• E’ vero che ricreare, sotto il medium creativo, letterario ed ampiamente filosofico una nuova cappella propositiva e monoveritativa, sarebbe stato improponibile, come mi era chiaro fin dall'inizio, oltre che forse del tutto dispendiosamente inutile e magari persino risibile.  Anche perché poi si sarebbe dovuto supporre d'avere qualche conoscenza in proprio che superasse e di molto il livello medio di una coscienza intellettuale e comunitaria, sia pur nobilmente gestita, negli anni comunque manifestatasi in profonda modificazione, anche se legata a valori giudicati irrinunciabili.  E' che, senza Referente alto e credibile, (profondamente sostenuto ed intimamente vissuto) abbiamo sempre pensato non fosse possibile, creativamente, creare alcunché, se non in termini strettamente, ma disperatamente, individuali.  Dopo le fallite esperienze del Referente, sul versante intellettuale e d'ordinamento delle élites degli anni postbellici, quello espresso dalla destra radicale e quello espresso dalla nuova destra, con un clamoroso distacco dagli obbiettivi dichiarati, pur in presenza di scenari epocali spesso di conferma, nessuno più ha saputo o potuto rappresentarsi, in quei luoghi o come al solito singolarmente fuori da essi od in altri di volta in volta ipotizzati ma mai capaci di attrarre continuativamente (e noi ne siamo ulteriore riprova con l'esperienza, esauritasi recentemente, della NUOVA OGGETTIVITA') e senza cadute d'incidenza comunitaria, parte di un tutto.  Altra differenza macroscopica con riviste confrontabili di altre aree di pensiero, (nella nostra non ne sono mai esistite di similari), è l'assoluta assenza di riferimenti al mercato normale e prevalente nel mondo editoriale.  Questo per totale e sincera differenza di vocazione e di formazione.  Un esempio per comprenderci bene.  Una rivista come il "Domenicale" che aveva una forte componente creativa e letteraria, sostenuta da una decisa visione culturale e politica, argomentava legittimamene quasi tutti i suoi interventi critici sulla base di una differenza reale o supposta e valorizzava i suoi scriventi al massimo con la logica del gruppo sino a sfiorare il narcisismo individuale e d’insieme, ma sempre con la presenza costante sulle cose, amate o respinte, del mercato, anche massivo, della comunicazione e della scrittura. 
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  • Questo a noi non è mai stato possibile, per la nostra totale estraneità, quasi definibile aliena, con il mondo reale contemporaneo della scrittura e della critica, (e questo spiega tante cose altrimenti indefinibili) anche se, invece, incredibilmente impreviste - quasi magicamente - son potute valorizzarsi anticipazioni od interessamenti per realtà anche emergenti o nazionali od internazionali, ma sempre viste come da distanze abissali, sia per profondità che per taglio scritturale.  Tale "assenza presenza" non era e non è voluta, è una condizione vocazionale e formativa, di cui si deve avere chiara consapevolezza per poter valutare se stessi ed il proprio operato (ed i propri esiti pubblici). Dimensione che poi determina anche la preferenza per una condizione creativa ove il dato sacrale, metapolitico, simbolico e fenomenologico (stile di vita), è fondante ed antecedente ogni espressione nominalmente espressiva e critica.  (E questo per noi è una cosa sacrosanta). 
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  • In realtà questa presa d'atto di tale sorta di meta-letteratura, non voluta ma evidente, fa comprendere non solo il taglio primario di "Letteratura-Tradizione”, ma la condizione basale di un’intera generazione intellettuale, quasi sconosciuta, marginale, spesso ben inconsapevolmente coperta o non conscia, anche se intelligentissima ed attiva.  Permette la lettura in profondità di ciò che spesso, soprattutto in questi ultimi due decenni, anche giornalisticamente, è emerso, lanciato da opposti versanti, come insulto, liquidazione supponente, geremiade, sottovalutazione velleitaria, estraneità facile sia stracciona che paludata, condizione d’insufficienza o peggio senso di colpa…
  • Ed è un dato di fatto su cui ragionare intensamente senza possibilmente bearsi o dolersi, proprio nel momento in cui si riesce a conoscerlo, proprio per scoprirne potenzialità ed inadeguatezze.  Ciò non poteva essere compreso appieno - od almeno così bene come l’abbiamo capito noi - prima dell’esperienza ultradecennale di “Letteratura-Tradizione”.  Una finta verginità ormai compiutamente rimossa.  Anche perché riflettere su questo serve sempre anche a porre nella giusta direzione di risposta la domanda sul perché, provenendo chiaramente dai nostri territori ideali, e non dal rifiuto o dal superamento o comunque dall’abbandono convinto della cultura dominante, nella storia della nostra letteratura postbellica pressoché solo due (o forse tre) autori italiani siano giunti a battersi felicemente sul proscenio della vita letteraria “normale”, se pur con conseguenze, personali, non certo tranquillizzanti.  
     
