ultimo, magari, lo imiterà addirittura, assumendo un modo d’essere assai somigliante a quello dell’artista. Ebbene, un terzo che si imbatte nelle due persone suddette, non potrà che trovarsi a disagio di fronte ad esse, se non conforme al modello comportamentale condiviso dai due.  Ora, il modo d’essere imposto dall’artista, ha, o non ha valore? Che costui sia effettivamente ciò che mostra di essere (nella sua effettiva differenza rispetto ad altri), o che non lo sia, poiché tutti gli uomini sono, in fondo, uguali – in ogni caso, ciò che egli è, non ha, in fondo, valore, né per sé, né per gli altri (sui quali, allora, eserciterà una mera e superficiale fascinazione). L’artista è solo, poiché nessuno, in fondo, gli attribuisce valore (nessuno tiene davvero a lui). Più in generale, la solitudine dell’uomo, si lega al suo non-essere.

 

Concludendo, non solo il conformismo, ma anche la vanità, caratterizzano essenzialmente un certo tipo d’arte, vicina all’avanguardia.  Vediamo, dunque, che tipo di arte caratterizzerà per Benjamin il comunismo.  Prima dobbiamo chiarire cosa si intende per ebbrezza.  Se sono parecchio affamato, e mi imbatto di sorpresa presso del cibo in abbondanza, potrò addirittura esultare all’idea di potermi finalmente sfamare. L’idea, prodottasi inaspettatamente, che di lì a poco andrò ad addentare quel cibo, mi procura un repentino senso di grande sollievo.  L’ebbrezza può anche avere a che fare con la sfera dell’identità sociale. Nel comunismo, l’uomo avrà quasi raggiunto una piena condizione di anticonformismo. Un più calmo e costante senso d’ebbrezza (rispetto a quello dell’esempio svolto poco fa), accompagnerà l’esistenza di tale uomo, che, dunque, soffrirà assai poco della sua irriducibile diversità, della propria singolarità, somigliante solo a se stessa.   L’arte, da un lato, continuerà a produrre movimento, danza, essendo un modo piacevole di scacciare la fisiologica noia, di ‘scaricarci’. Dall’altro, sarà un’arte del tutto soggettiva, che avrà quindi per organo la fantasia, volta a creare qualcosa che piace e soddisfa unicamente a livello individuale.