    Ma indipendentemente da queste specifiche, croce e delizia d’una vocazione come di una condizione, l’attuale nostro versante creativo è sconsolatamente senza Referente, in una sorta di terra di nessuno ove ciascuno di noi ormai cerca di trovare, per quello che può e riesce, basandosi quasi unicamente sulle proprie forze ed esperienze, un filo conduttore in buona fede ma sperando sempre, tramite i mezzi limitati che può mettere in campo anche nel versante superindividuale, di compiere il proprio dovere di ricerca creativa e di testimonianza civile.  L'esperienza di "Letteratura-Tradizione”, anche per queste ultime considerazioni è paradigmatica, e rimane un segno indelebile, nel nostro mondo interiore, di un’impasse che vorremmo, un giorno, veder ben superata, avendola però superata noi per primi…

 
I   43 numeri
di
Letteratura-Tradizione

 
 
I - Numeri
 
I 43 numeri di “Letteratura-Tradizione” vanno divisi, per ordine temporale in tre serie, la prima dal n° 1 del settembre 1997 (di poco dissimile dal precedente  n° 0 uscito alla fine del 1996, anche interamente su Internet - cosa sorprendente e di non molto eco, allora...), al n° 30 dell'ottobre-novembre 2004, la seconda dal n° 31 dell'aprile 2005, al n° 40 del settembre 2006, la terza dal n° 41 del dicembre 2007 al n° 43 d'inizio 2009.  La prima serie fu all'incirca trimestrale per poi divenire bimensile nella seconda e, nella terza, semestrale.  Era pronto un n° 44, per l'estate 2009, che non è però stato stampato.  Dalla prima serie alla seconda ci fu un'interruzione, a motivo del ritardo e della successiva risistemazione di qualche mese, dovuta al fallimento del tentativo di sostituire lo scrivente in qualità di caporedattore ed impaginatore della rivista stessa, con l'amico Gianluca Montinaro, giovane studioso che avevamo sperato potesse cambiarne anche in parte lo stile impaginativo, l'organizzazione interna, e per alcuni tratti anche la logica di metodo.  All'inizio della terza serie si è tentata un'operazione similare, con una sostituzione dello scrivente a cura di altro valido storico, che è anche un valente ufficiale di carriera dell'Esercito, Federico Prizzi, ma, per un complesso di ragioni, dovute per lo più a cause logistiche, anche in questo caso il tentativo di rinnovamento della struttura interna si è dimostrato impossibile.  L'interruzione definitiva, dopo il n° 43, è stata causata incidentalmente invece da motivazioni strettamente economiche, causate anche dalla difficoltà della casa editrice della rivista di recuperare ingenti somme dovutegli per la propria attività paraeditoriale, peraltro ben valorizzata e distribuita a livello nazionale.  Questo per quanto riguarda la stretta scansione temporale. 
 
 
II - Forme
 
Dal punto di vista invece dell’aspetto esteriore, si può dire che la rivista nasce come un foglio di tipo tabloid, che varia da un minimo di 28 pagine ad un media di 40 nella prima serie, che arriva nella seconda serie quasi sempre a 40 pagine, ed a 250 nella terza serie, finalmente in formato libro, e che viene stampata, per la prima serie, in coda ad un foglio commerciale tirato in decine di migliaia di esemplari (la Fiera di Walter Stafoggia di Pesaro, che ne è l’editore ed il direttore responsabile dal n° 1 al n° 40, quindi per le due prime serie), e quindi con una carta e con un metodo di stampa non particolarmente accurati, almeno per la prima serie, essendo già la seconda nettamente diversa, sia per la qualità della carta, sia per la qualità della stampa, che era ormai svincolata dalla matrice rotativa.  Il primo numero fu impostato esteticamente da uno studio grafico che, sulla base necessitata del formato giornale tabloid, sposò una scelta ibrida fra tradizionalismo grafico, certamente professionale ma alquanto freddo ed alcune potenzialità  che si sarebbero potute sviluppare se la rivista non avesse avuto una necessità d'includere (anche in base ai propri assunti metodologici) sempre più testo a scapito di spazi di leggibilità e di figure.  I primi numeri, fino al 28, furono inoltre segnati dal bicromatismo, ed i colori in più, comunque, furono una variante, anche in seguito, sempre parziale, sia pur in crescendo.  Dal secondo numero inizia anche la collaborazione, su straordinaria scelta e sapiente curatela di Gian Ruggero Manzoni, (dal n° 24 con la collaborazione anche di Alessandra Bonoli) di due valenti artisti per numero, (ed in seguito uno per numero) che ha visto la presenza di Manzoni stesso-Bruno Ceccobelli; Aldo Mondino-Concetto Pozzati; Gino Severini-Alessandra Bonoli; Julius Evola-Loredana Cerveglieri; Mario Sironi-Mario Bottinelli Montandon; Mario Sironi-Fabio Bardelli; Mario Sironi-Benedetto Di Francesco; Alfio Di Paola-Roberto Floreani; Roberto Floreani-Nadia Falasconi; Salvatore Scafiti-Benedetto di Francesco; Fabrizio Loschi-Gianfranco Sergio; Luca Zampetti-Sergio Zanni; Massimiliano Fabbri-Marco Pellizzola; Cesare Baracca-Iller Incerti; Fabrizio Orsi-Mirko Gualerzi; Sergio Monari-Terenzio Eusebi; Gian Ruggero Manzoni; Giuseppe Tomasello; Giovanni Scardovi; Rivkah Hetherington; Ilaria Ciardi-Alessandro Neretti; Salvatore Giunta; Daniel Casarin; Maurizio Pio Rocchi-Daniel Casarin; Maurizio Pio Rocchi-Daniel Casarin-Lella Palumbo; Gianni Chiostri (dal n° 31 con bellissime tavoleinterne e poi sempre più evidenti, nella terza serie, anche in quadricromia in ultima di copertina, con le sue tavole umoristiche "editoriali"); Othmar Winkler; Paolo Fiorentino; Pierre H. Lindner; Gian Ruggero Manzoni; Lima de Freitas-Alfredo Margarido; Sandro Giovannini-Mario Mariani-Gian Ruggero Manzoni-Eloisa Massobrio; Stefano Faravelli; Salvatore Scafiti; Fabio Bardelli. Questo l'elenco completo di tutti i pittori, alcuni più volte, ufficialmente chiamati ad apparire sulla rivista. Dal terzo numero, ovvero da marzo del 1998, lo scrivente si assunse, per diminuire ulteriormente i costi, pur essendo tutte le mansioni interne e le collaborazioni esterne assolutamente gratuite, anche il compito di sistemazione grafica e d'impaginazione complessiva e definitiva, che durò completamente fino al n° 30, per poi limitarsi alla sola progettazione grafica, essendo curata dalle collaboratrici della Fiera di Stafoggia l’impaginazione finale, per poi riprenderne la curatela completa d’impostazione e definitiva, nella terza serie.  Devo anche aggiungere che abbiamo potuto riprendere, sia pur in modo del tutto mediato, una delle intuizioni grafico-umoristiche che già vivevano in noi da precedenti esperienze editoriali di fine anni ’70 ed ’80: le Metastrips.  Esse, quasi tutte a mia firma, hanno accompagnato molti numeri con la loro ironia e con un impianto complesso ove collage e fototrattamento si univa sempre ad una didascalia sferzante.  Anch'esse, in aggiunta alla presentazione dei libri consigliati, tendevano a favorire una lettura più legata, sia formalmente che contenutisticamente.  Progressivamente l'impostazione grafica, ormai dal n° 3 fuoriuscita dagli schemi dello studio di progettazione, cercò disperatamente di poter coniugare una potenzialità estetica risultante di potenziale linea urfuturista con il montare inarrestabile dei testi, dovuto alle scelte contenutistiche.  Avremmo certo potuto risolvere esteticamente in modo ancor più significante questa quadratura del cerchio se non avessimo dovuto far conto di una bulimia dei contenuti testuali conseguente a prevedibili ragioni extra-artistiche ed extra-grafiche, che sarebbe troppo lungo giustificare.  Un vuoto ultradecennale, nel campo del medium letterario creativo e filosofico, n’è spiegazione sintetica.  Mi ricordo, ad esempio, che in casa di Sgarbi, un giorno, esaminammo insieme una bellissima rivista internazionale, che aveva tenuto da parte per mostrarmela, disegnata da valente architetto, che esemplificava perfettamente quello che avremmo potuto e voluto fare, anche in direzione di due potenziali numeri da lui diretti, ma notammo, anche alquanto sorprendentemente da parte sua (a me la cosa era evidentemente chiarissima essendo io l’impaginatore iniziale e finale) che gli articoli di questa rivista erano, in confronto ai nostri, di taglio giornalistico, sia pur elevato e ben valorizzati da una cornice indubbiamente fascinosa.  In più, con una gestione monocratica di contenuti e spazi, cosa che è comune a quasi tutte le riviste che conosco e che era il contrario esatto di ciò che noi abbiamo voluto, proposto e realizzato, certo si sarebbero potuti ottenere, dal punto di vista estetico, migliori risultati.  Comunque dal n° 3 in poi le scelte grafiche furono più marcate e non si riuscì fino al n° 25, (ove si passò ad una limitata quadricromia), a poterle valorizzare ben visibilmente solo per la povertà della carta e della scarsa qualità di stampa. Definitivamente, dal n° 31 (ove la grafica prende tutta la prima di copertina) al 40, la composizione invece, sia pur sempre sommersa dai testi, fu in grado di dare l’esempio di una potenzialità organica di rispondenza fra testo e contesto, proprio per l’aumentata qualità di carta e stampa, pur in costanza delle solite carenze di spazi.  Nell’ultima serie, di tre numeri, il formato libro a 250 pagine, di cui una sezione finale di 25 pagine completamente a colori, pur con una gabbia ridotta dell’impaginato e quindi con minori potenzialità grafiche, rivoluzionò nuovamente il rapporto spazi-contenuti-forme ed il risultato estetico complessivo è di fronte a tutti coloro che hanno potuto vederli.
 
 
III - Contenuti
 
Per quanto riguarda i contenuti non possiamo prescindere dal metodo.  All’inizio avevo chiesto a tutti i collaboratori interni ed esterni, di prendere atto, non senza notevoli resistenze e difficoltà, sia di un’alternanza dei direttori letterari, sia della presenza, contestuale o differita, ma comunque certa, di diverse linee di pensiero all'interno di una, supposta, linea guida generale.  Questa linea guida generale, mai per la verità dichiarata in termini espliciti, poteva essere una sorta di risultante di tutte le energie spirituali ed intellettuali, che nell'ultimo secolo avevano mobilitato le personalità, per noi magistrali e che avevano ancora moltissimo da farci scoprire in una sequela assieme esperienziale e civile.  Personalità quindi anche diversissime, sia per vocazioni che per esiti, ma unite da scelte non equivoche e da uno stile di vita che è ancora unico oggi a farci credere possibile non disperare totalmente del nostro stesso impegno e delle nostre stesse verità.  Questo era il modello articolato ma proiettivo al quale uniformare una pratica dell'inclusione e del confronto dialettico.  Ove però ogni interprete attuale avesse a sua disposizione uno spazio idoneo, per quantità e qualità, onde esprimersi organicamente, rimandando al processo complessivo ed in crescendo una dialettica effettiva e compresente.  Questo spazio è stato eminentemente lo Speciale dei numeri doppi o del numero singolo, con direttore letterario unico ed in genere suoi amici o collaboratori, scelti per affinità ideale.  Certo poteva pesare il contorno che comunque restava, sempre svolto da me e dagli altri capi sezione delle Sezioni che, progressivamente, ma fin dall'inizio, si sono affiancate allo Speciale, ove la continuità di una cornice, pur variata ma stabilmente risolta anch'essa sulle personalità di riferimento, svolgeva il suo compito d'equilibrio dinamico.  Alcune delle Sezioni sono state poi veramente portanti per la fisionomia stessa della rivista come quelle della Fondazione Evola, diretta da de Turris, o quella della Simbolica della Politica diretta da Bonvecchio, o Il movimento delle idee diretta da Vaj, o quella della Scuola Romana di Filosofia Politica diretta da Lami e Sessa o Poesia da Renzaglia o Musica da Monadi, o Il filo aureo da Giuseppe Gorlani, o Gnosi Occidentale da Federico Gizzi, ultima ma per me importante, assieme a tutte le altre, sapendo anche attirare, nelle rispettive linee, un pensiero forte e fascinoso.  Non ho mai pensato però che uno stile di tipo rappresentativo, di tal fatta, e di tale complessità, fosse "ontologicamente" superiore al metodo propositivo che vede, nelle riviste impegnate, ma anche nei fogli più genericamente legati ad un leader, una verità, (che essa sia spirituale, ideologica, metapolitica, geostrategica) ed un gruppo di collaboratori più o meno stabilmente e legittimamente attratti per affinità.  Anzi ho sempre pensato che ogni metodo implichi potenzialità e rischi.  Il nostro, ad esempio, ha comportato e comporterebbe comunque, soprattutto per chi deve coordinare presenze ed alternanze, un dovere d'imparzialità e di buon governo che rasenta spesso il relativismo ideale e coscienziale.  Fortunatamente ci salva la nostra natura limitata che poi subentra comunque a svelare di tutti noi ciò che spesso il super-io cerca di controllare o governare.  Dell'altro metodo, universalmente frequentato, le carenze ed i limiti, assieme ai pregi, sono sotto gli occhi di tutti.  Accanto alla redazione che è rimasta purtroppo sempre la stessa e che mi ha visto coinvolto per 43 numeri, ci sono stati poi dei direttori letterari di "Letteratura-Tradizione” che, per l’estrema intelligenza che li contraddistingue ed il buon gusto che li guida, hanno saputo in più interpretare al meglio il loro compito di direttori pro-tempore o di passaggio, adeguandosi al metodo con vera maestria, come ci sono stati anche collaboratori, mi spiace dirlo, ma forse spero non tutti per motivazioni meschine, che, dopo anni di partecipazione, non hanno affatto compreso quale fosse la particolarità estremamente artificiale e fragile, del metodo stesso, ed hanno colto solo una banale opportunità di presenza.  Ma questo è nelle cose. Il metodo dell'alternanza e della compresenza si è anche nutrito di una libertà assoluta di testi e tesi espresse e della contestualità anche di due stili che si è cercato sempre di rendere compatibili: quello accademico e quello militante.  Non senza alcune chiare perdite di livello, sia verso l'alto che verso il basso, spesso non solo a noi ben evidenti.  Nulla in dodici anni è mai stato censurato o si è consigliato di omettere o modificare.  Nessun titolo è mai stato variato od aggiustato.  Alla fine dell'ultima serie la rivista aveva portato all'estremo il suo metodo: in pratica era una rivista "appaltata" per le Sezioni fisse ai capi sezione con i loro collaboratori, per lo Speciale ai direttori letterari alternantisi.  Poche le Sezioni che rimanevano completamente e direttamente in mano al caporedattore, cioè mie; in genere Letture e Notizie ed alcune altre come Un libro o Interviste, per necessità momentanee.  La gestione delle sezioni Letture e Notizie, comunque, unita alla scelta delle promozione dei nuovi libri lungo tutte le pagine, con informata se pur veloce presentazione, (da circa una trentina in crescendo ad una ottantina circa per numero, di cui solo un 25% d'informazione o di servizio ad amici e collaboratori), mi ha permesso una notevole capacità di segnalazione.  In molti casi abbiamo mostrato per primi, con un significativo anticipo sui tempi medi di ricezione intellettuale della cultura omologata, fenomeni autorali ed editoriali poi esplosi come quelli di Augé, Nancy, Brague, Furedi, Kitano, Binswanger, Conty, ed abbiamo discusso in profondità e ripetutamente, sotto vari angoli prospettici, opere contemporanee o recentemente rieditate, importanti, come quelle di Daumal, Panikkar, Severino, Bataille, Saer, Amato, Drieu, Cau, Bonesio, A. Massobrio, Soseki, Evita, Gianfranceschi, Michelstaedter, Vaj, de Montherlant, Cacciari, Mishima, Vannini, Kitano, Yasushi, Florenskij, Mutti, Gurdjieff, Maffesoli, Hallberg, de Staël, Tommaso Romano, Braudillard, Risé, Stevens, Derrida, Mario Mariani, e tanti altri, oltre alle impegnative traduzioni mie da de Saint-Exupéry, Pierre Pascal, Drieu.  Anche il "fenomeno" delle schede biobibliografiche apparse progressivamente su "L-T”, a partire dal n° 25 fino al n° 30, intorno alla sessantina e divise in biografia, bibliografia e giudizio critico, hanno fornito, sia pur contro facili ironie e naturali ritrosie, una base di conoscenza e d'informazione insostituibile per ogni contemporanea e futura documentazione.  Ricordo anche i due numeri speciali, finiti con grande sforzo di ricerca collaborante (39+40), dedicati alla nostra memoria storica della convegnistica postbellica, diretti in limine dal caro Giano Accame, come opera importante a livello documentativo.  Davvero memorabili poi, alcuni Speciali, per merito dei direttori letterari  Marcigliano, Mutti, Filippani Ronconi, Bonesio, Risé, Bonvecchio, de Cusatis, Perrotta, quali quelli su Jünger, sui romeni (Nae Ionescu e Noica, che restano fondamentali anche per la mia personale formazione), sulla "ventura del guerriero", sul femminile, sull'"anima", sull'Europa, su Pessoa, su d'Annunzio. Alcuni di questi Speciali resteranno comunque degli imprescindibili punti di riferimento nella ricerca specifica.